Robert Fico filorusso

SLOVACCHIA: Robert Fico è davvero filorusso?

“Non un singolo proiettile sarà mandato in Ucraina”, questa la promessa elettorale di Robert Fico, leader del partito social-democratico SMER – SD, che ha ottenuto la maggioranza relativa alle recenti elezioni parlamentari slovacche con il 23% dei consensi. Già in passato Fico aveva chiesto di eliminare le sanzioni alla Russia, sancite dall’UE all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, ma durante la campagna elettorale si è spinto oltre, affermando che la responsabilità della guerra va ascritta ai “fascisti ucraini”.

Si tratta di argomenti che attingono direttamente alla propaganda del Cremlino. Tuttavia il partito di Fico, che siede tra le fila del Partito socialista europeo, non presenta affinità ideologiche con il putinismo. Piuttosto, esso si colloca nell’alveo di quel nazional-populismo diffuso in Europa centro-orientale, che fa dell’opportunismo un efficace strumento di successo politico. Ed è per opportunismo che Fico ha dichiarato la propria contrarietà all’invio di armi all’Ucraina. Ecco perché definire Fico un “filorusso” appare semplicistico, egli è molto altro.

Negli anni, Fico ha saputo cavalcare sia il nazionalismo, sia l’europeismo, a seconda della bisogna. La guerra si presenta oggi come l’ennesima occasione per riscuotere consenso elettorale, deformando, mistificando, strumentalizzando la realtà. I giornali si sono affrettati a definirlo – oltre che “filorusso” – come un populista euroscettico, Eppure fu proprio lui a definire – in un celebre discorso – l’adesione della Slovacchia all’Unione Europea come “una storia di successo”. Ancora nel 2017 ha ribadito la propria distanza dall’euroscetticismo dichiarandosi vicino alle posizioni di Berlino e Parigi. Insomma, lui non era mica come Orbán o Kaczynski: “Abbiamo un forte legame con i paesi vicini, ma abbiamo interessi vitali che ci avvicinano all’UE”. L’anno prima, nel 2016, aveva però dichiarato che l’UE “è governata da burocrati distanti dalla realtà” simpatizzando al contempo per la Brexit. Quindi chi è Robert Fico? Per capirlo, dobbiamo allargare lo sguardo ai fenomeni politici in atto nella regione. E al gruppo Visegrád, in particolare.

Affinità e divergenze con i quattro di Visegrad

Il gruppo di Visegrád, alleanza culturale e politica dei paesi dell’Europa centro-orientale, fondata su interessi comuni – dall’adesione alla NATO all’ingresso nell’UE – siglata nel 1991, è un accordo di cooperazione politica che riunisce PoloniaUngheriaRepubblica Ceca e Slovacchia, allo scopo di favorire lo sviluppo economico della regione. Negli ultimi anni, il quartetto di Visegrád ha trovato unità e coesione attorno all’opposizione ad alcune politiche dell’Unione Europea, come la redistribuzione dei migranti e le politiche in materia ambientale, portando contestualmente avanti riforme illiberali che hanno minato lo stato di diritto, l’indipendenza della giustizia, la libertà di stampa. Così i ‘quattro’ sono divenuti il modello per tutte le destre sovraniste europee. Tuttavia l’unità del gruppo di Visegrád è sempre stata apparente. E la guerra ha portato alcuni nodi al pettine.

La Polonia è fin dall’inizio in prima linea nel sostegno a Kiev. rinsaldando la propria appartenenza alla NATO. Viceversa, il premier ungherese, Viktor Orbán, non ha mai nascosto la propria simpatia per il Cremlino. Nei suoi dodici anni di governo è volato a Mosca ben dodici volte, costruendo con la Russia un rapporto di collaborazione che non si è incrinato. La Slovacchia ha fin qui mantenuto una posizione di sostegno all’Ucraina ma le cose potrebbero cambiare.

