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UCRAINA: Ci sarà la guerra? Possiamo solo guardare ai fatti

Sull’invasione in Ucraina si continuano a fare speculazioni, paventando una guerra quasi la s’invocasse. Esiste però una propaganda atlantista come ne esiste una russa, e da entrambe bisogna guardarsi…

“Se io fossi un vero scrittore sarei in grado di impedire la guerra”. Questo diceva Elias Canetti ne La coscienza delle parole. Le parole sono una responsabilità. La situazione in Ucraina è grave, non ci sono dubbi. Dell’accumulo di armi, dei movimenti delle truppe, delle manovre militari attraverso la Bielorussia, dei mercenari al confine, abbiamo detto. Ma le parole, per chi fa informazione, devono avere il limite dei fatti. Soprattutto quando le speculazioni, le illazioni, i processi alle intenzioni servono ad agitare spettri. L’allarme costante, la minaccia della guerra, dell’incubo atomico persino, servono solo a polarizzare e confondere l’opinione pubblica.

In tre settimane l’Ucraina sarà accerchiata, dicono fonti americane, e i giornali nostrani ci fanno un titolo. I russi vogliono creare un governo fantoccio a Kiev, dice l’intelligence britannica, e i giornali ci fanno un titolo. Ma questi non sono fatti. Sono speculazioni fondate su veline governative. E le veline della NATO non hanno un valore maggiore rispetto a quelle del Cremlino. Essere delle democrazie non offre garanzia alcuna sulla veridicità delle informazioni che vengono “fatte filtrare“, si dice così, da Washington e Londra. I governi occidentali non possono esibire alcune patente di credibilità che valga più di quella di Mosca. Tutti ricordiamo le falsità con cui si sono condotte le guerre in Afghanistan, in Iraq, fino alla discutibile operazione Allied Force nel Kosovo.

Esiste una disinformazione di matrice occidentale esattamente come ne esiste una di matrice russa. Esiste la propaganda, ambo i lati. Per muoversi tra i rovi dell’information war senza pungersi, occorre guardare ai soli fatti. I fatti non ci aiutano a indovinare il futuro ma sono comunque una bussola per comprendere il divenire degli eventi.

Chi scrive non ha nessuna voglia di morire atlantista solo perché trova esecrabile la politica muscolare di Mosca. Tutte le politiche muscolari sono da condannare, e mi si perdoni la banalità. Ma non siamo anime candide, sappiamo che la politica di potenza non è andata in soffitta dopo l’ottantanove, e sappiamo che i mastini della guerra sono sempre pronti a scatenarsi. E sappiamo che a farne le spese sono i piccoli popoli. Quelli dell’Europa orientale, più di altri, almeno nel vecchio continente. Sappiamo che parole come autodeterminazione e indipendenza valgono solo per alcuni, e fino a un certo punto. E sappiamo che se l’Ucraina dovesse essere attaccata nessuno alzerà un dito, morire per Kiev non è in cima all’agenda dei paesi europei.

La posizione dell’Unione Europea è spesso criticata, ritenuta imbelle e pavida, quando non ipocrita. E se è vero che l’Ucraina è stata illusa con false promesse di adesione, è anche vero che mantenere una posizione diplomatica che prediliga l’intermediazione e il dialogo tra le parti è necessario perché a prendersi le bombe -Dio non voglia- sarà la gente comune. Sempre povera gente. È per loro che dispiace, che freme di rabbia il cuore.

Per questo, se invasione dovesse essere saremmo i primi a condannarla. Ma non vogliamo adesso unirci alla schiera di chi paventa la guerra quasi l’invocasse. C’è un filo-russismo latente anche in chi paventa la guerra, decantando al contempo la forza di Mosca. Una sorta di sindrome di Stoccolma.

L’attuale crisi sul fronte ucraino è anche il risultato del fallimento della diplomazia, degli accordi di Minsk, mai davvero applicati. Un nuovo tavolo delle trattative è aperto, e le esercitazioni militari russe al confine, l’accumulo di uomini e mezzi, la propaganda aggressiva, sono strumenti di pressione. Quella cui stiamo assistendo non è ancora il preludio a una guerra ma una forma di diplomazia coercitiva. Anche la mobilitazione di alcune migliaia di soldati americani, annunciata in queste ore, va letta in tal senso. C’è però un fatto che non possiamo dimenticare, il famoso elefante nella stanza, ovvero che i soldati russi non sono stati mandati al confine dell’Ucraina a prendere il sole. Occorre guardarlo bene questo elefante.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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