BOSNIA: La Conferenza di Sarajevo tra luci ed ombre

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A Sarajevo si inseguono luci ed ombre, la Conferenza appena conclusa non lascia intravedere nitidi orizzonti. Lungo la Baščaršija cammina il dubbio. L’incontro tra i Paesi balcanici e l’Unione Europea, con Russia, Stati Uniti e Turchia a fare da convitato di pietra, ha dato risultati solo per alcuni aspetti positivi. Certo far sedere allo stesso tavolo i rappresentanti di tutti i Paesi dell’area è già un piccolo miracolo. L’ostacolo della presenza del Kosovo, osteggiata dalla Serbia, è stato aggirato grazie all’adozione della formula Gymnich, per cui i partecipanti sono rappresentati dal loro nome e non da quello del loro paese. Si è così evitato che accadesse come a Brdo, in Slovenia, quando un analogo summit saltò per il rifiuto di Belgrado a sedere insieme a Pristina. La presenza di tutti i Paesi dei Balcani occidentali è dunque già da considerarsi un risultato positivo: “si è offerta un’immagine di stabilità senza precedenti” valuta l’analista politico serbo Predrag Simic.

La Conferenza ha ribadito che “il futuro dei Balcani occidentali è legato all’Unione europea“, come si legge nella dichiarazione finale dell’incontro. La Spagna, presidente di turno dell’Unione, esprime soddisfazione. Addirittura gongola il Ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, che ha avuto il merito di promuovere il summit prodigandosi affinché tutti fossero presenti. A proposito della “fatica da allargamento” che sembra prevalere all’interno dell’Unione europea, il ministro Frattini ha ribadito il punto di vista dell’Italia: “Proprio perché c’è la crisi non possiamo chiudere le porte dell’allargamento ai Balcani. Non ci possiamo permettere il rischio di lasciare in mezzo all’Europa un’enclave che diventerebbe facilmente preda dei nazionalismi, degli estremismi, delle forze antieuropee”. C’è però poco da gongolare Mr. Frattini: dalla dichiarazione finale è infatti stata stralciata la roadmap temporale per l’accesso all’Unione da parte dei Paesi balcanici. Insomma, i Balcani entraranno nella Ue ma non si sa quando, per ora si accontentino di una generica dichiarazione di sostegno.

Tutti i nodi che ancora stringono i Balcani nella morsa di un futuro incerto non sono stati risolti: né la disputa sul nome della Macedonia, né lo status giuridico del Kosovo (che la Serbia non vuole riconoscere come Stato sovrano ma, al limite, come autonomia), e soprattutto non si è parlato dei destini della Bosnia Erzegovina che ha ospitato il summit. Il Paese è infatti attraversato da tensioni politiche che vedono opposte la parte serba e quella musulmana, e impediscono l’attuazione delle necessarie riforme. Proprio Milorad Dodik, il discusso leader dell’enclave serba di Bosnia, quella Repubblica Srpska nata dopo gli accordi di Dayton, ha espresso la più profonda amarezza: “La riunione ha dato risultati modesti, confermando che da parte di alcuni Paesi europei non c’è alcun entusiasmo per l’allargamento dell’Unione”. E questa volta riesce difficile dargli torto.

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Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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