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STORIA: Dnipro, capitale della disco sovietica d’Ucraina

Questo articolo è frutto di una collaborazione con OBCT

Gli anni Settanta fecero da sfondo a un periodo di relativa “distensione” (détente) nei rapporti tra Unione Sovietica e Stati Uniti, nel contesto della guerra fredda; la firma degli accordi di Helsinki nell’agosto del 1975 ne fu probabilmente il culmine a livello politico internazionale. 

Dal punto di vista culturale, il periodo di “distensione” permise una maggiore penetrazione di prodotti di origine occidentale nei paesi dell’orbita sovietica, diffusi soprattutto tra i giovani e non solo nelle grandi città. Emergeva in quest’epoca e si approfondiva rapidamente uno scarto decisivo tra la generazione che aveva fatto la guerra e quella nata durante o subito dopo il conflitto. Tale divario si tradusse anche nella fioritura di quelle iniziative clandestine del sottosuolo (podpol’e), spesso di stampo artistico-letterario, che caratterizzarono in particolare la storia culturale delle repubbliche sovietiche nel periodo post-staliniano.  

Un ruolo principe nel veicolare prodotti culturali occidentali in Unione Sovietica fu giocato dalla musica e dal cinema, entrambi ambiti che goderono di un enorme successo tra più e meno giovani. Benché un peso ebbero indubbiamente la canzone e i film italiani (testimoniato dal successo imperituro di determinati nomi nell’immaginario russo, tra cui senz’altro troviamo Adriano Celentano), gli anni Settanta videro l’imporsi di quei gruppi musicali anglofoni che nel decennio precedente erano ancora per lo più idoli della subcultura clandestina, come Beatles e Rolling Stones. A titolo di esempio, prendiamo i “vinili augurali” che erano diffusi e regalati in occasione di ricorrenze e compleanni: i dati riportati in uno studio dedicato ad alcune città dell’Ucraina sovietica (Dnipro, Kropyvnyc’kyj, Mykolaïv) testimoniano come, se nel 1965 solo il 10% di questi vinili comprendeva musica occidentale (principalmente francese e italiana), già nel 1970 questa percentuale era salita al 90% (comprendendo in primo luogo Beatles e Rolling Stones).

Queste registrazioni di musica occidentale (così come i jeans, alcuni strumenti musicali, libri, etc.) circolavano principalmente in maniera illegale, attraverso la struttura capillare del mercato nero, raggiungendo prezzi del tutto proibitivi: proprio per questo motivo erano principalmente membri (o, spesso, figli) della nomenklatura sovietica a potersi permettere questi vinili. 

Persino l’etichetta musicale di stato sovietica Melodija iniziò nel 1967 a “piratare” la musica occidentale, a partire dalle canzoni Girl dei Beatles e Satisfaction dei Rolling Stones: l’escamotage per passare senza problemi il vaglio del censore fu quello di omettere i nomi dei gruppi e presentare i due brani come “canzone popolare (narodnaja, del popolo) inglese”. Negli anni successivi Melodija sfruttò la stessa modalità “anonima” per incidere brani di famosissimi autori e gruppi anglofoni, tra cui Bob Dylan, Simon and Garfunkel, Elton John, Bee Gees, Deep Purple. In un certo senso, Melodija cercava così di assecondare i gusti della società sovietica, rispondendo in parte alle regole del mercato: la “Deep Purple mania”, ad esempio, diffusissima in Urss nei primi anni Settanta si tradusse dunque proprio in queste prime edizioni “piratate”. Chiaramente, gli stessi autori occidentali erano ignari di questa ripubblicazione in terra sovietica. Solo nel 1976 Melodija firmò il primo contratto ufficiale con una casa discografica straniera (di un paese non socialista): fu l’olandese Old Ark, attraverso cui uscì in Urss un album del gruppo Teach-In.

