Con l’aumento di truppe russe non lontano dal confine con l’Ucraina, in molti hanno di nuovo gridato all’imminente invasione. La realtà è più complessa però. Diversi dettagli sembrano indicare che l’invasione non sia un’opzione reale per Mosca.
Cosa sta succedendo lungo il confine tra Ucraina e Russia? Come riferisce Bloomberg, che ha lanciato per primo l’allarme basandosi su fonti d’intelligence anonime, l’amministrazione americana avrebbe alzato l’allarme informando gli alleati europei e NATO di una possibile imminente invasione dell’Ucraina da parte russa. E mentre Kiev, tramite le dichiarazioni di alti ufficiali, ha immediatamente confermato le parole degli alleati oltreoceano, Mosca continua a negare ogni intenzione malevola, accusando a sua volta gli americani di oltrepassare le famose ‘linee rosse’ tracciate dal Cremlino. Ma quali sono le reali intenzioni russe? Anche se sembra banale dirlo, la verità è che non lo sappiamo con certezza, ma se il recente passato ci insegna qualcosa, questa nuova crisi non sembra molto diversa dalle numerose ‘invasioni’ preparate negli ultimi anni e mai avvenute.
Un’invasione imminente…
Secondo quanto sostiene l’intelligence americana i recenti movimenti di truppe sul territorio russo sono sintomo di un’invasione imminente, o almeno di una preparazione a tale invasione. Secondo le stesse fonti Mosca, infatti, avrebbe mobilitato circa 100mila soldati pronti ad attaccare l’Ucraina da diverse direzioni e ‘preparati per un’occupazione prolungata’. Il tutto condito dall’intensificazione della propaganda per ‘destabilizzare la situazione all’interno dell’Ucraina’. Kiev dal canto suo avrebbe già preparato i vari scenari dell’ipotetica invasione. Secondo alcuni documenti condivisi da Kyrylo Budanov, a capo dell’intelligence, ci sarebbero circa 40 battaglioni speciali stanziati nel raggio di 200km dal confine. Oltre alle discrepanze numeriche (40 battaglioni sarebbero al massimo 40mila soldati, non 100mila come riportato da altre fonti), a colpire è il fatto che la situazione attuale non sembra rappresentare una vertiginosa escalation rispetto al recente passato. Lo scorso aprile, quando si è parlato per l’ultima volta dell’imminente invasione russa, i battaglioni erano 53, mentre appena lo scorso settembre – 2 mesi fa – erano 51. A riportarlo, lo stesso Budanov.
Le recenti dichiarazioni hanno contribuito ad innalzare la tensione. Appena qualche giorno fa la Russia ha svolto esercitazioni militari nel Mar Nero, per ‘affinare la prontezza delle forze militari a causa dell’innalzamento delle attività NATO lungo in confini’. L’Ucraina dal canto suo ha stanziato nuove truppe lungo il confine con la Bielorussia nel contesto di esercitazioni che hanno coinvolto unità aerea e anticarro con utilizzo dei famosi Javelin americani.
…di nuovo
Quello che è evidente quindi, è che vi è un movimento di truppe (anche se non abbiamo numeri precisi) e che la tensione tra Mosca, Kiev e Washington sembra crescere. Basta questo per parlare di un’invasione imminente? Come successo svariate volte in passato, probabilmente no. L’ultimo episodio della saga ‘la Russia è pronta ad occupare l’Ucraina’ risale solo a qualche mese fa, quando movimenti di truppe nelle regioni prossime al confine avevano riacceso gli animi – mai sopiti – dei numerosi esperti a conoscenza dei ‘reali piani di Putin’. Il tutto era finito, come tante altre volte a partire dal 2014, in un nulla di fatto. I piani d’invasione si sono rivelati in verità un chiaro esempio della cosiddetta ‘diplomazia coercitiva’ da parte di Mosca (una nostra analisi qui). Una postura di certo non amichevole, ma comunque lontana da una reale invasione.
