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CULTURA: Lo scrittore Prilepin e il “complotto ebraico” dietro ai premi letterari

L’abbiamo scritto più volte su queste pagine: lo scrittore russo Zachar Prilepin non nasconde il proprio impegno politico, schierandosi di continuo con il suo “sguardo cupo, agghiacciante, cranio rasato e spalle e torace ben forgiati” (così lo descriveva la nostra Claudia Bettiol) a favore di un nazionalismo esasperato e, negli ultimi anni (soprattutto a partire dal Maidan in Ucraina), di ogni linea politica che si faccia espressione del Cremlino. Dopotutto, per questo è stato nel tempo anche premiato, venendo appuntato — e non certo per meriti nel campo dell’arte drammatica — persino come vicedirettore del Teatro d’Arte MChAT Gor’kij di Mosca. 

Non si tratta affatto di un opinionista (solo) da salotto televisivo: nelle battaglie Prilepin si butta da sempre letteralmente anima e corpo, avendo combattuto dapprima in Cecenia (tra le file degli OMON, le unità speciali antisommossa e antiterrorismo) e da ultimo nel Donbas ucraino, divenendo anche comandante di un battaglione di separatisti filo-russi (nonché consigliere di Zacharčenko, leader dell’autoproclamata repubblica popolare di Donetsk). 

Tuttavia, questa volta non parleremo di lui per le sue imprese od obiettivi militari — come quello di “arrivare a Kiev e far tornare russa questa città”, giusto per riprendere alcune sue parole — ma per la sua posizione, come sempre discutibile, di scrittore, o meglio, come si suol dire, leone da tastiera. 

Tradotto internazionalmente (da Voland per quanto riguarda l’Italia), Prilepin è autore di romanzi che sono stati insigniti di importanti premi russi. Benché non amato da molta critica per la banalità delle sue trame e la piattezza del suo stile (recentemente lo slavista Mario Caramitti lo ha definito come “tutto ciò che non serve alla letteratura russa”), nel 2014 Prilepin si è aggiudicato il premio Bol’šaja kniga grazie al romanzo Obitel’, Il monastero. Quest’anno il premio è stato assegnato a Čertëz N’jutona (Il disegno di Newton) di Aleksandr Iličevskij, uno scrittore russo che vive in Israele. È stato questo a scatenare Prilepin.

“Tra i membri della giuria del premio BK (Bol’šaja kniga) ci sono una cinquantina di ebrei. Bastava scrivere questo, Kostja”, ha commentato Prilepin sotto al post Facebook del critico Konstantin Mil’čin, il quale si rammaricava del fatto che il premio non fosse stato assegnato al romanzo Zemlja (Terra) di Michail Elizarov. Il commento non è chiaramente passato inosservato, ma ha provocato comprensibili accuse di antisemitismo. Tra i commenti, c’è chi osserva inoltre che, come si diceva, allo stesso Prilepin è stato a suo tempo insignito il premio; con la consueta mitomania ipertrofica che lo contraddistingue, lo scrittore ha replicato che infatti la decisione di premiarlo era stata così male accolta nel 2014 che parte della giuria aveva persino preso e lasciato la sala “in segno di protesta”. Coerenza, finezza, cura, empatia, riflessione, apertura, comprensione: no, tutti elementi che non servono a Zachar Prilepin.

Resta da chiedersi a latere della vicenda, come fa d’altronde il traduttore e critico Michail Vizel’, quale sia la credibilità e l’autorevolezza oggi dei premi letterari, spesso tanto più espressione di un certo mainstream politico, ideologico o commerciale quanto più sono prestigiosi e rinomati.

Immagine: LitRes

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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