Matvejevic condannato dai "talebani cristiani"

Apprendiamo da Garzanti della condanna a Pedrag Matvejevic: cinque mesi di carcere per aver fatto nomi e cognomi degli scrittori che prestarono le loro penne ai regimi di Milosevic e Tudjman, gettando la Jugoslavia nel baratro della guerra. Per quel che conta, la redazione di East Journal esprime la sua solidarietà allo scrittore bosniaco.

«Pensavo che questa vicenda fosse finita per sempre. Invece i talebani si sono moltiplicati. Ma io non mollo. Pensavo che questa storia fosse finita. Pensavo di non dover mai più risentire di quel processo»: così Predrag Matvejevic ha commentato la condanna della Corte Suprema croata a cinque mesi di carcere (con due anni di condizionale) per aver definito «talebani cristiani» alcuni scrittori nazionalisti, serbi, croati, bosniaci che hanno contriobuito a fomentare le guerre balcaniche: «sugli uomini della penna ricade la colpa di una parte preponderante di quello che è successo».

Per aver scritto questa verità, sei anni fa l’autore di Breviario mediterraneo è stato querelato da Mile Pesorda, uno di questi “scrittori talebani”, scatenando le proteste di scrittori e intellettuali in Spagna, Francia e Italia.
Nei giorni scorsi la Corte Suprema ha stabilito che quella sentenza non fu illegale e che, se proprio Matvejevic voleva rigettarla, avrebbe dovuto ricorrere in appello. «Ma non volevo legittimare quel processo, e dunque non ho mai pensato di ricorrere in appello», commenta ora.

A Zagabria, dove vive attualmente, lo scrittore è oggetto di minacce e intimidazioni, ed è stato attaccatto da alcuni fogli nazionalisti come «nemico della Croazia».
«C’è un nazionalismo piccolo, duro, chiuso che non mi perdona». Ma non sono mancati gli attestati d’amicizia di scrittori e accademici: «si è fatta sentire anche l’ambasciata italiana e tutto questo mi rincuora enormemente».
Sei anni fa lo difese un noto «duro» (e nazionalista) come il premier croato Sanader – nella sua veste istituzionale di poeta e membro del Pen club e non in quella di primo ministro. Dopo la condanna, un giornale autorevole come «Jutranji List» ha deciso di riproporre il testo incriminato.

Nel saggio, Matvejevic, tornato a Mostar, la sua città natale, martoriata dalla guerra, scrive di voler chiamare a rispondere di tutta questa distruzione gli scrittori. Li vorrebbe vedere davanti a un «giurì d’onore» come quelli istituiti in Europa dopo il 1945, perché – sostiene – nessuno ha posto il proprio popolo di fronte allo specchio come fecero nel dopoguerra gli scrittori tedeschi. Al contrario. E cita Dobrica Cosic («maestro del duce serbo»), Ivan Aralica («che sostenne il Supremo croato e usò la sua penna spuntata per giustificare l’aggressione della Bosnia»), Momo Kapor («che teneva il microfono sotto la barba al sedicente gonfaloniere serbo – ovvero Karadzic – mentre questi randellava Sarajevo»). Fa una decina di nomi: serbi, croati, bosniaci, tra i quali il permaloso Pesorda. «Non avrei mai pensato», commenta Matvejevic, «di venire condannato per uno scritto. Ma ho visto che succede anche oggi, e in maniera ancora maggiore che nella Yugoslavia socialista».

Pedrag Matvejevic, l’ultimo degli Jugoslavi

“Siamo abituati a perdere. Ogni giorno qualcuno intorno a noi si allontana o sparisce, un’amicizia o un amore impallidisce o si estingue, la morte si porta via uno dei nostri. Perdere fa parte del nostro destino. Però è raro perdere un paese. A me è capitato. Non parlo di uno stato o di un regime, ma proprio del paese dove sono nato e che, ancora ieri soltanto, era il mio. Non c’è più. Ho amato la Jugoslavia intera, indivisa, unita, senza peraltro essere un nazionalista jugoslavo. Ho fatto miei in uno stesso tempo l’Adriatico e il lago di Ohrid in Macedonia, le Alpi slovene e le rupi montenegrine. Ho considerato serbi e croati come fratelli, in particolare quelli tra loro che, come me, si opponevano allo sciovinismo serbo e croato. Non perdonavo a costoro di disprezzare i bosniaci, di volerli asservire o convertire. Mi sentivo a casa mia in Vojvodina, in mezzo a tante minoranze nazionali, e ho avuto un mucchio di amici nel Kosovo, tra gli albanesi. Mi davo da fare quanto potevo per essere di sostegno, a un piccolo gruppo di italiani rimasti in Istria dopo un tragico esodo, così come ai nostri zingari, dispersi in ogni dove. Gli zingari furono numerosi nel mio paese: qualche volta mi facevo passare per uno di loro”.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Un commento

  1. Allucinante…lo sciovinismo non ha limiti purtroppo…e all’ est impera sempre di più.

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