Open Balkan

BALCANI: “Open Balkan”, prove di mercato comune aspettando l’UE

Si è chiusa a Ohrid, in Macedonia del Nord, la due giorni (7 e 8 giugno) organizzata nell’ambito dell’iniziativa Open Balkan ospitata dal primo ministro macedone, Dimitar Kovačevski. Oltre a Kovačevski, hanno preso parte al vertice il presidente serbo, Aleksandar Vučić, e il primo ministro albanese, Edi Rama.

Hanno inoltre partecipato, come ospiti di paesi non ufficialmente aderenti all’iniziativa, il presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia Erzegovina, Zoran Tegeltija, e il primo ministro del Montenegro – fresco di nomina, – Dritan Abazović. È la prima volta che un rappresentante montenegrino interviene a questo tipo di riunione. Ancora assente il Kosovo che non ha inviato alcun delegato.

“Should I stay or should I go?”

E’ proprio il novero dei partecipanti al meeting di Ohrid il risultato politico più significativo dell’incontro. Concepita già nell’ottobre del 2019 con la firma di una dichiarazione di intenti – ma partita ufficialmente solo nel luglio del 2021 – l’iniziativa “Open Balkan” era stata avviata da Vučić e Rama nonché dall’allora primo ministro macedone, Zoran Zaev, con lo scopo di implementare le forme di cooperazione reciproca in campo economico e sociale tra i paesi dell’area, secondo uno schema che all’epoca fu ambiziosamente ribattezzato “mini Shengen”.

L’iniziativa di Open Balkan aveva anche il malcelato obiettivo di tamponare, e in qualche modo compensare, il ritardo con cui la Ue stava dando riscontro alle ambizioni dei paesi dell’area all’accoglimento nell’Unione. Un ritardo che aveva (e tutt’ora ha) creato un sentimento di risentimento e frustrazione, anche in relazione agli sforzi messi in atto dai singoli paesi per finalizzare l’estenuate processo di adesione.

È stata con ogni probabilità questa, per lo meno inizialmente, una delle ragioni del mancato ingresso in Open Balkan di Bosnia Erzegovina e Montenegro, ovvero il desiderio di non disperdere energie in iniziative a respiro regionale e al contempo non irritare i partner europei. In questo senso la presenza a Ohrid dei rappresentanti ai massimi livelli istituzionali di questi due paesi deve essere interpretata come il segnale di un’inversione di rotta e preludere alla formalizzazione di un’entrata nell’organizzazione (possibilità peraltro già evocata da Abazović).

Diverso il discorso per il  Kosovo il cui rifiuto di inquadrarsi nell’iniziativa va contestualizzato nell’ambito dei difficilissimi rapporti bilaterali con la Serbia che, anche negli ultimi mesi, ha conosciuto momenti di alta tensione proprio su uno dei temi cardine dell’iniziativa – quello relativo alla libera circolazione delle persone – con la cosiddetta “guerra delle targhe”. A Pristina, infatti, l’iniziativa Open Balkan viene interpretata alla stregua di un maldestro tentativo della Serbia di estendere la propria influenza egemonica, politica ed economica, sui paesi della regione.

I nuovi accordi

Ciononostante, l’iniziativa prosegue e ogni volta si arricchisce con nuovi risultati. Se a Tirana nel dicembre dello scorso anno – ultimo incontro prima di quello di questi giorni – l’accordo principale era stato quello relativo all’introduzione di un permesso di lavoro unico per i tre paesi aderenti, a Ohrid i patti e i protocolli stipulati hanno coinvolto il campo dell’istruzione e della cultura, oltre che quello del turismo.

Un memorandum è stato fissato anche sulla cooperazione delle amministrazioni fiscali. Piccoli passi, forse – poco più che simbolici, secondo i detrattori – ma compiuti comunque nella direzione giusta.

La presenza di Ue e Stati Uniti

Una direzione, quantomeno, che piace all’Unione europea, come dimostrato dalla presenza al summit di Oliver Varhelyi, commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato della commissione, che ha sottolineato che “la collaborazione regionale è fondamentale per progredire nello sviluppo dei trasporti, delle infrastrutture e delle connessioni energetiche” dicendosi certo, quindi, che l’iniziativa ha il grande merito di accelerare il processo di integrazione europea dei Balcani a maggior ragione ora che “la guerra che la Russia ha condotto in Europa costituisce un campanello d’allarme sulla necessità di accelerare il processo di adesione all’UE, un investimento geostrategico per la stabilità e la sicurezza dell’intera Europa”.

Una risposta indiretta alle parole del ministro degli Esteri russo, Sergi Lavrov, che alla vigilia del vertice – impossibilitato a incontrare Vučić a causa della chiusura degli spazi aerei – aveva affermato che “la NATO e l’UE vogliono trasformare i Balcani in un loro progetto chiamato ‘Balcani chiusi’”, alludendo sarcasticamente al nome dell’iniziativa.

E’ proprio questa, con ogni probabilità, la chiave di lettura con cui va interpretata la presenza al vertice anche del l’inviato speciale degli Stati Uniti per i Balcani occidentali, Gabriel Escobar, intervenuto nel corso della cerimonia d’apertura dei lavori: far sentire la propria presenza, marcare il territorio, sottolineare il rinnovato interesse americano per una regione strategicamente fondamentale – secondo quanto già ribadito dalla precedente amministrazione – specie nel contesto storico attuale.

Foto: Governo della Macedonia del Nord

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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