Gli Stati Uniti stanno attraversando una crisi profonda, che si può interpretare da diversi punti di vista. Uno degli effetti più evidenti è l’erosione del loro soft power. La politica dei dazi ha già minato l’affidabilità dell’America, creando un clima di incertezza dannoso per il commercio e gli investimenti. L’Unione Europea deve quindi cercare nuovi partner commerciali e nuovi mercati. Dopo il Sud America, l’attenzione dell’Ue si è spostata verso l’Asia Centrale, mossa da recenti sviluppi geopolitici: i cinque Paesi post-sovietici non sono mai stati così uniti, e la ritrovata coesione si è manifestata chiaramente a Samarcanda, di fronte ai leader europei.
Operazione Samarcanda: si delinea una partnership strategica
A Samarcanda si è sancito che le relazioni tra Unione Europea e i cinque paesi dell’Asia Centrale hanno raggiunto un livello senza precedenti. Complice la spaccatura che l’America di Donald Trump ha prodotto con i suoi storici alleati europei, oggi Bruxelles allarga l’orizzonte oltre l’occidente.
Nella capitale dell’Impero Timuride, governata col pugno di ferro da Amir Timur detto Tamerlano, si è svolto a inizio aprile il primo summit Ue-Asia Centrale. Un’occasione storica per definire le relazioni strategiche con i cinque paesi centroasiatici. Da una parte Bruxelles ha bisogno di nuovi partner economici e politici, vista l’inaffidabilità di Washington, dall’altra l’Asia Centrale non vuole né finire colonia (economica) cinese né tornare colonia russa, e lo stesso Presidente dell’Uzbekistan Shavkat Mirziyoyev ha parlato della possibilità storica di “rendere prospera la nostra regione”, sottolineando che negli ultimi sette anni il fatturato tra Ue e Asia Centrale è quadruplicato e ora ammonta a 54 miliardi di euro.
Sullo sfondo del vertice, il Corridoio di Mezzo. Titanico progetto volto a collegare le reti di trasporto merci cinesi ed europee attraverso l’Asia Centrale, il Caucaso, la Turchia, e l’Europa Orientale. Prima dell’invasione dell’Ucraina, la quasi totalità delle merci tra Europa e Cina attraversava la Russia lungo la Northern Route. La guerra ha interrotto i legami commerciali e indotto a cercare alternative. È per questo che l’Ue ha già stanziato oltre 10 miliardi di euro per potenziare le infrastrutture del Corridoio di Mezzo, volto a connettere l’Europa orientale con la massa euroasiatica fino alla Cina.
Una sua corretta ed efficiente funzione però non pone solo sfide infrastrutturali, ma anche geopolitiche. Nella dichiarazione congiunta adottata a Samarcanda, i leader europei e centroasiatici non si sono fatti mancare nulla: dalla guerra in Ucraina, ai processi di pace nel Caucaso, fino all’Afghanistan. Un commercio efficiente esiste, se esiste stabilità. Bruxelles ha salutato con favore gli accordi di pace tra Kirghizistan e Tagikistan, ma ha anche sottolineato la necessità di raggiungere la pace anche nel Caucaso dove l’apertura dei confini tra Turchia e Armenia da un lato, e una pace con l’Azerbaijan dall’altro, è di fondamentale importanza per l’Europa. Non è un caso che il Presidente tedesco Steinmeier, nella sua visita nel Caucaso, si sia recato a Yerevan e Baku, ma non a Tbilisi. D’altronde, l’avamposto filo-Ue nella regione si è spostato rapidamente dalla Georgia all’Armenia.
Dal punto di vista ambientale, particolare attenzione è stata posta al lago d’Aral, alla diga di Rogun e alla diga di Kambarata (quest’ultima in Kirghizistan). Nel suo discorso la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha detto che questi ultimi due progetti possono fare della regione un hub di energia pulita (ovviamente si è guardato il bicchiere mezzo pieno). Von der Leyen ha poi salutato con favore i progressi che il Kazakistan sta facendo nel miglioramento della situazione del lago d’Aral e ha assicurato che Bruxelles intende favorire uno sviluppo ambientale sostenibile.
L’Asia Centrale non è mai stata così unita
Il vertice di Samarcanda è stato preceduto da un importante summit trilaterale tra Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan nella storica città tagika di Khujand, nella valle di Fergana. Tale vertice è culminato con la firma di un accordo di demarcazione dei confini tripartiti.
L’accordo raggiunto apre nuove prospettive per rafforzare la fiducia reciproca, garantire la stabilità e promuovere i processi di integrazione nella regione. A testimonianza del clima di cooperazione, i leader dei tre Paesi hanno partecipato alla cerimonia di inaugurazione di una stele simbolica, eretta nel punto in cui si incontrano i confini dei tre Stati.
La convergenza temporale tra questo vertice e il summit di Samarcanda conferisce un’ulteriore importanza allo sviluppo regionale. A porsi come protagonista, è il Presidente dell’Uzbekistan Shavkat Mirziyoyev che può cogliere i frutti della sua “diplomazia della vicinanza”, volta a promuovere stabilità regionale, quale presupposto di crescita economica. In effetti l’interscambio tra Uzbekistan e Kirghizistan nei primi quattro mesi del 2025 è aumentato del 70%, e con il Tagikistan del 30%. Inoltre, l’accordo di Khujand sembra diminuire le tensioni relative al progetto della diga di Rogun.
Da quando ha preso il potere nel 2016, Mirziyoyev ha apportato un radicale cambio di strategia nella politica estera uzbeka per uscire dall’isolamento imposto dalla presidenza del suo predecessore, Islam Karimov. Questa nuova linea si è tradotta in una normalizzazione delle relazioni con Kirghizistan e Tagikistan, e nella promozione di iniziative regionali. Ciò si applica anche alle relazioni con l’Afghanistan, mosse dal principio del “buon vicinato” e collaborazione con le autorità de facto. Ciò è di interesse soprattutto del Turkmenistan che condivide con Kabul oltre 850 km di confine e progetti strategici come il gasdotto TAPI.
L’Uzbekistan ha quindi iniziato a concepire l’Asia Centrale non più soltanto come una regione post-sovietica frammentata, ma come un blocco regionale strategico con una propria identità e una sovranità collettiva da difendere. In un tale quadro, Tashkent si pone come attore guida di un inedito protagonismo geopolitico della regione.
Foto: VYACHESLAV OSELEDKO / AFP