Alla diffusione dei vinili clandestini e di quelli ufficiali di Melodija si sommò il successo dei tour sovietici (a Mosca e Leningrado) di pop star come Elton John, B.B. King, Cliff Richard e Boney M. negli anni Settanta.

Infine, a tutto ciò va aggiunto un importante elemento, che concerne (forse paradossalmente) il ruolo del Komsomol (l’organizzazione della gioventù comunista) nell’organizzazione e diffusione delle discoteche in Urss.

Le discoteche del Komsomol e la “disco mafia”

Essendo i giovani i primi interessati alle novità musicali occidentali è chiaro che i principali luoghi di diffusione furono i dormitori universitari (i proverbiali obščežitie). Qui, giovani che provenivano tanto dalle città quanto dalle campagne si mescolavano e davano vita a una realtà vivace, che ne modificava non solo i gusti musicali, ma spesso anche il modo di vestire: come osservato da un ufficiale sovietico in un report annuale del KGB,

“al posto dei nostri giovani sovietici provenienti dai kolchoz, osserviamo ora degli idioti occidentalizzati il cui comportamento e abito non c’entrano nulla con le immagini della gioventù sovietica”.

Man mano che negli anni Settanta si diffondevano balere nei parchi pubblici sovietici, il Komsomol pensò di proporre forme ricreative simili pensate specificatamente per i giovani. Le autorità politiche erano allora più blande nel condannare come “indecenti” o addirittura “anti-sovietiche” alcune forme di ballo e così nel 1975 le discoteche divennero parte dell’intrattenimento ufficiale per i giovani organizzato dal Komsomol.

Nel 1978 a Mosca c’erano già 187 discoteche legate al Komsomol. In tutta la Lettonia erano oltre 300. Per quanto riguarda l’Ucraina, Kiev e Leopoli ne contavano 16 ciascuna, Odessa altre 10. La vera differenza era però determinata da alcune città dell’Ucraina orientale: nel 1979, Dnipro (allora Dnipropetrovsk) contava oltre 20 discoteche, seguita da Donetsk con 16 (entrambe ospitavano un milione di abitanti all’epoca e la prima, Dnipro, era anche la “città chiusa” – per la sua industria bellica – più popolosa d’Ucraina). Appena qualche anno dopo, nel 1983, nella regione di Dnipro erano registrate 83 discoteche, mentre nella sola città erano 31. Non fu un caso che nel 1979 proprio Dnipro ospitò il primo Disco-Club Contest d’Ucraina. Rappresentanti del Komsomol da Mosca e Kiev inviarono dichiarazioni di apprezzamento per il lavoro che la regione di Dnipro faceva “nell’efficiente organizzazione dei disco club”. 

La principale discoteca di Dnipro era Melodija, aperta in genere sei giorni su sette, dotata di bar e sala giochi; con un costo di entrata pari a un rublo, i soli ingressi garantivano circa 500 rubli a serata (quasi cinque volte lo stipendio medio mensile nelle principali città sovietiche negli anni Settanta). Nel biennio 1981-83 si arrivò a un guadagno mensile di oltre 60mila rubli. Nel 1983 il solo ricavato da vendite del bar e sala giochi era di 5000 rubli a settimana. Era chiaro che nel sistema di corruttela endemico all’apparato sovietico Melodija costituiva un bocconcino particolarmente succoso. Fu così che nel 1983 passò parzialmente in mano all’amministrazione cittadina, divenendo una fonte di guadagno fissa e para-ufficiale per molti apparatčiki. La polizia locale, consapevole di ciò, prese a chiamare la faccenda come “disco mafia”.

La russificazione attraverso la musica

Nei primi anni di diffusione dei disco-club in Ucraina, era obbligatorio per i disc jockey includere nei programmi musicali di ogni serata le hit in lingua ucraina del momento; l’esigenza rispondeva al rispetto del criterio “patriottico” immancabile nelle iniziative culturali delle repubbliche sovietiche. Tuttavia, ben presto la pratica si rivelò un’altra.

