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SERBIA: È morto il patriarca Irinej, la Chiesa ortodossa ad un punto di svolta

Il patriarca della Chiesa ortodossa serba Irinej è morto la mattina del 20 novembre, due settimane dopo essere risultato positivo al coronavirus. Irinej, che aveva 90 anni, era comparso in pubblico l’ultima volta il primo novembre per officiare i funerali del metropolita della Chiesa ortodossa del Montenegro, Amfilohije Radović, anche lui positivo al coronavirus, e si sospetta che si sia contagiato in quell’occasione, dato lo scarso rispetto delle basilari norme contro il virus da parte dei partecipanti. Al funerale di Radović erano presenti anche i vertici delle istituzioni serbe, tra cui il presidente Aleksandar Vučić, con il quale Irinej era in stretti rapporti e che a ottobre era stato insignito della Chiesa dell’ordine di San Sava, l’onorificenza più alta del credo ortodosso. Sabato scorso, inoltre, è morto di Covid-19 anche un altro vescovo serbo ortodosso, Artemije Radosavljević.

Il presidente Vučić stesso è stato il primo ad annunciare la morte del patriarca Irinej con un post sul suo profilo Instagram: “sono stato onorato di conoscerti. Le persone come te non se ne vanno mai”, ha scritto. Messaggi di cordoglio sono poi arrivati dal presidente russo Vladimir Putin e da quello bielorusso, Alexander Lukashenko, ma altre condoglianze sono giunte anche dal leader dell’opposizione greca, Alexis Tsipras, e dal presidente francese Emmanuel Macron.

La vita del patriarca 

Dopo la camera ardente e i funerali molto partecipati tenutisi sabato 21 e domenica 22, anche in questo caso con scarso rispetto delle norme sanitarie anti-Covid, il patriarca Irinej è stato sepolto nel tempio di San Sava a Belgrado. Il Sinodo dei vescovi della Chiesa ortodossa serba ha deciso che il metropolita Crisostomo svolgerà il compito di patriarca nell’interregno prima dell’elezione del nuovo capo della Chiesa ortodossa serba. Irinej, nato Miroslav Gavrilović nel villaggio di Vidova, nel 1930, studiò nel seminario della Chiesa ortodossa a Prizren, in Kosovo, e poi alla facoltà di Teologia di Belgrado. Dal 1975, è stato eletto vescovo di Niš, ruolo che ha ricoperto per 35 anni. È diventato patriarca nel gennaio 2010 dopo la morte di Pavle.

Di Irinej erano note le posizioni molto conservatrici e nazionaliste. Irinej ha definito la Republika Srpska – una delle due entità che compongono la Bosnia Erzegovina – come “il più giovane Stato serbo”, mentre nel 2017 fece scalpore quando definì la sentenza di carcere a vita contro l’ex generale serbo-bosniaco, Ratko Mladić, “opera del demonio“. Con Irinej, la Chiesa serba ortodossa ha mantenuto la sua linea tradizionale verso il Kosovo, una linea contraria a qualsiasi riconoscimento delle istituzioni di Pristina e volta a voler difendere “pacificamente o con la forza”  il patrimonio religioso, artistico e culturale serbo nell’ex provincia. Mentre, negli ultimi anni, Irinej ha dichiarato di sostenere l’avvicinamento della Serbia all’Unione europea “se l’Ue rispetta l’identità, la cultura e la religione serbe”, il suo rapporto con il mondo islamico è risultato controverso, con alcune aperture ma anche con alcune frasi provocatorie. Sul fronte interno, nel 2019, Irinej si era schierato a fianco di governo e presidente contro le proteste che per molte settimane avevano popolato le strade di Belgrado, sostenendo che dessero forza ai nemici della Serbia. Per quanto riguarda i diritti, infine, il patriarca stesso ha più volte usato parole dure contro l’omosessualità, vista come un peccato e una devianza, e l’aborto.

L’elezione e la speranza di un rinnovamento

Il prossimo patriarca sarà scelto tramite un sistema peculiare. L’assemblea di vescovi e metropoliti voterà chi eleggere tra tutti i vescovi con almeno cinque anni di servizio. I tre nomi che otterranno più della metà dei voti saranno scritti su tre pezzi di carta e poi riposti in una bibbia. La mattina seguente un vescovo scelto dall’assemblea estrarrà una delle buste. Il nome sorteggiato sarà il nuovo metropolita. Secondo la tradizione, questa scelta è fatta dallo spirito santo. Mano divina o meno, in ogni caso dal 1990 l’elezione del patriarca riguarda solo i membri della Chiesa ed è totalmente indipendente dalle influenze politiche. Prima di quella data, l’assemblea che eleggeva il patriarca era composta anche da laici, permettendo allo Stato di avere più voce in capitolo.

Con l’elezione del successore di Irinej si gioca un’importante partita per il rinnovamento della Chiesa serba, anche nell’ottica di un maggiore dialogo interreligioso. Tra i principali candidati alla successione ci sono Irinej Bulović, vescovo di Bačka, e Porfirije, metropolita di Zagabria e Lubiana, più giovane del primo e, secondo alcuni commentatori, opzione preferita da Vučić. Potenziali candidati sono anche Joanikije, stretto collaboratore di Amfilohije e metropolita del Montenegro, e il vescovo Grigorije, capo dell’Eparchia di Düsseldorf e di tutta la Germania, visto come la vera speranza di rinnovamento della Chiesa serba ortodossa.

Le prospettive

Secondo l’esperto di politica serba Srdan Cvijić, il prossimo patriarca sarà uno di questi quattro nomi. Secondo Cvijić, chiunque sia alla fine il prescelto, l’approccio verso il Kosovo rimarrà di opposizione verso l’indipendenza dell’ex provincia, ma un patriarca ostile al regime di Vučić potrebbe trasformare la Chiesa serba in una forza di bilanciamento allo strapotere dell’attuale presidente.

Molto aperta invece la questione del rapporto tra la Chiesa serba e le altre chiese nazionali che vorrebbero più indipendenza, come quella – mai riconosciuta neppure da Costantinopoli – della Chiesa ortodossa macedone, o l’autocefalia più recente di quella montenegrina. Non da ultimo il prossimo patriarca potrà avallare o meno la tanto attesa visita del Papa in Serbia. Finora la Chiesa serba è stata sempre contraria a questa evenienza ma, dovesse vincere un vescovo riformista, nei prossimi mesi si potrebbero aprire nuovi scenari.

Foto: BBC

Chi è Tommaso Meo

Giornalista freelance, si occupa soprattutto di Balcani, migranti e ambiente. Ha scritto per il manifesto, The Submarine e La Via Libera, tra gli altri. Collabora con East Journal dal 2019.

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