Serbia Vucic

SERBIA: Con la vittoria di Vucic, Bruxelles tira un sospiro di sollievo

di Alejandro Esteso Pérez* – Apparso su Balkan Insight, 28 dicembre 2023. Traduzione a cura di East Journal

Senza sorprendere nessuno, il Partito progressista serbo, SNS, del presidente Aleksandar Vucic ha dichiarato una schiacciante vittoria alle ultime elezioni del 17 dicembre. Non solo il SNS ha ottenuto la maggioranza assoluta nell’Assemblea nazionale, con 130 seggi su 250, ma è riuscito a mantenere il potere anche nella grande maggioranza delle oltre 60 città e comuni, nonché nella provincia settentrionale della Vojvodina, anch’essi chiamati alle urne.

La giornata elettorale è stata segnata da evidenti irregolarità, forse tra le maggiori mai registrate. Oltre ai già consueti casi di reclutamento e cancellazione di massa di elettori, gli osservatori hanno testimoniato l’istituzione di un seggio elettorale illegale presso l’Arena di Belgrado, dove decine di cittadini dell’entità bosniaca della Republika Srpska sarebbero stati trasportati in autobus per votare. I rappresentanti dell’opposizione hanno denunciato di aver ricevuto minacce dalla polizia alla vigilia elettorale e esser stati aggrediti fisicamente il giorno del voto.

Al di là dei, e nonostante, i pochi messaggi di preoccupazione provenienti dall’Occidente riguardo alla dubbia trasparenza, equità e libertà registrate in queste elezioni, la sorprendente vittoria di Vucic è, di fatto, una benedizione per l’Unione Europea. In un contesto attuale in cui il Presidente è destinato a rimanere capo di Stato almeno fino al 2027, e dove le proteste Srbija protiv nasilja (Serbia contro la violenza) non sono riuscite a contestare seriamente la supremazia del SNS, sia Belgrado che Bruxelles possono ora continuare ad indulgere nella storia, lunga anni, di reciproca convenienza e co-dipendenza.

Scudo di conforto per Bruxelles

I corsi e ricorsi delle relazioni UE-Serbia, da quando Vucic e il SNS hanno preso il potere, sono inquadrati nel ruolo strumentale di Belgrado all’interno dell’agenda geopolitica di Bruxelles – poiché, nel complesso, l’UE ha perseverato nella sua politica di appeasement nei confronti della Serbia.

Da un lato, c’è il timore diffuso che la Serbia si avvicini alle sfere di influenza autoritarie di Russia e Cina, e sia la Commissione europea che gli Stati membri sono riluttanti a rischiare di raggiungere un punto critico e di rompere l’abile equilibrio geopolitico di Belgrado.

D’altro canto, i difetti democratici della Serbia forniscono un ottimo pretesto per la stagnazione del processo di allargamento dell’UE, contribuendo a evitare di riconoscere le attuali carenze di una politica che non è più meritocratica e credibile.

Inoltre, restano pochi dubbi sul fatto che la linea Bruxelles-Belgrado passa anche da Budapest. Il ruolo dell’Ungheria – “pecora nera” dell’UE, “cavallo di Troia” o altro mammifero a scelta – è determinante per le relazioni tra UE e Serbia, poiché fornisce a Bruxelles l’alibi perfetto per giustificare la propria riluttanza ad agire contro la repressione democratica di Belgrado. La perenne minaccia del “veto Orbán”, ben visibile di recente sull’adesione UE dell’Ucraina e che sicuramente verrebbe evocato se si prendessero in considerazione misure punitive contro la Serbia, è un importante cuscinetto strategico che offre a Bruxelles uno scudo morale per spiegare la sua inazione.

Anche al di là dell’asse di amicizia Orbán-Vucic, tali misure punitive, come il congelamento dei colloqui di adesione all’UE o l’adozione di sanzioni economiche, non ottengono la necessaria popolarità tra gli Stati membri; una Serbia sanzionata avrebbe un impatto negativo sulle loro stesse economie.

L’ingannevole candidatura della Serbia all’UE non è una perdita per nessuno

La perdita di interesse della Serbia per l’adesione all’UE è evidente da diversi anni, ma ciò non ha impedito a Vucic di tenere con successo sotto controllo i burocrati di Bruxelles e gli Stati membri. In quanto tale, le coccole dell’UE sono un piacere molto apprezzato dalle élite di governo della Serbia, allo stesso modo in cui la continuità politica a Belgrado è diventata comodamente strumentale per Bruxelles – una situazione vantaggiosa per tutti che nessuna delle due parti è disposta a sbilanciare.

