“Nova Lituania”, la fantasia di un posto che non esiste: intervista a Karolis Kaupinis

Il Calvert Journal inaugura la seconda edizione del suo festival online dedicato al grande cinema dell’Europa orientale, dei Balcani e dell’Asia Centrale. La rivista londinese documenta da diversi anni le ultime novità della cultura e della creatività del cosiddetta macro-regione del “Nuovo Est”, con articoli di approfondimento, interviste, servizi fotografici e video-reportage. Dal 18 al 31 ottobre, l’evento proporrà 35 titoli, suddivisi in sette categorie: documentari, film d’animazione, lungometraggi di fiction, film degli studenti delle scuole di cinema, film sperimentali, cortometraggi e proiezioni speciali. I titoli saranno tutti disponibili per 48 ore sulla piattaforma Eventive.

East Journal ha intervistato cinque registi di cinque film che parteciperanno al festival. “Nova Lituania”, film di Karolis Kaupinis, sarà disponibile a questo link il 20 e 21 ottobre.

Sono gli anni ’30 in Lituania e l’invasione del paese è vicina. Per il protagonista Feliksas Groudis, l’unica soluzione per la sopravvivenza della Lituania è creare una versione nuova e migliorata, una “Nova Lituania”. Il regista Karolis Kaupinis segue i tentativi fallimentari di Feliksas di convincere le persone attorno a lui di sostenere la sua idea. Nel frattempo, Feliksas è confrontato con un’altra invasione, in questo caso domestica, quando la suocera si trasferisce a casa sua e della moglie.

Karolis, da dove hai preso l’idea per questo film, cosa ti ha ispirato a raccontare questa storia?

Inizialmente conoscevo sola la storia di quest’uomo, Feliksas Gruodis, che è realmente esistito. Era una persona che in qualche modo non era adatta ai tempi in cui viveva, il che mi ha affascinato. Questa “Lituania alternativa” non era la sua unica idea, ne aveva molte, in cui proponeva diverse soluzioni a problemi politici, idee che venivano costantemente ridicolizzate in Lituania. Mi sembrava qualcuno che esiste al di fuori della società. Quindi ho deciso di fare un film in cui il suo alter ego è il personaggio principale.

Ho iniziato a scrivere e scrivere, ho riscritto la sceneggiatura molte volte per trovare il modo giusto per raccontare questa storia. All’inizio mi interessava l’idea di una Lituania alternativa, di questa specie di paradiso tropicale, ma poi ho capito che mi interessava di più raccontare la vita personale di Feliksas, da dove viene e in quali circostanze si trova a lavorare su quest’idea. Il tutto poi si svolge nel periodo appena prima della guerra, che in qualche modo assomiglia al presente, forse non nelle circostanze politiche, ma nello zeitgeist, in questa sensazione che in superficie sembra vada tutto bene, ma in realtà le cose non si stanno muovendo affatto nella giusta direzione.

Mi sono piaciute molto le scene in cui si percepisce davvero che Feliksas è completamente estraniato dal resto del mondo, che sta vivendo forse non una fantasia, ma una passione e un’idea che lo allontanano da tutte le persone intorno a lui. E mi è anche piaciuto molto, come hai detto tu, questo parallelo con la sua vita personale. In un momento in cui l’invasione della Lituania è vicina, la suocera si trasferisce a casa di Feliksas e di sua moglie, e lui stesso si sente invaso. E lo vediamo anche menzionare i suoi problemi d’infertilità e la tragedia dell’aborto spontaneo di sua moglie. Immagino, quindi, che questa idea di “Nova Lituania” non sia per Feliksas solo un posto dove puoi avere il tuo “spazio vitale”, ma anche un posto dove puoi ricominciare da capo dopo tutte le difficoltà. Quanto di tutto questo è basato su fatti realmente avvenuti?

Ho preso alcuni fatti politici reali, come ad esempio il fatto che ci sono stati tre ultimatum che hanno portato al collasso dello stato lituano, tutto il resto è finzione. Ma la storia della famiglia di Feliksas e questo parallelo alla sua storia con la suocera è reale, almeno dalle informazioni che ho potuto ottenere sul suo conto. Penso che l’idea che da qualche altra parte, o con qualcun altro, i problemi che hai possano semplicemente scomparire sia profondamente sbagliata. Ma allo stesso tempo gli esseri umani non riescono a smettere di inseguirla. Quindi Feliksas, volendo creare questa “Nuova Lituania”, questa specie di sogno coloniale, non riesce ad affrontare i problemi nel suo ambiente immediato, mentre assurdamente tenta di risolvere quelli a livello sociale. Ed è impossibile fare entrambe le cose, che allo stesso tempo sono interconnesse, perché la loro causa è la stessa. Un problema che Feliksas non si pone mai è che, anche se vai da qualche altra parte e ricominci da capo, a livello familiare o politico, probabilmente arriverai allo stesso di vicolo cieco in cui ti trovavi. Ma tante volte lo facciamo lo stesso, arriviamo a un punto morto nelle nostre vite e diciamo: “Ok, mi trasferisco in un altro posto”, perché è più facile. Non hai bisogno di cambiare le cose dentro di te. Per questo penso che questa idea rimarrà per sempre.

