SERBIA: Macut è il nuovo premier. Un governo di continuità contro le proteste

Dopo la nomina a nuovo primo ministro della Serbia, il medico e professore Djuro Macut ha presentato la composizione del nuovo esecutivo, approvata in parlamento il 16 aprile.

Un nuovo primo ministro…

In seguito alle forti pressioni derivanti dalle incessanti proteste che scuotono la Serbia da diversi mesi, il primo ministro Miloš Vučević si è visto costretto a rassegnare le dimissioni lo scorso 28 gennaio. A scatenare l’incontrollabile reazione a catena di queste proteste di massa è stato il crollo della tettoia della stazione di Novi Sad il 1° novembre 2024, che ha causato 16 vittime e che ha messo allo scoperto la corruzione dell’intera classe dirigente.

Le dimissioni di Vučević sono state accettate ufficialmente il 19 marzo, con conseguente crollo dell’intero governo. Da quel momento si sono aperte due strade: un nuovo esecutivo con nuove nomine entro 30 giorni, oppure elezioni anticipate. Come era prevedibile, si è scelta la prima opzione.

Il 6 aprile il presidente Aleksandar Vučić ha nominato come primo ministro il medico e professore di endocrinologia all’Università di Belgrado Djuro Macut, alla sua prima esperienza in politica. Nonostante la scelta di una figura pressocché sconosciuta – se non in ambito accademico – possa sembrare insolita, la decisione è tutto meno che casuale.

Il professor Macut, infatti, pur essendo ufficialmente indipendente da qualsiasi partito, ha espresso in passato il proprio sostegno al Partito Progressista Serbo (SNS) guidato dal presidente Vučić, oltre ad essersi schierato apertamente contro le proteste antigovernative degli ultimi mesi. Insomma, considerando la sua inesperienza politica e la sua dichiarata vicinanza al partito di maggioranza, non è difficile immaginarsi Macut come l’ennesima pedina sulla scacchiera del presidente Vučić.

… e un nuovo governo

È toccato dunque a Macut l’arduo compito di presentare in parlamento, lo scorso 14 aprile, la nuova formazione dell’esecutivo. Più che di una nuova formazione, tuttavia, si tratta di un rimpasto di governo, con molti nomi confermati e new entry che sollevano non poche perplessità.

Su un totale di 31 ministeri, i dicasteri principali sono rimasti invariati, con Marko Djurić ministro degli Esteri, Ivica Dačić dell’Interno, Siniša Mali delle Finanze, Adrijana Mesarović dell’Economia, Bratislav Gašić della Difesa, Dubravka Djedović Handanović dell’Energia, Zlatibor Lončar della Sanità, Nikola Selaković della Cultura.

Due sono i grandi esclusi di questa “nuova” squadra: l’ex primo ministro Miloš Vučević, sostituito da Macut, e il vicepremier Aleksandar Vulin – già a capo dei servizi segreti e uomo di fiducia di Vladimir Putin – la cui carica sarà coperta dal ministro delle Finanze Siniša Mali.

Tra le novità, figurano per lo più nomi poco noti, molti dei quali legati al neonato Movimento per il Popolo e lo Stato annunciato dal presidente Vučić, e dalle posizioni politiche in linea con quelle dei vertici. Il nuovo ministro dell’Istruzione Dejan Vuk Stanković, ad esempio, nel dicembre 2024 ha aspramente criticato le proteste studentesche che stavano prendendo piede nel paese, definendole un tentativo di “distruggere lo stato”.

Tra le figure più controverse spicca quella del nuovo ministro dell’Informazione Boris Bratina, noto per aver bruciato la bandiera dell’Unione Europea nel marzo 2009, in occasione dell’anniversario dell’aggressione NATO sulla Serbia. Dichiaratamente contrario alle parate del Pride in difesa dei diritti LGBTQIA+, è stato membro del consiglio direttivo dell’SNP 1389 (Srpski Narodni Pokret) – un movimento giovanile di estrema destra – ed è tra i fondatori del sopracitato Movimento per il Popolo e lo Stato.

Infine, farà parte del nuovo esecutivo anche Milica Djurdjević Stamenkovski nominata ministra del Lavoro. Stamenkovski ha iniziato la sua carriera politica tra le fila dei movimenti ultranazionalisti, partecipando anche a proteste contro l’arresto di criminali di guerra quali Ratko Mladić e Radovan Karadžić. È inoltre fondatrice e presidente di Zavetnici, partito di estrema destra che si oppone duramente all’indipendenza kosovara e sostiene le politiche di Vladimir Putin in Ucraina.

E adesso?

Una volta proposto il nuovo esecutivo, la parola è passata al parlamento, chiamato a votare la fiducia entro la mezzanotte di venerdì 18 aprile, cioè a 30 giorni dalle dimissioni di Vučević. La prima sessione straordinaria, tenutasi il 15 aprile, è stata aggiornata al giorno successivo, quando la fiducia è stata approvata con 153 voti a favore, evitando così le elezioni anticipate.

Per ottenere l’approvazione, il nuovo esecutivo doveva ottenere la maggioranza assoluta dei rappresentanti in parlamento, vale a dire almeno 126 voti. Tuttavia, considerando che la coalizione al potere – di cui fa parte anche l’SNS – detiene la maggioranza dei seggi, l’esito del voto appariva quasi scontato.

Nel corso della sessione del 15 aprile, il neonominato primo ministro Djuro Macut ha dichiarato che la Serbia “è stanca delle divisioni e dei blocchi”, ribadendo la necessità di dialogo, tolleranza e collaborazione. Ha inoltre affermato che tra le sue priorità ci sarà il ripristino del regolare funzionamento di scuole e università. Una retorica che non si discosta molto da quella già utilizzata dal governo precedente nei confronti delle proteste. A offrire un’analisi lucida della situazione è stato il giornalista Filip Švarm, che ha definito il nuovo esecutivo come un governo “di continuità”, privo di reali rotture con il precedente.

Vučić, con questa mossa, sembra aver disposto l’intera scacchiera a proprio favore, ma sta grossolanamente sottovalutando la determinazione degli studenti serbi. Quello per cui stanno lottando è un cambiamento radicale, che parta dal fondo e che smantelli totalmente il sistema, e non un cambiamento di facciata come quello proposto.

Con questi suoi spasmodici tentativi di rimanere al potere, il presidente Vučić sta solo procrastinando l’inevitabile: il crollo del suo “regime” e nuove democratiche elezioni. Resta solo da chiedersi se, in un panorama politico così stagnante e profondamente corrotto, possa emergere un’alternativa politica realmente valida e capace di rispondere alle necessità di cambiamento delle nuove generazioni.

 

Fonte immagine: Andrej Cukic/EPA-EFE/REX/Shutterstock

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