UNGHERIA: Orbán e la mossa del cavallo

Insolite le scelte del premier ungherese sullo scacchiere occidentale. In vista delle prossime elezioni nazionali.

Da BUDAPEST – Che la scena politica sia in continuo divenire e che i leader internazionali ci abbiano ormai abituato a repentini stravolgimenti è un dato di fatto, ma mai ci saremmo aspettati che il premier ungherese Orbán ne diventasse protagonista. Da settimane non si fa che parlare di lui. La sua idea di democrazia illiberale, l’eterno conflitto con Bruxelles, il niet all’ingresso dell’Ucraina nella NATO e nell’UE sono solo alcuni dei punti salienti di una politica estera che recita un ruolo di primo piano, ma che nasconde profonde contraddizioni.

Il vociferato incontro di fine ottobre a Budapest tra Trump e Putin per trovare una soluzione alla guerra in Ucraina è saltato in poche ore, ma tanto è bastato per far assurgere Orbán al ruolo di facilitatore della pace. Ospitare i due leader internazionali nella splendida cornice di una delle capitali più belle d’Europa avrebbe significato per il governo magiaro un’occasione più unica che rara per svolgere il ruolo di mediatore. Anche il mandato di arresto internazionale che pende sulla testa di Putin dal 2023 non avrebbe rappresentato un problema, considerato il fatto che l’Ungheria ha avviato quest’anno la procedura di recesso dallo Statuto di Roma, che ha istituito la Corte penale internazionale.

La mossa del cavallo

L’occasione perduta, a seguito della telefonata non troppo amichevole tra Rubio e Lavrov del 21 ottobre scorso, non ha scoraggiato Orbán che con una serie di azioni astute, non lineari e imprevedibili, quelle che in politica si chiamano le mosse del cavallo, è rimasto protagonista della scena. A quale prezzo, però, non è ancora chiaro. Ai primi di novembre si è recato in visita ufficiale da papa Leone XIV.  A Roma ha incontrato anche Salvini e la premier Meloni suscitando non poche polemiche per le sfacciate dichiarazioni anti Ue. E poi è stata la volta della Casa Bianca. Accolto con grandi onori da Trump, Orbán ha ottenuto l’impensabile: l’esenzione dalle sanzioni volute da Washington sull’oleodotto Druzhba (Дружба) e sul gasdotto Turkstream.

Ma quali sono i reali obiettivi di Budapest? La priorità assoluta di Orbán è che Trump venga in visita ufficiale in Ungheria prima delle elezioni politiche nazionali. Pur essendo il cavallo di Troia di Putin (e di Xi JinPing) nell’Ue e nella Nato, il leader di FiDeSz ha sempre mantenuto stretti contatti con il presidente americano, che vede in lui un modello da seguire e nell’Ungheria una «Disneyland conservatrice cristiana». Secondo Zsuzsanna Végh, analista politica presso il German Marshall Fund of the United States, quello che sta più a cuore a Orbán è la vittoria alle prossime elezioni di aprile.  Una visita di Trump rafforzerebbe il suo ruolo di statista e darebbe energia alla sua base conservatrice, entrambi minacciati come non mai dal leader dell’opposizione Péter Magyar.

Il fatto che la politica interna sia la sua priorità è suffragato anche dalla recente notizia che Indamedia Network ha acquistato la proprietà di Blikk, uno dei quotidiani più letti in Ungheria, grazie ad un credito di 12,92 miliardi di fiorini da parte della MBH Bank, controllata da Lőrinc Mészáros, fedelissimo di Orbán. Il controllo dei media è un’altra mossa del cavallo, strategica in vista delle consultazioni nazionali.

Orbán a Washington

L’incontro di Washington è stato più commerciale che politico. A parte i reciproci convenevoli, la posta in gioco è stata l’esenzione dalle sanzioni sul greggio russo in cambio dell’acquisto di armi americane per un valore di 700 milioni di dollari, di gas naturale liquefatto (GNL) per circa 600 milioni di dollari e, dall’azienda americana Westinghouse, di elementi combustibili nucleari per i reattori sovietici VVER-440 in funzione nella centrale di Paks e in costruzione in quella chiamata Paks II. Il tutto per una cifra che si aggira intorno a 1,4 miliardi di dollari, 466 miliardi di fiorini al tasso di cambio attuale.

C’è però un altro prezzo che l’Ungheria dovrà pagare, l’indeterminatezza. Che di questi tempi può costar caro. Di quali armi si è parlato nell’accordo? Verranno comprate con le risorse interne o con le risorse del piano di riarmo europeo? Anche l’accordo con la Westinghouse nasconde alcuni interrogativi. Al momento attuale la centrale Paks acquista barre ed altri elementi combustili nucleari dalla società russa TVEL e dal 2027 dalla francese Framatome. Qual è dunque il vantaggio politico/economico/tecnologico di avere tre fornitori diversi?

L’esenzione dalle sanzioni statunitensi è stata sbandierata come una vittoria politica, ma lo è veramente? Ci si chiede infatti se la dipendenza dal greggio russo sia effettiva o se non sia piuttosto frutto di scelte suicide da parte del governo Orbán, come quella di non cercare altri canali di approvvigionamento come l’oleodotto Adria (gestito dalla società croata Janaf). La mancanza di sbocchi sul mare viene da Orbán presentata come la ragione ineluttabile per la quale Budapest dipende da Mosca nel campo delle forniture energetiche. Ma cosa faranno ora Praga e Bratislava che condividono con l’Ungheria la stessa condizione geografica? Seguiranno l’esempio ungherese?

Dall’incontro di Washington non è chiaro nemmeno se la deroga alle sanzioni sia temporanea o permanente, e neanche se sia flessibile o rigida.

E visto come Trump gestisce la questione dei dazi doganali, non c’è da stare sereni.

Foto: 24.hu

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