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BALCANI: Libertà di stampa tra minacce e disinformazione

L’Organizzazione non-governativa francese Reporters Sans Frontières (Reporter Senza Frontiere, RSF) ha appena pubblicato l’annuale rapporto che esamina lo stato di salute della libertà di stampa a livello globale, definita – secondo la descrizione che essa stessa si è data – come “la capacità dei giornalisti (…) di produrre e diffondere notizie nell’interesse pubblico, indipendentemente da interferenze politiche, economiche, legali e sociali e in assenza di minacce alla loro sicurezza fisica e mentale”. Il punteggio, espresso con un valore compreso tra zero e cento, è il risultato della media ponderata di cinque diversi indicatori che investigano la sfera politica, economica e socioculturale nonché il quadro giuridico e le condizioni di sicurezza dei singoli stati (centoottanta in tutto).

Balcani: tante ombre, poche luci

Nel solco del generale peggioramento rilevato in molte parti del mondo, i paesi balcanici si collocano ben al di sotto della media europea e, cosa ancor più significativa, con un indice assoluto per lo più in calo rispetto a quello misurato solo un anno fa, eccezion fatta per Albania e Macedonia del Nord. Ovunque si è ben lontani dai pieni voti, in un contesto in cui solo Slovenia, Macedonia del Nord e Montenegro registrano un indice classificabile comunque come soddisfacente. Al contrario Albania, Bosnia Erzegovina e Croazia rientrano nella categoria dei paesi ritenuti “problematici”, mentre Serbia e Kosovo si sono visti collocare – unici in Europa – tra quelli cosiddetti “difficili”.

Tra gli stati problematici merita una notazione a parte la Croazia, crollata alla sessantesima posizione della classifica (ben dodici in meno rispetto al 2024) e davanti, tra gli stati dell’Unione europea, alle sole Bulgaria, Grecia e Ungheria. Pesa, nel caso specifico, la piaga delle cosiddette SLAPP, ovvero le cause penali e civili intentate da personaggi pubblici – potenti e influenti – verso i media e le organizzazioni civili in genere, con un chiaro scopo intimidatorio e vessatorio e con il fine ultimo di silenziare ogni traccia di voce critica. Sarebbero state migliaia le cause così classificabili negli ultimi anni, con richieste risarcitorie esorbitanti: e poco importa, in questo caso, che la percentuale di “successo” di tali procedimenti sia irrisoria (tra il 10% e il 20% secondo le stime), perché l’effetto deterrente è comunque ottenuto e la pressione su stampa e organi di informazione spesso insostenibile.

I casi di Kosovo e Serbia

Il crollo più drammatico è quello fatto registrare dal Kosovo, che ha perso ben ventiquattro posizioni andando a collocarsi al novantanovesimo posto della graduatoria; una situazione che ha fatto lanciare il grido d’allarme dell’Associazione dei giornalisti del Kosovo (AJK) che interpreta, questo, come il risultato “di una continua politica ostile attiva nei confronti dei media negli ultimi due anni da parte del governo guidato da Albin Kurti.

Nel suo rapporto RSF evidenzia, tra le cause dell’attuale status quo, un insufficiente sviluppo dell’offerta di informazione, penalizzata sia dalle divisioni interetniche (i media di lingua serba lamentano, ad esempio, la discriminazione nell’accesso alle informazioni pubbliche) che da una regolamentazione fortemente politicizzata e, dunque, asfissiante, tale da portare il potere politico a esercitare un’influenza di fatto persino sulla Commissione per l’Indipendenza sui Media (IMC). Si inserisce, in questo stato delle cose, anche il sostanziale boicottaggio operato da una buona parte della politica, in particolare i membri del partito di governo, durante la campagna elettorale per le elezioni del febbraio scorso, quasi sempre ai danni degli organi di informazione indipendenti.

Parlando di Serbia, invece, non deve ingannare il lieve miglioramento nel suo posizionamento nella classifica globale (dal 98° al 96° posto). E questo perché, visti in termini assoluti, il suo indice è invece calato e quindi la sua (trascurabile) risalita è in realtà da attribuire al fatto che c’è chi, evidentemente, ha fatto peggio. All’encomiabile lavoro investigativo, coraggiosamente portato avanti da moltissimi giornalisti, si contrappone, infatti, un opprimente controllo politico su gran parte delle fonti di informazione – attitudine ulteriormente esasperata a seguito dalle imponenti proteste che hanno scosso il paese negli ultimi mesi – e il ricorso dilagante a propaganda e fake news.

E’ emblematica in tal senso la recente apertura del canale televisivo nazionale RT Balkan, un affiliato belgradese del canale russo di propaganda RT (ex Russia Today) che garantisce al Cremlino una voce diretta nelle case dei serbi. Per il resto il quadro si ripete simile a sé stesso, ed è un quadro fatto di finanziamenti pubblici tutt’altro che cristallini e di polarizzazione dei media nazionali nelle mani di personaggi riconducibili all’élite al potere. Ma anche delle ripetute violazioni dell’etica giornalistica perpetrate dalle televisioni nazionali e dai tabloid filo-governativi nel riferire su argomenti legati alla violenza contro le donne o le minoranze nazionali o, ancora, quelli attinenti all’immigrazione, alla comunità LGBTQI+ e ai diritti umani. Non va infine dimenticato il clima intimidatorio cui sono spesso sottoposti i giornalisti – allarmanti i casi di hacking illegale dei telefoni cellulari dei giornalisti da parte dei servizi di intelligence e della polizia – e la percezione di sostanziale impunità per coloro che si macchiano di reati ai loro danni. Un sentimento ulteriormente corroborato dall’assoluzione in appello, lo scorso anno, di quattro ex ufficiali dei servizi segreti accusati di aver ucciso il giornalista Slavko Ćuruvija nell’aprile del 1999.

Un problema regionale

Tante ombre e pochissime luci, dunque, in tutta la regione dei Balcani. Certo non solo un problema locale (l’Italia è al 49° posto, tanto per capirsi, peggio di Slovenia, Macedonia del Nord e Montenegro), ma che da quelle parti, ancorché endemica, rischia d’avere un impatto persino sulla stabilità della regione.

Foto: RSF

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato a Parigi. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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