Presentato nella sezione collaterale L'Acid di Cannes, In The Rearview del Polacco Maciek Hamela è uno dei documentari più sorprendenti che racconta la guerra in Ucraina.

CINEMA: Cannes, l’Ucraina dentro un minivan in In the rearview di Maciek Hamela, l’intervista

Presentato nella sezione collaterale L’Acid di Cannes, In The Rearview del Polacco Maciek Hamela è uno dei documentari più sorprendenti che raccontano la guerra in Ucraina

A più di un anno dal febbraio 2022, i documentari che raccontano l’invasione russa in Ucraina sono molteplici: dal primissimo Mariupolis 2 di Mantas Kvedaravicius, alla vasta selezione presentata alla Berlinale, al documentario di Sean Penn su Zelensky. Non stupisce che la selezione del 76mo Festival di Cannes includa un’opera ulteriore, anche se relegata nella sezione collaterale L’Acid. In The Rearview di Maciek Hamela, che ha già seguito con i suoi lavori la rivoluzione di euromaidan, racconta l’evacuazione dei civili ucraini ambientando il suo film interamente all’interno di un minivan, intervistando i passeggeri, mostrando le loro storie. Abbiamo potuto parlare con Maciek Hamela a Cannes.

Com’è nata l’idea del film?

La mia intenzione originale era evacuare. Appena è avvenuto l’invasione, ho abbandonato le riprese di un film sul confine bielorusso, e ho deciso di aggiungermi alle decine di migliaia di volontari. L’idea del film è nata dopo tre settimane, all’inizio pensavo solo a guidare. Ho anche rifiutato un lavoro offerto dalla CNN come investigatore per i crimini contro l’umanità, non è un’offerta che si riceve spesso. Ci ho pensato solo per mezz’ora, era un periodo in cui non me la sentivo di guadagnare dalla guerra.

Per girare il film ha dovuto convincere molte persone a raccontare la loro storia. Ha incontrato resistenze?

La fiducia delle persone è stata molto naturale perché per molti di loro ero l’unica via d’uscita, non avevano altra scelta se non di fidarsi che questa macchina li porti fuori. Ho parlato con tutti prima al telefono quindi sapevano che ero uno straniero con un accento ma penso che abbia aiutato che le persone abbiano visto molto velocemente quanto i nostri due paesi si siano legati a partire dalla guerra, che la propaganda russa mentiva a loro. Dopo due settimane dall’inizio della guerra gli ucraini arrivati in Polonia hanno confermato ai connazionali che sono stati accolti molto bene, non in campi per rifugiati ma in appartamenti. Era molto importante per me creare una situazione iniziale di fiducia.

Girare un film interamente all’interno di un minivan è anche un’impresa a livello tecnico, come ci siete riusciti?

Molte difficoltà in termini tecnici. All’inizio, io ed il mio direttore della fotografia (che mi dava il cambio alla guida) abbiamo collocato più telecamere ma mi sono reso conto che non andava bene, non volevo creare una trappola per i passeggeri ed una situazione in cui si sentano obbligati per qualsiasi cosa. Abbiamo deciso di tenere solo una telecamera a 6K per permetterci di ingrandire l’immagine in fase di montaggio. Era importante che la telecamera fosse in mano ad un essere umano così se le persone decidono di fermarsi la si possa mettere via. Faceva parte dell’accordo che è importante per il film.

Quali sono stati i numeri dell’impresa? In termini di ore di materiale, persone evacuate, ecc.

Circa mezz’anno di riprese, 400 persone che abbiamo trasportato, non tutti sono stati filmati. Ci sono state molte storie che abbiamo tagliato in fase di montaggio. Il primo montaggio era di tre ore e sentivo che doveva essere non solo un film che volevo fare per ambizioni artistiche ma anche un film accessibile al pubblico ampio, ragione per cui lo abbiamo ridotto ad una durata più umana, in modo che sia un po’ una chiamata ad agire ed una riflessione allo spettatore: ho fatto abbastanza?

Quanti veicoli ha utilizzato?

Ho comprato in tutto tre minivan: il primo era una Peugeot ma sono stato truffato perché aveva una targa olandese ed il venditore mi aveva detto che potevo attraversare il confine, ma non era vero. Poi attraverso un amico che conosceva una famiglia vietnamita – come sapete a Varsavia c’è una comunità nutrità di vietnamiti – che aveva una Volkswagen Sharan di vent’anni ma in condizione seminuova. Volevano darlo in prestito come aiuto gratuitamente, quindi abbiamo scambiato la Peugeot con la Sharan ed ho usato questa per andare in Ucraina. Successivamente ho comprato altre due Volkswagen Sharan perché continuava a guastarsi, come ricambio.

Ha avuto modo di vedere il documentario In Ukraine, anch’esso di produzione polacca?

Ho visto il documentario, Tomasz [Wolski] è un mio amico. Tutti i documentari hanno il loro scopo, la loro funzionalità, ci sono film ambientati in trincea come altrove. Il nostro scopo era di raccontare questa realtà molto particolare che si creava all’interno del minivan. La guerra in Ucraina è la guerra più mediatizzata del mondo. C’è così tanto materiale. Potevo usare meglio la mia patente che la mia esperienza di documentarista, e questo era il mio mindset fin dall’inizio. Quando ho deciso di fare il film mi sono posto come paletto che durante le riprese non avrei fatto nulla che rallentasse l’evacuazione. La cinepresa era sempre secondaria rispetto al volante della macchina.

A più di un anno di distanza l’occidente sembra aver dimenticato la guerra. Quali sono i suoi pensieri a riguardo?

Non dirò che è oltraggioso, è la vita. La vita è più forte della morte. Non dobbiamo sentirci in colpa negli altri paesi a vivere una vita ordinaria. Se andate in Ucraina centrale, a Dnipro, una città molto vicina al Donbass, i bar non hanno mai chiuso. Le persone hanno continuato a passeggiare sulla riva del fiume. Non dobbiamo comunque dimenticare che la guerra è in corso e che dovremmo tutti fare qualcosa. Mi hanno colpito anche le più piccole donazioni che abbiamo ricevuto alla mia iniziativa.

Chi è Viktor Toth

Cinefilo focalizzato in particolare sul cinema dell'est, di cui scrive per East Journal, prima testata a cui collabora, aspirante regista. Recentemente laureato in Lingue e Letterature Straniere all'Università di Trieste, ha inoltre curato le riprese ed il montaggio per alcuni servizi dal confine ungherese-ucraino per il Telefriuli ed il TG Regionale RAI del Friuli-Venezia Giulia.

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