Un altro tema interessante nel film è quello della minaccia costante e imminente dell’invasione e dell’annientamento della Lituania, una minaccia creata dai potenti stati che la circondano, come uno degli elementi di questo zeitgeist del momento. Ovviamente adesso non ci sono minacce paragonabili, ma negli ultimi anni ci sono stati una serie di eventi se non minacciosi, quantomeno inquietanti per la Lituania. Penso alla costruzione della centrale nucleare di Astravyets o alla crisi migratoria recentemente causata dalla Bielorussia. Quanto pensi questa sensazione di minaccia sia parte del senso d’identità dei lituani di adesso?

Penso che se vieni da un piccolo paese situato in una posizione come la Lituania, indipendentemente dalla generazione a cui appartieni, che sia la generazione che ha vissuto la seconda guerra mondiale, o la mia generazione, quella del movimento di liberazione negli anni ’80, hai questa sensazione di minaccia esistenziale impiantata nel tuo sangue. Questo perché ognuno ha un membro della famiglia che in qualche modo è morto o è stato toccato da questi eventi. Per questo, anche in questo tempo di relativa pace e tranquillità, sai che questa pace può crollare improvvisamente, a causa di un singolo evento. A 30 chilometri da Vilnius c’è la Bielorussia, dove la gente praticamente non ha diritti legali. Quando è iniziata la guerra in Ucraina o in Georgia, ogni volta ci siamo chiesti se ci toccherà o no. Quando sei un piccolo paese, tutti vogliono che ti comporti come un pupazzetto obbediente, e un uomo libero non può farlo. Ma allo stesso tempo devi capire come funziona la realpolitik. Quando abbiamo mostrato questo film in tutto il mondo, ho notato la tendenza che le persone che vengono da un paese che ha una sorta di paura esistenziale simile, come il Kurdistan, anche se culturalmente non hanno nulla a che fare con la Lituania, capiscono il film perfettamente. Al contrario, le persone dai grandi paesi europei non capiscono, perché un francese non ha mai dovuto pensare a cosa a cosa succederebbe se la Francia sparisse. Un francese certamente non si porrebbe mai una domanda del genere. È interessante come, per le persone che vengono da paesi che sono alla periferia, non geografica ma storica, che sono più oggetti che soggetti della storia, sia molto più facile, anche senza alcun contesto, capire ciò di cui parla “Nova Lituania”.

Riguardo a questo, mi chiedo come sia stato ricevuto il film fuori dalla Lituania. Anche se questo non impedisce di apprezzare il film e seguirne la storia, alcuni eventi storici a cui viene fatto riferimento penso possano non essere noti a tutti.

Penso che anche se non si sappia nulla della storia della Lituania, non diventi impossibile guardare il film. In Lituania invece, ho ricevuto molte critiche da persone che non erano contente dell’accuratezza della rappresentazione storica nel film, perché le persone in Lituania non sono abituate a vedere la Storia come uno strumento di finzione. Quindi penso che il film sia difficile da guardare più per gli storici lituani, che per gli stranieri. Il mio obiettivo in realtà non era ricreare la Storia, ma di mostrare lo zeitgeist di questo momento storico, questa sensazione della fine vicina e inevitabile e che tu non puoi fare niente, hai solo scelte difficili o scelte più difficili. Allo stesso tempo vuoi fare qualcosa, ma qualsiasi cosa provi a fare diventa ridicola. Come quando chiudi una mosca dentro un barattolo. Continua a muoversi e a cercare di scappare, anche se è impossibile.

Un’ultima domanda: prima di vedere il film e leggendone solo la descrizione, credevo che avrebbe mostrato la realizzazione di quest’utopia, di questa Lituania alternativa, mentre invece si concentra sui tentativi di Feliksas di essere preso sul serio per quest’idea. Mi chiedevo se ti piacerebbe fare un film su quello che sarebbe successo se Feliksas avesse potuto realizzare la sua “Nova Lituania”.

Questa era la mia idea iniziale! Ma più l’ho analizzato, più ho capito che sarebbe stata una fantasia d’evasione, un “Cosa succederebbe se…”, e non mi piace questo genere di storie. A quel punto avrei preferito ricreare il mio mondo fantastico, non quello di Feliksas. Penso che i tentativi di questo uomo siano più interessanti. Ha poi lasciato la Lituania nel ‘39, è andato negli Stati Uniti e ha continuato a insistere con quest’idea. È anche riuscito a convincere alcuni lituani in America a comprare dei territori nell’Hondorus francese, un tentativo poi fallito. Come mi ha suggerito un altro regista, se fai un film sull’apocalisse, non puoi far vedere sia il prima che il dopo l’apocalisse. O fai vedere cosa succede aspettando Godot, o fai vedere quello che succede dopo che è arrivato. Mi è sembrato un buon consiglio e ho deciso di concentrarmi sull’attesa.

Chi è Martina Bergamaschi

Laureata in Interdiscilplinary Research and Studies on Eastern Europe all'Università di Bologna, lavora nel campo della cooperazione internazionale, al momento nell'est dell'Ucraina. Per East Journal scrive soprattutto di Russia, dove ha vissuto per due anni tra Mosca, San Pietroburgo e Kirov.

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