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REP. CECA: Elezioni presidenziali: passano al ballottaggio l’ex generale Pavel e l’ex premier Babiš

Poco meno di mezzo punto percentuale (0,41%), pari a circa 23 mila voti, è quanto separa l’ex generale Petr Pavel dall’ex premier Andrej Babiš nel primo turno delle terze elezioni presidenziali che, con il 35,40% contro il 34,99%, ha visto il primo prevalere sul filo del rasoio. Il ballottaggio, che sancirà chi, dopo i due mandati di Miloš Zeman, sarà il nuovo inquilino del Castello di Praga, si terrà il 27 e il 28 gennaio. All’orizzonte si profila già uno scontro cruento, riflesso di una profonda spaccatura tra due mondi opposti, sempre più lontani.

Le sorprese dei risultati

Elezioni, queste, che hanno sorpreso: intanto per l’elevata concentrazione dei voti sui due candidati più forti che, insieme, hanno totalizzato il 70% delle preferenze (rispetto al 50% preventivato), lasciando solo un terzo dei voti agli altri sei. Altra sorpresa è anche lo scarso risultato di Danuše Nerudová che raccoglie solo la metà del pronostico: il 13,92% delle preferenze. A suo sfavore sembrano aver giocato la goffa gestione dello scandalo delle lauree facili dell’Università Mendel di Brno, istituto privato di cui era rettrice, oltreché prestazioni non propriamente convincenti nei talk show. Forse in Cechia i tempi per la prima presidente o premier non sono ancora maturi, ma qualcosa, lentamente, sta cambiando. Altro elemento degno di nota è lelevata affluenza alle urne, 68,23%, la più alta nelle presidenziali e la terza più alta in assoluto nella giovane storia del paese.

Pavel sembra aver beneficiato dei punteggi bassi degli altri candidati democratici, in particolare della Nerudová, di una gestione tutto sommata ponderata dell’attacco contro il suo passato nel partito comunista nonché di una campagna elettorale equilibrata e professionale.

Babiš, dal canto suo, ha tratto vantaggio sia dallo scarso risultato di Jaroslav Bašta, il candidato del partito xenofobo di estrema destra SPD, che dal ritiro dalla competizione del sindacalista Josef Středula, che puntava a un bacino elettorale simile. Non meno importante la sentenza di assoluzione in primo grado, pronunciata solo una settimana prima, nella causa del Nido di Cicogna che, seppure in via non definitiva, scagiona  l’ex premier dall’accusa di frode ai danni dell’erario.

La distribuzione geografica del voto

Molto interessante è guardare alla distribuzione geografica dei voti che ci restituisce un quadro più chiaro e preciso della spaccatura che attraversa il paese. Pavel, il candidato democratico e liberale, ha raccolto i suoi consensi soprattutto nelle città medio-grandi, caratterizzate da livelli più alti di reddito e istruzione, nonché di affluenza alle urne, conquistando ben 12 capoluoghi regionali su 14, con la notevole eccezione di Ostrava che, terza città più grande del paese, si schiera con l’ex premier. Praga, invece, non ha avuti tentennamenti e, con il 51,% avrebbe incoronato presidente l’ex generale già al primo turno. Situazione ancor più netta e indiscussa nelle circoscrizioni estere dove il generale dilaga con il 56% lasciando al suo avversario le briciole di un 4%.

Il quadro, però, cambia radicalmente se guardiamo alle città più piccole, alle aree rurali e alle zone economicamente, socialmente e culturalmente disagiate dove, a spadroneggiare, è Babiš che si porta a casa ben 52 province su 77 e 9 regioni su 14. All’orizzonte, dunque, l’ennesimo scontro lungo la faglia città/campagna e centro/periferia.

I pronostici per il secondo turno

Quali, allora, i pronostici per il secondo turno? Davvero arduo, a fronte di un testa a testa così serrato, azzardare previsioni. Dalla sua l’ex generale ha l’endorsement immediato di ben quattro candidati che, al primo turno, hanno totalizzato insieme il 24,58%, ma non è detto che tutti si sposteranno verso il generale. Pavel, infatti, potrebbe non essere digeribile per parte dell’elettorato conservatore di Fischer e per quegli elettori, specie giovani, che nella Nerudová avevano sognato anche il primo capo di Stato ceco scevro da ogni legame con il passato socialista.

