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Quando la Drina restituì i corpi delle vittime di Visegrad

Dieci anni fa, nell’estate 2010, il letto prosciugato del lago Perućac, lungo la Drina, restituiva i corpi di 163 persone, civili bosgnacchi, uccise a Višegrad nel 1992.

I massacri di Višegrad

La città del “ponte sulla Drina” cade in mano alle milizie serbo-bosniache a fine maggio 1992. Contro la popolazione, prevalentemente bosniaco-musulmana, si scatena la pulizia etnica dei paramilitari serbi, incluse le “aquile bianche” e le “tigri di Arkan“. Entrambe le moschee della città furono rase al suolo, mentre furono tra i 1.500 e i 3.000 i civili assassinati o dispersi, tra cui almeno 600 donne e 120 minori. Mentre gli uomini erano detenuti e torturati alle caserme di Uzamnica, per le donne l’Hotel Vilina Vlas (ancora oggi aperto e promosso dall’ufficio turistico della Republika Srpska come stazione termale) si trasformava in luogo dove lo stupro veniva usato come arma di guerra, come riconosciuto anche dal tribunale dell’Aja.

Molti furono i civili fucilati e gettati nel fiume dallo stesso ponte sulla Drina, secondo vari testimoni. Tanto che – come riportato da Mirza Hota – alla fine di giugno 1992, il direttore della diga idroelettrica di Bajina Basta, appena oltre il confine in Serbia, scriveva all’ispettore di polizia a Visegrad, Milan Josipović, pregandolo di “rallentare il flusso dei cadaveri” nella Drina, poiché questi intasavano i condotti della diga di Bajina Basta a una velocità tale che il personale a disposizione non bastava per rimuoverli. Josipović venne ammazzato con tre colpi di pistola nel 2005, dopo aver testimoniato contro il suo ex superiore Novo Rajak.

Nell’agosto 2001 vennero sepolti i primi 180 corpi, riesumati nel corso di due anni da 19 diverse fosse comuni. I cugini Milan e Sredoje Lukić vennero condannati il ​​20 luglio 2009 rispettivamente all’ergastolo e 30 anni per lo sterminio dei musulmani a Višegrad nel 1992.

Le riesumazioni dal lago Perućac

Nel 2010 una barchetta si incaglia nelle turbine della diga idroelettrica: per ripararle, è necessario svuotare l’invaso. Sul fondale prosciugato del lago Perućac appaiono allora i resti umani dei civili uccisi a Višegrad nel 1992. Sul posto entrano al lavoro le squadre investigative dell’Istituto bosniaco per le persone scomparse, quindici persone in tutto. Tra il 19 luglio e il 9 agosto 2010 vengono ritrovati i resti di 60 persone.

Ma quindici persone non bastano per scandagliare, a piedi, gli oltre 100 km del canyon della Drina:  L’associazione dei familiari delle vittime “Višegrad 92” lancia un appello, presto raccolto da centinaia di volontari da tutta la Bosnia e anche dalla Serbia: vigili del fuoco, speleologi, ranger, sminatori e membri delle forze di polizia, ma anche studenti universitari, operai e bosniaci della diaspora, per molti dei quali si trattava dell’ultima l’ultima possibilità di trovare forse i resti dei loro cari. Circa 2.000 volontari in tutto, che in due settimane hanno portato a riesumare i resti di oltre 150 persone, mentre le autorità della Republika Srpska si limitavano a guardare.

Il genocidio negato

ImageAl 23 settembre 2010 erano 396 i resti umani recuperati dal fondo dell’invaso: spesso solo un osso, una gamba, un braccio o una costola. Le autorità serbe insistettero affinché la diga fosse rimessa in servizio il 26 settembre, prima che il lavoro investigativo forense potesse essere completato. Le vittime identificate tramite DNA saranno 163, per la maggior parte civili bosgnacchi di Višegrad, oltre a una dozzina di vittime di Srebrenica e Zepa, scaricate nella Drina nel 1995, e 2 soldati serbi, uccisi a Goražde. Due delle vittime provenivano dal massacro di Štrpci, un’altra da quello di SjeverinUn quarto delle vittime erano donne; le più anziane Aisa Imamagić e Hasida Ohranović, del 1906; la più giovane Haris Podžić, di 4 anni.

Le vittime riesumate dal lago Perućac sono state inumate il 26 maggio 2012, vent’anni dopo il loro assassinio, al cimitero musulmano di Višegrad, dove venne eretto loro una stele a memoria. Due anni dopo, le autorità della Republika Srpska fecero scalpellare via dalla stele la parola genocidio. I familiari delle vittime continuano ad aggiungerla a mano, ogni volta, fino ad oggi.

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Immagine: Sadic Salimovic, RFE/RL 

Chi è Andrea Zambelli

Andrea Zambelli è uno pseudonimo collettivo usato da vari membri della redazione di East Journal.

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