Quasi un breviario mitteleuropeo per conoscere l’Europa centrale

Che cos’è l’Europa centrale? Nonostante i suoi paesi facciano parte dell’Unione, conosciamo ancora poco questa parte d’Europa, la sua storia, la sua politica e la sua cultura, confusi dalla vecchia e obsoleta divisione Est-Ovest risalente alla Guerra fredda. Francesco Matteo Cataluccio restituisce il senso dell’Europa centrale in un libro straordinario.

Il 9 ottobre 1986 lo storico Timothy Garton Ash pubblicò sul New York Review of Books un articolo intitolato Does Central Europe Exist?, per ricordare ai lettori inglesi e americani che «Berlino Est, Praga e Budapest non sono proprio nella stessa posizione di Kiev e Vladivostok» e che «la Siberia non comincia al Checkpoint Charlie». Due anni prima Milan Kundera aveva scritto sulla stessa rivista che per un ungherese, un ceco, un polacco «la parola “Europa” non rappresenta un fenomeno geografico ma una nozione spirituale sinonimo di “Occidente”».

L’Europa ha avuto tante definizioni quanti sono stati gli stravolgimenti che questo continente ha conosciuto nella sua storia. Nel secondo Novecento l’Europa centrale sembrò sparire per lasciare spazio ad un grande Est che ne prese prepotentemente il posto, finendo per essere contrapposta ad un Ovest che se ne andò per la sua strada. Chiunque abbia messo piede a Varsavia, a Praga o a Budapest non può non rendersi conto dell’arbitrarietà di questa divisione. La quale, tuttavia, a distanza di trent’anni dalla dissoluzione del blocco comunista, è sopravvissuta nella percezione comune degli europei occidentali, che di cosa ci sia oltre Berlino sanno poco e male.

C’è un libro che restituisce la specificità trascurata dell’Europa centrale: Vado a vedere se di là è meglio (Sellerio, 2010). L’autore, Francesco Matteo Cataluccio, profondo conoscitore della Polonia, offre in una splendida prosa un “quasi un breviario mitteleuropeo” (è il sottotitolo dell’opera), scritto sulla base di un’alchimia essenziale fatta di viaggio, lingua e letteratura.

Pagina dopo pagina Cataluccio racconta le vicende di un’Europa centrale segnata da una storia comune. Numerosi popoli, situati ognuno con la sua lingua e religione lungo i territori di tre imperi, che diventano nazioni, contrapponendosi a vicenda, non senza aver prima originato una grande mescolanza culturale dalle componenti slave, ebraiche, tedesche, baltiche. Poi la tragedia di una guerra coloniale e di sterminio, e in seguito la definizione di nuove frontiere, le deportazioni, e quarant’anni di regime comunista.

Claudio Magris ha ricordato, rifacendosi a Manzoni, che la storia accerta i fatti e la letteratura racconta come sono stati vissuti. Non avrebbe avuto senso snocciolare una successione di eventi storici se Cataluccio non avesse fatto ricorso alla letteratura ed al ricordo che lo lega personalmente ai grandissimi autori del Novecento. I quali, in diversa misura, hanno interpretato la condizione morale, politica ed intellettuale di un’Europa centrale sommersa dall’Est.

Prendendo come punto di riferimento le città – che, per parafrasare l’autore, proprio come gli amici e a differenza dei fratelli, si scelgono (p. 34) – Cataluccio ricostruisce la storia dei luoghi dando espressione alle sue memorie personali fatte di incontri, storie e volti. Racconta allora l’Europa centrale per mezzo del viaggio e delle parole che i grandi autori e poeti gli hanno personalmente pronunciato: Miłosz, Kapuściński, Hrabal, Kundera, Brodskij, Szymborska, impossibile citarli tutti.

La storia delle città si intreccia indissolubilmente ai destini personali di chi ha cercato il senso dell’esistenza al di là dell’esilio, della censura, delle privazioni esercitate dai regimi. Vengono rievocate, tramite il ricordo, le parole dei poeti, mescolate ai suoni delle birrerie e agli odori delle taverne, alle luci soffuse di salotti saturi di fumo nel pieno di conferenze clandestine, al colore delle strade innevate che conservano una dignità antica.

A gravare su queste città polacche, lituane, ceche, ungheresi è il tragico senso di vuoto lasciato dallo sterminio degli ebrei. I quali, con la loro letteratura e la loro plurisecolare presenza, hanno lasciato una traccia indissolubile sull’Europa centrale che si è voluto cancellare. «Nessun polacco» scrive Cataluccio, «potrebbe affermare di non avere in sé qualcosa di ebraico» (p. 22), e tuttavia della loro esistenza non è rimasta che l’ombra. «Il mondo degli ebrei» ha detto Danilo Kiš, «è un mondo scomparso, un mondo di ieri, e come tale si trova nel campo di una realtà non-reale» (p. 179).

Nonostante l’ingresso di molti di questi paesi nell’Unione Europea, continuiamo a trascurare la straordinaria testimonianza letteraria e politica, oltre che l’esperienza umana, lasciata dall’Europa centrale. Il libro di Cataluccio offre un sentiero indispensabile per conoscere in profondità la grande cultura europea, senza fraintendimenti provocati dalla pigrizia o esclusioni dovute a pregiudizi. Una via essenziale, come scrive l’autore, per stare al mondo da viandanti.

Immagine in evidenza: Bronisław Krawczuk, Zimowy pejzaż miejski, 1994

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