Non dovrebbe, sull’altro fronte, spostare  granché l’avallo, atteso e prevedibile, del presidente uscente Miloš Zeman a favore di Babiš avendo, di fatto, gli stessi sostenitori. Il limite di Babiš, semmai, è di aver quasi esaurito il suo bacino elettorale. Dichiaratosi felice per aver preso mezzo milione di voti in più di ANO, il suo partito pigliatutto, non gli rimane molto spazio dove pescare se non tra gli elettori di Bašta, il quale, peraltro, gli ha negato il suo appoggio. Tomio Okamura, capo dell’SPD, ha già prontamente avviato delle trattative con il tycoon ceco ben sapendo, però, che un pieno endorsement potrebbe risultare scivoloso vista la tendenza di ANO di fagocitare e spolpare, come accaduto più volte in passato, i suoi alleati. 

Rimane la grande incognita di quel 30% di elettori che non si sono presentati alla prima tornata elettorale. Qui Babiš potrebbe trovare voti per i suoi denti nelle regioni periferiche a bassa affluenza dove ha raccolto ampi consensi, come per esempio a Ústí (47,27%) o Karlovy Vary (42,84%). Regioni di confine, peraltro, dei tormentati Sudeti. E non è un caso.

Due settimane di scontro tra ragione e paura

Se, quindi, sulla carta i numeri sembrerebbero dare ragione al generale, occorre tenere conto di alcuni possibili sgambetti. Primo fra tutti la potente macchina mediatica dell’ex premier, che conta due grandi quotidiani nazionali più decine di media a diffusione regionale, già messasi alacremente all’opera. Sono bell’e che comparsi manifesti in cui Babiš dichiara “Non trascinerò la Cechia in guerra. Sono un diplomatico. Non un soldato”. È evidentemente questo, allora, il campo di battaglia in cui l’ex premier vuole trascinare il suo avversario accusandolo di essere un guerrafondaio. Guerra contro pace: sic et simpliciter. Questa l’arma letale della macchina del fango di Babiš, insieme all’accostamento di Pavel al governo Fiala per associarlo ai rincari (per inciso iniziati già sotto il precedente governo Babiš) nel tentativo di intercettare i malumori delle fasce più fragili.

Tutto questo a discapito del fatto che il presidente ceco non ha il potere di dichiarare guerra. Una menzogna, insomma. L’ennesima dopo quelle con cui Zeman vinse le presidenziali: una volta mentendo ai cechi sul presunto intento del suo avversario, Karel Schwarzenberg, di restituire ai tedeschi le proprietà confiscate loro nei Sudeti dopo la guerra; l’altra mentendo sul proposito del suo contendente Jiří Drahoš, di aprire indiscriminatamente le porte agli immigrati musulmani. Due menzogne, due vittorie. E palla al centro.

Lo scontro che si profila in queste presidenziali, le prime, dopo 33 anni, orfane dei tre grandi protagonisti della Rivoluzione di Velluto (Havel, Klaus e Zeman), vede opposti due schieramenti inconciliabili. Da una parte le ragioni, incarnate dall’ex generale Petr Pavel, del radicamento euroatlantico, del rispetto dello Stato di diritto e dell’appoggio, militare e umanitario, all’Ucraina aggredita dall’invasione criminale russa; dall’altra gli istinti di paura, abilmente istigati e sobillati dagli spin doctors di Babiš: paura di un’estensione del conflitto fino alla porta di casa, paura dei rincari energetici, dell’inflazione e del carovita, paura di un mondo che cambia vorticosamente dal quale nascondersi dietro le promesse irrealizzabili del populismo à la carte.

E la paura, si sa, è sempre cattiva, ancorché potente e convincente, consigliera. Tra due settimane sapremo chi, tra ragione e paura, avrà avuto la meglio.

Foto tratta dal profilo Twitter di Petr Pavel

Chi è Andreas Pieralli

Pubblicista e traduttore freelance bilingue italo-ceco. Laureato in Scienze Politiche a Firenze, vive e lavora a Praga. Si interessa e scrive di politica, storia e società dell’Europa centrale. Coordina e dirige il progetto per un Giardino dei Giusti a Praga.

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