Tataragic

CINEMA: La guerra è un’eterna infezione. Intervista alla sceneggiatrice bosniaca Elma Tataragic

La sceneggiatrice bosniaca Elma Tataragic, intervistata da East Journal al Trieste Film Festival, racconta del suo approccio al cinema come teatro, della sua esperienza della guerra, e della sua amicizia e collaborazione con la premiata regista macedone Teona Strugar Mitevska

La consueta Masterclass del Trieste Film Festival quest’anno è stata tenuta dalla sceneggiatrice più importante dello scenario balcanico contemporaneo. l’autrice di Dio è donna e si chiama Petrunya ha tenuto una lezione di puro cinema, all’interno di un’iniziativa del Festival che permette agli studenti di varie scuole di cinema europee di venire e di studiare ulteriormente la professione all’interno della manifestazione. Il suo film più recente, The Happiest Man in the World, è un’opera particolarmente personale, in quanto ispirata alla sua esperienza personale, come ha indicato la sceneggiatrice intervistata per East Journal.

The Happiest Man in the World differisce molto dalla storia vera? Lei percepisce la protagonista come un personaggio separato o si sente legata a lei?

Mi relaziono con tutti i personaggi che ho scritto, a prescindere da quanto fossero vicini all’inizio del processo di scrittura. Ciò nonostante questo è il mio film più personale, in quanto la storia nel film è la mia storia. La storia è comunque cambiata. Non è un documentario, ma un’opera di finzione, per cui moltissime cose sono diverse,  ma comunque molte cose sono identiche ed è strano vedere il film sullo schermo perchè è la mia storia, ma allo stesso tempo non lo è.

Sia questo film che Dio è donna e si chiama Petrunya sono girati principalmente in un’unica location, un interno. Qual è il potenziale di questa scelta? Ritiene che sia una scelta di poetica della collaborazione tra lei e Teona?

Si tratta di un caso. In Dio è donna e si chiama Petrunya si inizia da un esterno e ci si sposta in vari interni concludendo il film “rinchiudendo” il personaggio nella stazione di polizia. In The Happiest Man in the World, la maggior parte dell’azione si svolge in interni, ed è stato molto difficile gestirlo in quanto è un’approccio teatrale. Sì, forse è il nostro stile. Siamo consapevoli di questo concept ed è stata una sfida che abbiamo accettato. Tutte queste restrizioni si riflettono nei personaggi.

Teona è indicata come co-sceneggiatrice dei vostri progetti, come funziona la vostra collaborazione?

Siamo molto vicine. Sia come amiche che come collaboratrici. Parliamo molto all’inizio, prima del processo di scrittura. Ci poniamo domande sul perchè dovremmo fare il film, cosa vogliamo dire e come. In seguito ci caliamo nella storia e scopriamo di più chi sono i nostri personaggi. In verità scriviamo insieme, anche se non siamo sempre nello stesso luogo. Penso che siamo molto fortunate ad esserci trovate.

Tra la sceneggiatura che ha scritto ed il film, la storia è cambiata? Il film è rimasto fedele alle vostre intenzioni, ci sono state cose che ha immaginato in modo diverso prima di vederle sul grande schermo?

Il film è praticamente identico alla sceneggiatura. Sì, si è mantenuto fedele alle mie intenzioni, Anzi, é anche meglio in quanto gli attori e i membri della troupe hanno apportato i loro contributi. Il cinema è un processo collaborativo e apprezzo molto questa collaborazione.

Il film rende molto chiaramente che la società bosniaca ancora soffre per la guerra e l’assedio di Sarajevo. Lei stessa ha vissuto questi eventi in prima persona. Ritiene che sia possibile che queste ferite si rimarginino?

Le ferite si sono già rimarginate parzialmente; ma la guerra è una malattia dalla quale non ci si può mai curare. È un’eterna infezione. Ricordo mia nonna che narrava sempre della seconda guerra mondiale quando ero bambina. Non sapevo perchè ne fosse ossessionata, ma ora, dopo aver superato una guerra io stessa, lo capisco completamente. È un’esperienza molto forte che scuote tutte le tue certezze e trasforma la tua mente. Diventa un punto di riferimento che tu lo voglia o meno. Si può immaginare cosa succede ad una società intera che attraversa un tale trauma. Chiaramente, il futuro è possibile e le ferite guariscono. Ma il corpo ricorda. E così anche l’anima.

Teona ha menzionato a Venezia in una nostra intervista che il prossimo film sarà ispirato a Madre Teresa. Può darci qualche altra informazione sul progetto?

Il nostro prossimo film riguarda gli ultimi sette giorni di Madre Teresa prima di partire per fondare il proprio ordine. È un film su una donna ambiziosa e le sue sfide, sulla donna che sta dietro al mito, con molte domande filosofiche ed esistenziali.

Chi è Viktor Toth

Cinefilo focalizzato in particolare sul cinema dell'est, di cui scrive per East Journal, prima testata a cui collabora, aspirante regista. Recentemente laureato in Lingue e Letterature Straniere all'Università di Trieste, ha inoltre curato le riprese ed il montaggio per alcuni servizi dal confine ungherese-ucraino per il Telefriuli ed il TG Regionale RAI del Friuli-Venezia Giulia.

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