Venerdì scorso l’Ungheria ha fatto tremare Wall Street e ha messo a dura le prova le coronarie di Bruxelles. Motivo? Il giorno prima Lajos Kósa, vice presidente di Fidesz e sindaco di Debrecen, in una conferenza stampa locale ha dichiarato che: “l’economia ungherese versa in una situazione molto grave. Non penso affatto che sia un’esagerazione parlare di un rischio default“. Default è uno di quegli anglismi che attenuano – e rendono un tantino cool– disastri come la bancarotta. Una bancarotta dovuta, secondo Kòsa, a numeri “manipolati” dal precedente governo che “mentono” sulla situazione reale dell’economia del Paese. Ed ecco il finale in bellezza: “sono molto tenui le possibilità per il Paese di evitare una situazione simile a quella greca“. Una boutade propagandistica? Nient’affatto. Il portavoce del governo Péter Szijjártó conferma.
Venerdì la borsa di Budapest (e non solo lei) si alza con la febbre: -8%. Una batosta. Le già traballanti gambe dell’economia europea fanno giacomo-giacomo. Segue un tranquillo week end di paura. Lunedì Mihály Varga, deputato di Fidesz e segretario con delega al fisco, accortosi della frittata, sale in cattedra e afferma che il paese non ha problemi nell’autofinanziarsi, “nonostante la precedente amministrazione abbia mentito circa il vero stato del bilancio”, ci ha tenuto a ribadire. Nella conferenza stampa di sabato, Varga ha detto: “I commenti che sono stati rilasciati riguardo ad un possibile crollo, sono esagerati e se vengono da colleghi del governo, li ritengo anche infelici.”
Infelici? Ora, il lettore italiano è aduso alle retoriche scaricabarilistiche del tipo: “E’ colpa dei precedenti governi”. In Ungheria, però, lo è davvero. Vent’anni di potere socialista -con tutte le sue corruttele– hanno senz’altro infiacchito il Paese. Fidesz è un partito giovane (anche nell’età dei suoi componenti) fatto di liberali rampanti dalle grandi ambizioni. Dichiarazioni come quelle di Kòsa, però, non sono solo “infelici” ma sembrano testimoniare una certa dose di immaturità e un uso populistico dell’economia che ricorda italiche pastette di luoghi comuni. Nel suo articolo odierno Agnes Bencze illustra le misure di austerità pensate dal governo di Viktor Orban, ed è evidente che Fidesz -dietro la facile retorica- abbia un progetto di governo. E ciò può stupire l’italico lettore avvezzo a populismi che sono come i villaggi dei cow-boy negli spaghetti western: pura facciata.
Finita la tempesta sorge però un dubbio. Orban e i suoi si erano prodigati -durante la recente campagna elettorale- in promesse di ripresa dagli accenti talvolta miracolistici. Ma di miracoli non è proprio tempo. Certo questo non si può imputare ad Orban -vittima di “congiunture negative” e costretto a fare i conti con “l’eredità dei governi precedenti”- che anzi è stato rapido nel mettere a punto un pacchetto di misure d’austerità in linea con quanto chiesto dall’Unione. Il dubbio, dicevamo, è che Fidesz cerchi di nascondere l’impossibilità a mantenere le promesse fatte in campagna elettorale con una retorica che -se mal gestita- può avere gravi conseguenze economiche. Il risultato di questa tragicommedia è stato negativo soprattutto per l’Ungheria: il Fiorino ha perso il 4,8% contro l’euro in due giorni. Chapeau Monsieur Kòsa.
2 commenti
Pingback: UNGHERIA: Kòsa e l’eredità dei governi precedenti (via EaST Journal) « EaST Journal
Pingback: UNGHERIA: Budapest ha la sua ‘legge bavaglio’ « EaST Journal