Peter Handke

Premio Nobel a Peter Handke, l’uomo che nega Srebrenica

Sapevamo già come all’accademia di Svezia, da un po’ di tempo a questa parte, si fosse del tutto perso il senno arrivando ad assegnare il prestigioso premio a menestrelli americani di dubbio valore letterario, per poi sospenderlo travolti da una scandalo per molestie sessuali. Era dunque lecito attendersi uno scatto di dignità, ma le cose sono persino peggiorate.

Il Nobel per la letteratura del 2019 è infatti andato – udite udite – a Peter Handke, uno che nega il massacro di Srebrenica. Avete presente Srebrenica, vero? Quel massacro compiuto nel luglio 1995, quando una piccola cittadina a maggioranza musulmana, divenuta carnaio di profughi lungo un assedio di tre anni, fu consegnata dalle forze olandesi dell’Onu ai cari macellai serbi agli ordini di Ratko Mladic i quali ammazzarono ottomila persone inermi a causa della loro appartenenza etnica, ce l’avete presente, sì? Un paio di sentenze internazionali hanno definito quell’azione un genocidio. Un altro genocidio in Europa, dopo la Shoah, non sembrava possibile. Ma grazie ai serbi di Mladic e di Karadzic è stato possibile.

Ma Peter Handke, esimio intellettuale, ecco, lui dice che no, i musulmani si sono ammazzati da soli. E lo dice così, senza una prova, in barba a sentenze, documenti, testimonianze. La solita ottusa teoria del complotto che sei scemo se ci credi, ma cosa sei quando la inventi? Handke ha persino negato che i serbi abbiano sparato su Sarajevo, affermando che si sarebbero uccisi tra loro per far ricadere la colpa sui serbi innocenti. Ha dichiarato che in Kosovo i serbi erano le vittime, non gli albanesi. Ha detto che Milosevic era un baluardo, un difensore della Jugoslavia quando invece è l’uomo che ne ha causato la distruzione, piangendo sulla sua tomba durante il funerale.

Queste sono cose note, tutte dichiarazioni pubbliche di un ometto in cerca di visibilità. Insomma, si poteva ben sapere che Handke è un negazionista, no?

Per anni abbiamo immaginato, o forse sperato, che quella dell’accademia di Svezia fosse pura cretineria, bonaria stupidità figlia di tempi miserevoli quali sono quelli in cui ci tocca di vivere, in cui tutto è degradato e vano. E invece no, son proprio stronzi.

Perché chi è Handke si sapeva. Si sapeva che era andato al funerale di Slobodan Milosevic a piangere sulla tomba di un criminale di guerra. Si sapeva delle sue teorie del complotto, delle sue aberranti mistificazioni della Storia, del suo negazionismo e del suo revisionismo.

Ma è un grande scrittore. Ah sì?

Ma come si può essere scrittori – cioè testimoni del proprio tempo, coscienza di una società – quando si mistifica il vero. Come si può essere intellettuali quando si nasconde il passato con un velo di falsità. Come si può essere coscienza di una società quando il pensiero è ridotto a qualche garbuglio complottista? Come si fa a dirsi scrittori quando le parole si usano per far germinare male e miseria nella mente delle persone? Non si è scrittori, semmai scrivani.

E questo è Handke, il signor premio Nobel.

Uno scrivano.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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