R.M.N. è il ritorno a Cannes del regista rumeno Cristian Mungiu (Palma d’oro a Cannes per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni) dopo un silenzio di sei anni, a seguito di Un padre, una figlia (Bacalaureat) del 2016. Ma è un Mungiu diverso dal passato, che proietta la sua filmografia verso nuove possiBIlità.
Ispirato liberamente ad un fatto di cronaca realmente avvenuto, R.M.N. descrive il difficile rapporto interetnico che caratterizza la regione della Transilvania, prendendo spunto da un caso di razzismo diffuso nella composita comunità di un villaggio, in un territorio rivendicato in passato da più popoli e nazioni, e che attualmente ancora presenta una notevole multietnicità.
Il titolo allude al processo della risonanza magnetica, suggerendo un’intenzione di descrivere la complessità della regione, quasi come se il film operasse una scansione su questa realtà molto variegata. Inoltre, è possibile ipotizzare nella scelta dell’acronimo tutta un’altra serie di significati: le tre lettere corrispondo alle iniziali delle tre etnie principali della Transilvania, ovvero rumeni, magiari e nemți (tedeschi), come pure alle consonanti del nome della Romania.
Il titolo non è l’unico elemento soggetto ad interpretazione: pur essendo un film radicato fortemente in una realtà, e pur essendo invariato lo stile distaccato, dilatato e descrittivo che caratterizza tutta la filmografia precedente a partire da 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, e l’uso di lunghi piani sequenza fissi, R.M.N. rimane vago su alcuni dettagli della trama e addirittura sembra sfociare, per certi versi, nel soprannaturale o perlomeno nel metaforico, direzione del tutto inedita per il cinema di Mungiu. Il regista rivendica che, a prescindere dalle interpretazioni che si può riscontrare, ogni evento del film ha una spiegazione razionale.
Effettivamente, ogni inquadratura cela al suo interno indizi ed elementi di sfondo che hanno una loro rilevanza in un secondo momento. Se la filmografia di Mungiu precedentemente descriveva dei microcosmi umani in cui lo svolgimento della trama si muoveva attorno una manciata di personaggi (in Un padre, una figlia addirittura uno solo), R.M.N. invece estende il fuoco su un’intera comunità, e di conseguenza aumenta la quantità di dettagli, di elementi contestuali rilevanti, di azioni nello sfondo che si caricano di significato.
Una scena specifica della durata di 17 minuti, la riunione del villaggio, presenta all’interno dell’unica inquadratura fissa una notevole mise-en-scène stratificata, in cui la folla di personaggi in primo piano e le numerosissime comparse sullo sfondo contribuiscono a creare una dinamicità incalzante. La continua presenza di dettagli e piani multipli può causare un sovraccarico di informazioni che rende difficile seguire le dinamiche, ma non si tratta di un elemento a sfavore quanto di uno che arricchisce l’opera.
Spesso avvengono anticipazioni che risultano più comprensibili in un secondo momento, per esempio personaggi che compaiono prima di diventare rilevanti, come nel caso di una scena in cui Matthias, uno dei protagonisti, identifica un passante in lontananza nella foresta per uno zingaro, ma successivamente ci viene introdotto il personaggio dell’inviato di una ong francese. Gli eventi che si intrecciano fra loro rendono così R.M.N. un film notevolmente complesso.
Mungiu stesso ha scelto di non rivelare molto delle sue intenzioni, sottolineando però alcune tematiche che ha voluto affrontare, tra cui la paura dell’Altro. Questa si oggettifica nella foresta che circonda il villaggio che ospita la vicenda, ambiente connotato come ostile, ma che viene messo in pericolo dal disboscamento e dai residui di una ex-miniera.
Anche il fuoricampo gioca un ruolo fondamentale per costruire un atmosfera tematica di paura: il non-visibile che lo spettatore deve riempire con la propria interpretazione, o il visibile parziale che rimane enigmatico. Il sonoro contribuisce spesso a provocare ulteriore incertezza, per esempio quando si manifesta nei rumori di una sommossa mai visibile in una delle scene finali dei film. Alla questione della paura si accosta l’opposizione tra il razionale e l’irrazionale, tra l’umano e il bestiale, che si manifestano nei comportamenti di alcuni personaggi, tra cui Matthias.
Pur essendo un film di vasta scala, la caratterizzazione dei protagonisti continua a restare centrale, soprattutto nel caso di Matthias (Marin Grigore) e di Csilla (Judith State), l’altra protagonista principale, anch’essi iscrivibili in un sistema di opposti. Emblematica è la contrapposizione, in una delle scene iniziali, tra Matthias che sgozza un maiale e Csilla che suona il violoncello.
Matthias è un personaggio dalle varie sfaccettature, che ricorda molto nei manierismi il protagonista di Aurora di Cristi Puiu. Sembra una figura camaleontica, in grado di muoversi all’interno delle tre comunità: è di ascendenza tedesca, ma si avvicina sia a rumeni che ad ungheresi in proporzioni uguali. In lui emergono particolarmente l’irrazionalità e l’istintualità animalesca.
Csilla può essere vista come il polo umano contrapposto a Matthias. La sua aspirazione alla vicinanza ed all’intimità, la sua disponibilità umanitaria, secondo Mungiu, la rende il personaggio più sentimentale della pellicola. La sua casa è stata l’unica ambientazione costruita per il film, che si è avvalso principalmente di location preesistenti.
L’utilizzo della musica, che rimane intradiegetica, trasmessa da fonti visibili nelle scene, è molto maggiore in R.M.N. che nei film precedenti di Mungiu, ed ha anch’essa più funzioni: un leitmotiv estrapolato da In The Mood for Love di Wong Kar Wai, “Yumeji’s theme” di Shigeru Umebayashi sottolinea i momenti di romanticismo (quasi patetico) vissuti da Csilla, ma in altri momenti canzoni (per esempio, la canzone seclera cantata durante il capodanno da un gruppo di ungheresi) e brani di Brahms (compositore tedesco che si ispira alla musica folcloristica ungherese per la rapsodia ungherese) vengono impiegati come ulteriore elemento distintivo delle tre comunità.
La ricostruzione meticolosa della situazione sociale della Transilvania è un ulteriore aspetto non indifferente che si esprime nel trilinguismo continuo del film e nella resa accurata delle dinamiche sociali e fobiche tra le etnie (rumeni contro ungheresi e viceversa, o entrambi nei confronti degli zingari) e nei confronti degli stranieri (sia europei occidentali che extraeuropei).
Mungiu sceglie di non esplicitare la fonte mediatica che provoca nella comunità ungherese un maggiore slancio nei confronti degli immigrati, ma ne descrive le conseguenze, senza però cadere in un’accusa su basi etniche. Nel lungometraggio a discriminare ed essere discriminati sono tutti, e nessun gruppo ne esce immacolato.
Se nel Mungiu precedente era il commentario sociale a prevalere, il conflitto etnico di R.M.N. è più un mezzo per affrontare un argomento universale come l’inclinazione umana all’ostilità, riscontrabile sia nella specifica situazione rappresentata ma anche in ogni luogo e forma. In R.M.N., Mungiu vuole esporre la facilità con la quale si costruisce la figura del nemico. Afferma: «Ci basta poco per crearci dei nemici».
R.M.N. è stato presentato al Festival di Cannes in concorso sabato scorso. In Italia verrà distribuito da BIM, la data di uscita non è ancora stata confermata.