A Dnipro, inizialmente nota per i suoi immancabili programmi musicali in lingua ucraina, già nel 1980 le discoteche smisero di passare canzoni ucraine, preferendo le hit inglesi, italiane e russe. In realtà, già nel corso del decennio precedente i principali concerti ospitati dalla città si tennero in lingua russa. Nel giugno del 1982, durante l’annuale festival musicale studentesco di Dnipro, tutti i gruppi (formati da studenti delle locali università e istituti) inclusero canzoni in lingua russa, scelta che fu anche criticata sui giornali locali. 

È significativo che nel dicembre del 1983, in occasione della loro festa privata di fine anno, persino gli ufficiali del KGB locali chiesero espressamente canzoni occidentali o russe, tra cui AC/DC e Kiss. Il vinile di musica pop ucraina che l’organizzatore Michail Suvorov aveva preventivamente preparato si rivelò inutile.

Significativo fu proprio il ruolo della lingua russa nella diffusione e accesso alla musica occidentale, cosa che determinò una forte russificazione della gioventù ucraina: le principali fonti di informazione che parlavano di novità musicali, in primo luogo radio e periodici, erano in russo. Tra questi va citato sicuramente il programma radiofonico di Viktor Tatarskij Vstreči s pesnej (Incontri con la canzone) trasmesso dalla stazione moscovita Majak (Faro) ogni domenica a partire dal 1967: nei 25 minuti di programma, Tatarskij non parlava soltanto di pop sovietica, ma faceva ascoltare anche le hit occidentali rock and roll del momento. Molte fonti raccontano che in quella mezz’ora scarsa le città si svuotavano dei giovani, alle prese con le registrazioni artigianali delle canzoni passate da Tatarskij. 

Una testimonianza

In una nota del diario datata 24 agosto 1975 il sedicenne Gusar scriveva:

“Oggi avevo intenzione di comprare vera roba occidentale al mercato di musica di Dnipropetrovsk. I miei amici mi avevano detto che un grosso gruppo di turisti nostrani era appena rientrato dall’Ungheria e dalla Polonia, dove avevano comprato nuovi dischi. Con me avevo cinquanta rubli, guadagnati quest’estate nel kolchoz. Oggi, al mercato di Dnipropetrovsk ho visto tutti i miei album preferiti dei Deep Purple, Uriah Heep, Geordie, Gary Glitter, Slade and Sweet, provenienti dai paesi socialisti. È incredibile la selezione di musica rock che hanno a disposizione i nostri amici socialisti!

Alla fine ho deciso di comprare solo un album (per 45 rubli) della mia nuova band preferita T. Rex. […] Ora, finalmente, ho un vero disco britannico dell’Ungheria socialista (non una registrazione) con le mie canzoni preferite, Children of the Revolution e 20th Century Boy. La prossima settimana un nuovo gruppo di turisti di Dnipropetrovsk tornerà dalla Jugoslavia, dal vero Occidente, e non dalla Polonia, dall’Ungheria o dalla Bulgaria. Chiamo la Jugoslavia il vero Occidente perché questo paese non ha limiti all’informazione musicale al contrario degli altri paesi socialisti. […] Ci aspettiamo gli album degli Shocking Blue e Jesus Christ Superstar che abbiamo chiesto di comprare attraverso un partecipante di questa comitiva turistica lo scorso giugno. Forse potremmo chiedere a questi turisti di portarci i nuovi dischi dei Pink Floyd, dei Genesis e dei Queen la prossima volta. Quanto invidio questa gente che se ne può andare in Jugoslavia e vedere come vive l’Occidente!”

Le informazioni di questo articolo sono tratte da “Détente and Western Cultural Products in Soviet Ukraine during the 1970s” di Sergei I. Zhuk (pubblicato nel volume “Youth and Rock in the Soviet Bloc”, edito da Lexington nel 2015). La ricerca di Zhuk è basata principalmente su diari, memoirs e interviste. 

Immagine: Vitalij Savel’ev/RIA Novosti

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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