Sorabi, slavi di Germania. Un grido dal cuore dell’Europa

Generalmente i popoli slavi costituiscono delle maggioranze: pensiamo a paesi come Bulgaria, Croazia, Polonia, Slovenia e Russia. Spesso, data l’estrema varietà culturale dell’Europa centrale e orientale, sono anche minoranze in paesi vicini, che non sono necessariamente abitati da maggioranze slavofone, come gli slovacchi dell’Ungheria o gli sloveni dell’Austria.

Accanto a questi casi ne esiste uno più particolare: quello di una minoranza slava che vive in un solo paese, senza costituire la maggioranza altrove. Stiamo parlando dei Sorabi, che vivono in Lusazia, regione storica dell’ex Germania Est. Si tratta di circa 70.000 persone divise fra Sassonia e Brandeburgo, stanziate nei dintorni di Dresda: le città più importanti sono Bautzen/Budysin e Cottbus/Chóśebuz.

La loro lingua, che appartiene al gruppo slavo occidentale, viene generalmente divisa in sorabo superiore (30.000 parlanti) e inferiore (20.000). A questa suddivisione linguistica corrisponde quella religiosa: i primi sono in prevalenza cattolici romani, mentre i secondi luterani. Il termine con cui si autodefiniscono (Serbski) richiama quello utilizzato dai serbi (Srpski), ma le lingue sono diverse, in quanto il sorabo presenta marcate affinità col ceco e col polacco.

Nel 1871, dopo secoli di dominio tedesco e boemo, le terre sorabe vengono riunite sotto l’impero germanico. Proseguono i tentativi di assimilare la minoranza slava, ma questa risponde sviluppando le prime strutture politiche, come Macica Serbska e Domowina. Alla fine della Prima Guerra Mondiale, che ha visto la disfatta del Reich, i leader sorabi dichiarano l’autonomia della regione e inviano una delegazione a Berlino per negoziare una pacifica secessione. Respinti dal governo tedesco, il 1° gennaio 1919 dichiarano l’indipendenza.

La conferenza che si svolge a Parigi (18 gennaio 1919-21 gennaio 1920) per decidere l’assetto dell’Europa postbellica offre alla minoranza l’occasione ideale per promuovere la propria causa. Una delegazione soraba raggiunge la capitale francese. Non solo le sue richieste vengono respinte, ma la loro regione viene divisa fra Prussia e Sassonia. Intanto è emerso in tutta la sua gravità il problema della lingua: nel 1920 le persone che usano il sorabo come idioma principale sono solo 170.000, mentre 600.000 lo parlano insieme al tedesco.

Nella nuova Germania repubblicana la minoranza ottiene il diritto di utilizzare la propria lingua in ambito educativo e religioso, anche se questo non soddisfa le richieste dell’associazione Domowina. Con l’avvento di Hitler la situazione peggiora nettamente: il sorabo viene bandito. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale le organizzazioni della minoranza si appellano ai vincitori sperando che il riassetto della Germania includa finalmente l’indipendenza della regione. Ma invano: gli Stati Uniti si ritirano dalla Lusazia lasciando che questa venga occupata dall’URSS e divenga parte della nuova Germania comunista.

Il 10 maggio 1945 l’associazione Domowina viene nuovamente legalizzata e riconosciuta come “rappresentante politico, antifascista e culturale dell’intera nazione soraba“. Vengono poi approvate varie leggi che garantiscono alla minoranza altri diritti, che però saranno limitati dal rigido controllo della Stasi.
In seguito alla riunificazione (1990) la minoranza soraba diventa la più numerosa delle quattro riconosciute da Berlino: le altre sono i Danesi, i Frisoni e gli Zingari (divisi in Rom e Sinti).

L’associazione Domowina continua la propria attività, ma stavolta come organizzazione indipendente dal potere politico. L’anno successivo il governo federale, la Sassonia e il Brandeburgo danno vita alla Stiftung fur das sorbische Volk (Fondazione per il popolo sorabo), che dovrà tutelare le strutture culturali sorabe e fornire loro un adeguato sostegno economico. I tempi sono ormai maturi per un attivismo politico più organizzato. Nel 2005 viene fondato il Serbska Ludowa Strona (SLS, Partito Popolare Sorabo).

Il nuovo soggetto politico si presenta come erede del Lausitzer Volkspartei, nato nel 1919 e bandito dalla dittatura.
In ogni caso la situazione della lingua resta grave. Nel 2008 un gruppo di esponenti politici e culturali sorabi sottoscrive un appello indirizzato al governo tedesco e all’opinione pubblica. La minoranza lamenta la forte diminuzione dei finanziamenti pubblici “in seguito a un disimpegno progressivo del governo federale”. “E’ incomprensibile – si legge – che un paese aperto al mondo come la Germania, che ha ratificato tutti i trattati europei sui diritti delle minoranze, non riesca a tutelare adeguatamente il popolo sorabo”.
Nel 2011 la grave situazione del sorabo viene confermata dall’UNESCO.
Il caso della minoranza soraba assume un valore che trascende il caso specifico, perchè ci ricorda che i regimi liberaldemocratici, nonostante un luogo comune molto diffuso, non comportano sempre una tutela effettiva delle minoranze.

Alessandro Michelucci, giornalista, classe 1952, da circa trenta si occupa dei problemi delle minoranze, dei popoli indigeni e delle nazioni senza stato. E’ uno dei promotori del Centro di documentazione sui popoli minacciati, l’unico archivio italiano specificamente dedicato a questi temi. Collabora a varie testate italiane e straniere, tra cui Profili dell’est, Avvenire, Le Monde diplomatique, e collabora con l’Università di Firenze, Dipartimento di Scienze della Formazione, sul progetto LanMob (dedicato ai problemi delle minoranze linguistiche europee).


Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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