Il problema quindi è che non potendo conoscere le intenzioni del Cremlino, molti esperti tendono a strutturare le varie analisi su preconcetti soggettivi, finendo molto spesso a parlare del mondo reale come di una partita a risiko. Così, per quelli che vedono in Putin la personificazione dell’imperialismo sovietico coinvolto un po’ in tutte le recenti crisi dell’Occidente – da Brexit all’elezione di Trump, alla crisi migratoria lungo i vari confini dell’Unione Europea – le intenzioni del Cremlino sembrano lapalissiane, invadere e occupare l’Ucraina ricostituendo l’Unione Sovietica 2.0. Per quelli che invece vedono in Washington il principale fomentatore di guerre e crisi su scala mondiale (di esempi ce ne sarebbero), sono gli Stati Uniti a far salire nuovamente la tensione con Mosca.
La banalizzazione della complessità
Il difetto di queste letture ideologiche non è solo il pregiudizio cognitivo di partenza, ma anche l’interpretazione razionale dell’azione degli stati in politica internazionale. Una visione plasmata spesso dalla crescente fascinazione per la geopolitica. Come la stessa azione del Cremlino in Ucraina a partire dal 2013 dimostra chiaramente, la famosa immagine della politica internazionale come una partita a scacchi, è in verità fuorviante. Lungi dall’avere una strategia a lungo termine – un piano in 20 mosse – la Russia continua a cambiare obiettivi e tattiche, a rispondere diversamente a minacce percepite e a nuove situazioni di tensione, spesso (ma non sempre) causate proprio dalle mosse stesse del Cremlino. La politica estera di Putin è cambiata radicalmente durante il suo regno ventennale e continua a cambiare tutt’ora. Oggi sappiamo ad esempio come l’annessione della Crimea (illegale e illegittima) e lo strisciante coinvolgimento diretto nel conflitto in Donbass siano stati frutto di decisioni prese sul momento, spesso contraddittorie che hanno portato a risultati non sempre favorevoli a Mosca.
L’importanza del contesto
Quello che spesso la visione geopolitica (e ideologica) offusca, infine, è l’importanza del contesto. Non avendo la sfera di cristallo e non potendo conoscere le reali intenzioni del Cremlino, si dovrebbe guardare a quello per cercare di analizzare – che non significa giustificare – alcune delle sue mosse. La nuova escalation lungo i confini avviene infatti in un periodo tutt’altro che semplice nelle relazioni tra Mosca da una parte e Washington e Kiev dall’altra. Negli ultimi mesi si sono susseguite diverse crisi e scaramucce retoriche, spesso slegate tra loro. Dall’ennesimo capitolo della crisi del gas, alla sospensione di ogni relazione tra Russia e NATO. Dalle accuse dirette a Mosca da parte di alcuni leader europei per il suo presunto ruolo nella crisi migratoria tra Bielorussia e Polonia al passaggio, apertamente provocatorio, del cacciatorpediniere della marina britannica lungo le coste della Crimea la scorsa estate.
Il tutto condito da un crescente sostegno, pratico e retorico, dell’amministrazione Biden nei confronti di Kiev. A giugno il dipartimento della difesa ha autorizzato un nuovo pacchetto di aiuti pari a 150 milioni di dollari che comprende, tra le altre cose, il dispiegamento di personale militare per l’addestramento delle truppe ucraine. Più di recente, la visita del Ministro della Difesa americano a Kiev si è conclusa con il ‘sostegno per le aspirazioni ucraine di entrare nella NATO’. Mosse assolutamente legittime e di certo auspicabili per Kiev, ma che contribuiscono ad esacerbare la paranoia del Cremlino per il costante avvicinamento della NATO ai propri confini, le famose ‘linee rosse’, dicevamo.
Vista in questo contesto la nuova crisi non appare come un nuovo capitolo di un piano strategico di occupazione, quanto piuttosto una tattica – muscolare e caotica – volta a preservare l’incertezza sulle reali intenzioni, riaffermando allo stesso tempo la posizione russa e l’assenza di alternative ai negoziati di Minsk, messi di recente sempre più in discussione da Kiev e gli alleati occidentali.
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