Navalny

Navalny, come muore un oppositore politico russo

Il 16 febbraio Alexej Navalny è morto nel carcere russo IK-3, nella regione di Yamalo-Nenets.

Dell’omicidio – perché questo è stato, a prescindere dalla causa ultima della morte – non si sa ancora molto, e sul perché il decesso sia avvenuto proprio in questi giorni si possono solo fare speculazioni, per ora.

Un dissidente tra gli altri?

Essere uccisi per motivi politici in Russia, oggi, significa essere ascritti alla lunga lista di persone che il Cremlino – e quindi Putin – hanno voluto morte. Una lista che va da Anna Politkosvkaja a Boris Nemtsov, da Anastasia Baburova ad Alexander Livtinenko, passando da tutte quelle persone che si trovano oggi in carcere – come Vladimir Kara-Murza – o all’estero.
Una lista di cui è importante conoscere ciascun nome e la relativa storia: non soltanto per restituire loro dignità, ma soprattutto per non correre il rischio di riunire sotto un’unica definizione le posizioni politiche e i differenti metodi di protesta di attivisti, politici o giornalisti, pur uniti dalla comune battaglia contro Putin. In questo senso, anche Navalny è stato unico: è stato uno degli ultimi – se non l’ultimo – a rifiutare una “guerra a distanza”, un’opposizione esclusivamente morale, che basasse la propria contestazione sulla semplice sopravvivenza in esilio.

Opposizione in loco

Quando, nel 2021, Navalny decise di tornare in Russia dalla Germania, dove era stato ricoverato a seguito dell’avvelenamento da parte di alcuni agenti dell’FSB, non significò soltanto sposare la causa del “giusto martirio”, ma anche affermare l’idea di una rivolta, di un’opposizione fatta con il corpo, fisica, nelle piazze e nelle strade di una Russia in cui dirsi contrari a Putin è diventato impossibile, se non nel privato. Le parole affidate al documentario Navalny, del regista canadese Daniel Roher (“Se decidono di uccidermi, vuol dire che siamo fortissimi. […] Il male, per trionfare, ha solo bisogno che i buoni non facciano nulla”), sono, in un certo senso, la summa di questa teoria, che, a prescindere dalla sua reale efficacia – o dalla sua ingenuità -, non si rassegna alla capillare repressione del Cremlino, e che, ancora in questi giorni, ha spinto tante persone in piazza, a Mosca e a San Pietroburgo, nonostante la quasi certezza di essere arrestati, identificati o picchiati.

Scomodo?

È difficile dire se Navalny abbia mai rappresentato una concreta minaccia al sistema putiniano o meno. Certamente il Cremlino lo avrebbe preferito in Germania, ma ciò non significa che avesse il seguito, il mordente, gli agganci o l’organizzazione per sovvertire l’intero sistema. Tuttavia, Navalny è riuscito a diventare un simbolo di questa lotta, limando e rivedendo le proprie posizioni sui temi più divisivi, creandosi una certa fama all’estero, utilizzando il suo ascendente sui social e dal vivo, e insomma contribuendo alla propria “monumentalizzazione” – come d’altronde si conviene a chi si fa carico di sfide di questa portata.

Tra qualche settimana si terranno le elezioni presidenziali in Russia: poco più di una farsa il cui risultato è oltremodo scontato. Elezioni rispetto alle quali la presenza di Navalny, vivo e in carcere, non avrebbe fatto, con tutta probabilità, alcuna differenza. Eppure, in un paese che ha abbandonato progressivamente il cinico calcolo politico (attribuitogli da Tucker Carlson nel suo piuttosto penoso intervento di qualche giorno fa) a favore di una gestione tutta personalistica del potere, è possibile che anche Navalny fosse percepito come scomodo.

Quasi un secolo

L’opposizione russa nel paese e all’estero, orfana del suo esponente più noto ed esplicito, punta così sempre più alla mera sopravvivenza, piuttosto che alla resistenza attiva. C’è una poesia di Anna Achmatova del 1934 – quando già, quasi un secolo fa sopravvivere, per alcuni dissidenti, voleva dire in qualche modo contestare il potere politico – che fa più o meno così: “Привольем пахнет дикий мед / Пыль — солнечным лучом, / Фиалкою — девичий рот, / А золото — ничем. / Водою пахнет резеда, / И яблоком — любовь. / Но мы узнали навсегда, / Что кровью пахнет только кровь…”: Il miele selvatico sa di libertà, / la polvere di raggio di sole, / la bocca verginale sa di viola, / e l’oro non sa di nulla. / La reseda sa d’acqua, / e l’amore di mela, / ma noi abbiamo appreso per sempre / che il sangue sa solo di sangue…

Oggi la morte di Alexei Navalny ha quello stesso sapore.

 

Foto: WikiMedia Commons

Chi è Davide Cavallini

Laureando in Storia. Cuore diviso tra la provincia est di Milano e l'Est Europa. Dopo svariati viaggi in Romania tra turismo e volontariato incomincia a scrivere per East Journal. Appassionato di movimenti giovanili, politiche migratorie e ambientali.

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