Sin dal suo ritorno al potere nel 2012, Vucic ha trasformato il panorama interno della Serbia fino al punto che l’adesione all’UE non è più un obiettivo da perseguire, per non parlare di un’aspirazione che sarebbe nell’interesse politico o economico del paese.

L’evidente non conformità della Serbia con (e il rifiuto dei) valori fondamentali dell’UE, il consolidamento delle amicizie con le controparti autocratiche di Mosca, Pechino e Ankara e le sue incessanti rivendicazioni sul Kosovo, sono tutti segnali che l’adesione di Belgrado all’UE è, nella migliore delle ipotesi, di fatto congelata.

Vucic e il suo entourage hanno la consapevolezza strategica che vale la pena preservare lo status quo. Esso consente alla leadership serba di continuare a trasmettere l’illusione che il paese sia impegnato nell’adesione all’UE, beneficiando al tempo stesso dei soldi di Bruxelles e avvicinando Putin, Xi ed Erdoğan in ogni momento in cui è necessaria una moneta di scambio. Inoltre, quando è emersa la crisi del COVID-19, le istituzioni UE non hanno mostrato disagio nei confronti della bizzarra narrativa di vittimizzazione e amarezza contro Bruxelles, cui Vucic non esita a fare ulteriore uso, quando utile.

Nel frattempo, né la Commissione né gli Stati membri sono stati disposti a riflettere criticamente sugli attuali modelli finanziari, in base ai quali i capitali UE sono pompati nel meccanismo di cattura istituzionale di Vucic, aggrappandosi alla speranza che ciò conduca magicamente al risveglio democratico della Serbia. Sebbene la mancanza di autocritica riguardo a questi trasferimenti finanziari non sia una novità, le istituzioni UE avrebbero avuto la possibilità di riscattarsi in parte attraverso un riconoscimento più esplicito della coalizione Srbija Protiv Nasilja, vale a dire la principale opportunità che il paese aveva di invertire la sua deriva autocratica.

Lungi dall’intraprendere una svolta rischiosa (ma coraggiosa) che metterebbe a repentaglio i suoi legami sicuri e ben coltivati con Vucic e il SNS, la mancanza di impegno pubblico da parte dell’UE nei confronti di una piattaforma politica che pone al centro il percorso della Serbia verso l’UE – una mossa altrimenti ovvia – rivela la sua incapacità di fondo di sostenere le forze democratiche nel paese.

Molto rumore per nulla?

La Serbia di Vucic si sta dirigendo verso un panorama politico irrespirabile di ancora maggiore repressione delle voci critiche, debitamente costruito su una piattaforma di dominio potenziata e incoraggiata dalla piena acquiescenza di Bruxelles. Sembra che le affermazioni e le prove dell’opposizione filo-democratica, le conseguenti proteste davanti alla Commissione elettorale serba e i rapporti delle missioni di osservazione internazionali siano viste, nel complesso, come una reazione eccessiva che dovrebbe essere invece affrontata a livello domestico.

Allo stato attuale, la leadership della coalizione di opposizione ha avviato uno sciopero della fame finché i risultati elettorali non verranno ribaltati, e la situazione rischia di aggravarsi ulteriormente a seguito dei recenti episodi di violenza presso l’Assemblea di Belgrado. Sebbene i rappresentanti dell’UE restino generalmente cauti ed evitino di esporsi al rischio, una escalation potrebbe richiedere dichiarazioni pubbliche di preoccupazione o sostegno, il che dovrebbe comportare il mettere in dubbio l’equità e la libertà di queste elezioni. La questione finale resta, tuttavia, se la Commissione e gli Stati membri siano pronti a rischiare il lungo matrimonio di convenienza con Belgrado per il sostegno e la credibilità dei principi dell’UE.

*Alejandro Esteso Pérez è uno scienziato politico e ricercatore specializzato in allargamento dell’UE e politica dei Balcani occidentali. È Fellow 2023 presso il Balkans in Europe Policy Advisory Group (BiEPAG) e docente esterno sulla politica contemporanea dei Balcani occidentali presso l’Università Complutense di Madrid (UCM). Attualmente frequenta gli studi di dottorato presso l’Università di Graz in Austria.

Foto: Darko Vojinovic/AP/dpa

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