BALCANI: Diritto all’aborto, la Jugoslavia anticipa la Francia di cinquant’anni

Mentre il mondo celebra la Francia e il suo recente diritto costituzionale all’aborto, nei Balcani occidentali si ricorda l’eredità della Jugoslavia socialista, che aveva inserito il diritto all’aborto nella Costituzione già nel 1974. Un precedente oggi quasi dimenticato, con grande rammarico dei collettivi femministi della regione.

Il primato dimenticato dell’Est

L’Ovest si mette al passo con l’Est, cinquant’anni dopo. In Europa non capita spesso di poter utilizzare questa frase, ma la ricorrenza dell’otto marzo ha rispolverato una questione che pare dimenticata a livello globale. Da qualche giorno la Francia è al centro dell’attenzione dei media mondiali per la decisione storica di inserire nella propria Costituzione la libertà per le donne di ricorrere all’aborto. Le testate internazionali hanno titolato l’evento in modo pressoché unanime, definendo la Francia il primo paese al mondo a includere questo diritto nella Costituzione. In realtà il primato spetta alla Jugoslavia, che sancì questo diritto nella sua Costituzione già nel 1974, dichiarando le donne “padrone del proprio corpo”, e anticipando di un anno la legge francese “Veil” che legalizzava l’aborto in Francia. Un precedente quasi completamente rimosso, che alimenta il rammarico dei gruppi femministi della regione.  

Jugoslavia e diritti delle donne: una sintesi storica

Nella Jugoslavia degli anni Trenta e Quaranta – una società contadina, patriarcale, conservatrice, dove i ruoli tradizionalmente assegnati alle donne erano quelli di moglie, madre e casalinga – le donne non avevano diritti politici e costituivano meno di un quinto (sottopagate) della popolazione occupata. Eppure, nonostante una realtà difficile, in Jugoslavia si cominciò a parlare di aborto già negli anni Cinquanta e Sessanta, quando la pratica fu legalizzata e, al contempo, fu intrapreso un percorso graduale per agevolare le donne che intendessero ricorrervi. Fu comunque la Costituzione del 1974 a garantire definitivamente alle donne il “diritto di decidere liberamente sulla nascita dei propri figli”, diritto limitato “solo per ragioni di tutela della salute” (art. 191). Fu proprio negli anni Settanta che si assistette al declino della visione culturale contadina e all’inserimento sempre più vasto delle giovani nei processi di scolarizzazione, in una modernizzazione che fu ambigua ed incompleta.

Dopo lo smembramento della Jugoslavia, il diritto all’aborto fu mantenuto dalla maggior parte degli stati successori, concepito in modo quasi identico nelle rispettive Costituzioni, soprattutto da Slovenia, Serbia e Macedonia del Nord. La Croazia, a larga maggioranza cattolica, si è invece dimostrata più restrittiva, mantenendo una legge relativa alla libertà di disporre del proprio corpo, ma eliminando questa menzione dalla Costituzione. Fino alla fine degli anni Novanta, in tutta la ex-Jugoslavia l’aborto veniva praticato in modo efficiente, discreto e con costi accessibili.

La situazione attuale

Oggi la situazione è cambiata. Sebbene nella regione dilaghino i valori conservatori, patriarcali e tradizionalisti, spesso promossi da istituzioni religiose sempre più influenti, lo scenario si diversifica di paese in paese: il diritto all’aborto resta saldo in Slovenia, Serbia e Bosnia Erzegovina, mentre in Croazia, Macedonia del Nord e Kosovo il percorso verso l’aborto è diventato assai difficoltoso. In Kosovo, dove il diritto all’aborto è garantito per legge, esso è ancora generalmente associato alla moralità e all’onore della donna, costringendo molte donne in fuga dallo stigma ad abortire in cliniche non autorizzate o utilizzare compresse vendute in farmacia senza prescrizione medica. Lo stesso scenario si ha in Macedonia del Nord, dove le leggi sull’aborto cambiano a seconda dei governi; la riforma del 2019 ha introdotto una serie di modifiche per agevolare la procedura, ma il problema resta culturale: la mentalità tradizionale dominante continua a stigmatizzare le donne che ricorrono alla pratica. 

In Croazia è una vera e propria corsa a ostacoli. Secondo il collettivo femminista fAKTIV, con sede a Zagabria, più della metà dei medici del paese si confessano obiettori di coscienza, rifiutandosi di eseguire l’interruzione di gravidanza in nome del personale credo religioso. Il costo particolarmente elevato dell’operazione, la mancanza di soluzioni medicinali e lo stigma costituiscono altri ostacoli per le donne che spesso sono costrette a recarsi negli stati limitrofi per eseguire l’operazione. Oggi il tasso di aborto in Croazia è il più basso d’Europa, dopo la Polonia – dove l’aborto è stato dichiarato incostituzionale. Sempre in Europa orientale, negli ultimi due anni anche l’Ungheria di Viktor Orbán ha operato una stretta sempre più tenace sui diritti delle donne.

In Serbia, secondo il gruppo femminista del partito d’opposizione Zeleno-levi, il problema attuale non dipende dalla messa in discussione del diritto all’aborto. Per Natalija Simović, coordinatrice del gruppo, ci si dovrebbe piuttosto concentrare sulla questione della violenza ginecologica e ostetrica di cui sono vittime molte donne. In Bosnia, l’iniziativa Sve su to Vjestice (Sono tutte streghe) intende trasmettere l’eredità femminista jugoslava attraverso collaborazioni artistiche e accademiche e contenuti online, a volte umoristici e irriverenti, riportando così la questione tra le nuove generazioni di diversi paesi.

Un’eredità da difendere

Secondo fAKTIV, l’accoglienza internazionale nei confronti del recente caso francese dimostra che l’evento è rappresentativo del rapporto dei paesi occidentali con il resto del mondo. L’approccio pionieristico, progressista ed esplicito della Jugoslavia viene minimizzato, perché attribuito a “un paese che non esiste più”, omettendo al contempo il fatto che il diritto all’aborto è stato mantenuto nelle Costituzioni attuali di alcuni paesi ex-jugoslavi. Ciò che forse sorprende di più è la mancanza di verifica delle informazioni da parte dei media mondiali: le notizie trasmesse in tutto il mondo sul caso francese sono state infatti messe in dubbio solo da una manciata di media regionali, mentre la maggior parte di essi ha accolto all’unanimità la vittoria della Francia, celebrata come pioniera assoluta da importanti testate come Danas, Politika e Radio Slobodna Evropa.

Il revisionismo storico, legato soprattutto alla lotta di una parte della popolazione i cui diritti sono costantemente fiaccati e messi in discussione, non serve a nessuno. Tanto meno nei Balcani, dove spesso è usato dalla classe dirigente nazionalista con fini etno-politici divisivi. Oltre a ribadire la volontà dell’Occidente di imporsi come primo (e unico) difensore dei diritti universali, la narrazione imposta dai media in merito al caso francese scredita quasi un secolo di femminismo. Non si tratta di glorificare il passato, ma di assicurare che le vittorie femministe si imprimano nella memoria collettiva universale, così da evitare il proliferare dei tentativi liberticidi in ogni parte del mondo.

Foto: pagina Facebook di fAKTIV

 

Chi è Paolo Garatti

Storico e filologo, classe 1983, vive in provincia di Brescia. Grande appassionato di Storia balcanica contemporanea, ha vissuto per qualche periodo tra Sarajevo e Belgrado dove ha scritto le sue tesi di laurea. Viaggiatore solitario e amante dei treni, esplora l'Est principalmente su rotaia

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