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BOSNIA: L’escalation nazionalista mette a rischio le elezioni (e la pace)

Provocazioni e rivendicazioni autonomiste paralizzano di nuovo la Bosnia-Erzegovina: le elezioni di ottobre a rischio.

Lo sciovinismo sta di nuovo asfissiando la Bosnia Erzegovina. Nonostante gli accordi di Dayton che posero fine alla sanguinosa guerra nel 1995 non abbiano mai garantito un equilibrio stabile, le tensioni a sfondo etnico sono drasticamente aumentate negli ultimi mesi, come sottolineato nel rapporto semestrale all’ONU di Christian Schmidt, Alto Rappresentante internazionale in Bosnia-Erzegovina. Il documento cita un peggioramento della situazione politica nel paese e probabili ulteriori tensioni con l’avvicinarsi delle elezioni ad ottobre.

Ostruzionismo croato

Ad aprile il partito croato HDZ BiH ha presentato un disegno di legge per rendere esplicita all’anagrafe e sulle carte d’identità l’appartenenza etnica dei cittadini bosniaci (serba, croata, bosgnacca, minoranza nazionale o “altra”). L’obiettivo dichiarato è quello di ottenere una migliore rappresentanza etnica in vista delle prossime elezioni, critiche per i croati.

Questi vorrebbero inoltre che ciascun membro della presidenza tripartita venga eletto da cittadini della stessa etnia, dopo che il leader dell’HDZ BiH, Dragan Čović, ne è stato escluso a favore del croato Željko Komšić, vincitore secondo Čović grazie ai voti dei bosgnacchi. Sullo fondo si nasconde l’obiettivo politico dell’HDZ BiH, ovvero la creazione di una terza entità croata: Čović invoca spesso una maggiore autonomia dell’Erzegovina.

L’accordo mancato tra partiti croati e bosgnacchi sulla riforma elettorale ha inoltre spinto i croati a bloccare l’adozione del budget necessario all’organizzazione dello scrutinio, mossa che rischia di paralizzare la tenuta delle prossime elezioni.

Il presidente della Croazia Zoran Milanović ha proposto al primo ministro croato, Andrej Plenković, di convocare una sessione straordinaria del Consiglio di sicurezza nazionale: secondo il presidente, i croati di Bosnia sarebbero in questo momento vittime di un’ingiustizia incostituzionale che non gli permetterebbe di eleggere i propri rappresenti in maniera equa.

Richiesta emblematica, se si pensa all’attitudine ambigua che la Croazia ha adottato nei confronti della Bosnia negli ultimi decenni. Gli uomini di Zagabria non possono affatto permettersi di prendere le distanze dai nazionalisti croati in Bosnia, nonostante nell’ultimo decennio alcune figure di spicco, come quella dell’ex presidente Stipe Mesić, abbiano cercato di mettere in discussione la figura di Franjo Tuđman, primo presidente della Croazia indipendente, e di minimizzare le responsabilità del paese nella guerra in Bosnia.

Questo perché molti croati di Bosnia possiedono la doppia nazionalità e possono dunque votare alle elezioni croate, esattamente come i falchi nazionalisti della diaspora. Ad esempio, Zagabria è a tutti gli effetti divenuta la portavoce degli interessi dei nazionalisti croati oltre confine in sede UE e con gli Stati Uniti: è il caso della recente richiesta a Washington di battersi per una revisione della legge elettorale in Bosnia, brandendo la possibilità di veto all’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO. Ma i croati sono riusciti a tenere i piedi in due scarpe: collaborando con Milorad Dodik, membro serbo della Presidenza della Bosnia-Erzegovina, i croato-bosniaci (oltre a riuscire nell’intento di paralizzare le istituzioni bosniache) hanno stretto legami con Vladimir Putin, sempre pronto a contrastare gli interessi di UE e NATO nei Balcani occidentali.

La destabilizzazione del paese aiuta effettivamente sia Putin che i due leader nazionalisti della Bosnia, Dodik e Čović (sebbene quest’ultimo si trovi in una situazione molto più precaria visti i risultati delle elezioni nel 2018, ragion per cui le pressioni sulla riforma elettorale sono così forti): riforme in senso liberale porterebbero da un lato ad una futura adesione UE e NATO e dall’altro, attraverso misure come l’introduzione di un sistema elettorale basato sul principio “un uomo un voto”, segnerebbero la fine dei due nazionalisti.

Secessionismo serbo

Sul fronte serbo, Milorad Dodik avanza ormai sempre più pretese sulle competenze attribuite alla Republika Srpska, una delle due entità che formano la Bosnia-Erzegovina: dopo le prerogative su prodotti farmaceutici e dispositivi medici, un decreto avrebbe dovuto assegnare all’entità serba il possesso delle proprietà registrate a livello statale. Schmidt ha sospeso la legge, utilizzando il potere assegnatogli da Dayton per la prima volta dall’inizio del suo mandato. In totale, 128 leggi e 112 regolamenti sono stati inseriti in una lista di competenze che potrebbero essere trasferite alla Republika Srpska.

Gli annunci secessionisti toccano anche istituzioni fortemente sensibili, come le forze armate ed il Consiglio superiore della magistratura. In risposta, Stati Uniti e Regno Unito hanno adottato sanzioni contro Dodik ed alcuni individui a lui vicini.

Le polemiche legate alla questione etnica non sono certo cosa nuova nei paesi dell’ex Jugoslavia, ma quest’accumulazione di incidenti si inserisce in un contesto (locale e internazionale) più teso rispetto al passato. Lo stretto legame tra Dodik e Putin ha destato non poche preoccupazioni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina: il timore di un’escalation in Bosnia-Erzegovina ha portato i ministri degli Esteri UE a riunirsi lo scorso 18 marzo. Come da copione, i legami forti di Dodik con Viktor Orbán e Janes Janša, nonché l’aiuto della Croazia, hanno paralizzato la discussione e impedito qualsiasi decisione su sanzioni da adottare contro i serbo-bosniaci.

Sul lato simbolico la guerra tra etnie ha ripreso vigore, sebbene su questo versante la tensione sia da sempre alta. La “Giornata internazionale delle fasce bianche“, evento celebrato ogni 31 maggio in memoria dei 3.176 civili non serbi massacrati nel maggio del 1992 a Prijedor, è stata vietata dalle autorità della città. Sarà soddisfatto il circolo della gioventù serba di Prijedor che, per poter ostacolare la commemorazione, aveva chiesto alla polizia di poter festeggiare il compleanno di Viktor Orbán lo stesso giorno.

Segnali preoccupanti e perlopiù ignorati. Di nuovo.

Foto: Izbor za bolji zivot Boris Tadic, Wikimedia Commons

Chi è Gianmarco Bucci

Nato nel 1997 a Pescara, vive a Firenze. Al momento svolge un dottorato in Scienze Politiche e Sociologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa sulle coalizioni rosso-brune in Europa centro-orientale. Scrive su East Journal dal dicembre 2021.

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