La posizione della Slovacchia

È probabile che il cambiamento non sarà così radicale. Certo, qualora assuma la guida del governo, Fico favorirà l’invio di aiuti umanitari mettendo i bastoni tra le ruote all’appoggio militare, ma non allo scopo di favorire Mosca. Lo scopo è quello di alimentare una polemica anti-europeista da utilizzare per finalità di consenso interno. Nel mirino non ci finirà la NATO – poiché nessuno a Bratislava metterà mai a repentaglio la propria sicurezza avventurandosi in alleanze col Cremlinoma ci finirà l’UE, accusata di sostenere una guerra che nuoce agli interessi del vecchio continente. Una posizione, a ben vedere, condivisa da molti in Europa e di cui Fico sarà abile interprete. L’Unione Europea, quindi, e non la Russia è l’obiettivo polemico di Fico.

La controrivoluzione

Alla base della critica verso l’Unione Europea, di cui Orbán, Fico e i Kaczynski sono portavoce, c’è un malinteso storico. All’indomani della caduta del Muro di Berlino, i paesi dell’Europa centro-orientale hanno dovuto costruire dal niente istituzioni moderne, tali da garantire ai cittadini diritti e libertà. Tuttavia, mentre da un lato procedevano nello state-building, ricostituendo la nazione ritrovata, dall’altro la sovranità appena acquisita veniva reclamata dal processo di integrazione europea. Si è trattato di un passaggio difficile e per certi versi penoso, unico nella storia. L’integrazione europea era però un obiettivo primario, sia per ragioni di ordine geopolitico, sia per poter accedere ai cospicui aiuti economici messi a disposizione per l’integrazione. Tuttavia, la cessione di sovranità non è mai stata del tutto digerita e continua a generare frizioni e cortocircuiti che politici opportunisti sono abili a intercettare ed alimentare.

La democrazia illiberale

La Russia è il modello delle democrazie illiberali che si stanno affermando in Europa centro-orientale. Da ormai una decina d’anni si assiste all’erosione e a al deconsolidamento del sistema democratico, che procede a velocità diverse nei vari paesi e che non ha sempre punti in comune. Tuttavia l’indebolimento dello stato di diritto e la costruzione di quella che chiamano “democrazia illiberale”, sono elementi diffusi in vario grado a tutti i paesi della regione. I timori che la Slovacchia guidata da Fico possa seguire questa strada sono forti.

Prima della guerra, erano molti i partiti europei che esprimevano un’esplicita vicinanza al modello politico putiniano, campione di sovranismo e alternativo rispetto al modello liberale incarnato dall’Unione Europea. Il sostegno alla Russia, le magliette di Putin, la diffusione della propaganda del Cremlino, servivano anzitutto come arma contro l’Unione Europea e come strumento di consenso elettorale. A causa della guerra, è oggi meno conveniente usare la Russia come modello, ma non è impossibile. Basta fare come Fico, opporsi all’invio di armi e dare dei fascisti agli ucraini. Non è abbastanza per essere definiti “filorussi” ma senz’altro sufficiente per guadagnare qualche consenso elettorale.

Voglio andare a vivere in campagna?

Il tema del sostegno a Kiev non è nemmeno così centrale per gli elettori di Fico. Il bacino elettorale dello SMER-SD sono infatti le aree rurali, dove anziani e contadini si interessano della guerra nella misura in cui ritengono influenzi il costo della vita e il pieno di benzina. Il malcontento per la guerra è un riflesso egoistico, si stava meglio quando si stava peggio, e così via. È a questa gente che parla Fico quando promette “non un solo proiettile” all’Ucraina, cavalcando la frustrazione della gente e alimentando interpretazioni semplicistiche ma facili da vendere: la colpa è dell’Europa, a Kiev sono degli estremisti, meglio se la Russia vinceva subito. Ma da qui all’essere realmente “filorusso” ce ne passa.

Fico è molto peggio, è ambiguo, voltagabbana, trasformista, sempre circondato da corruttele e malaffare. È uno che fa politica per tornaconto personale. Non vale una scarpa di Orbán o di Kaczynski, che hanno invece una visione – storica, culturale, politica – della società “illiberale” che vogliono realizzare. Rappresentarlo come un putiniano, un filorusso, è macchiettistico e risponde solo alla necessità di metterlo nel campo dei cattivi. Campo in cui può anche stare benissimo, come c’è sempre stato, anche senza bisogno di chiamarlo “filorusso”.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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