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RUSSIA: La Corte europea condanna il blocco di alcuni siti internet

Martedì 23 giugno, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha condannato la Federazione Russa per aver bloccato arbitrariamente alcuni siti internet tra il 2012 e il 2015. La Corte ha riconosciuto la violazione degli artt. 10 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nei casi in questione – Vladimir Kharitonov v. Russia, OOO Flavus and Others v. Russia, Bulgakov v. Russia ed Engels v. Russia. Le quattro sentenze prevedono dunque un risarcimento, da parte della Russia, di 10.000 euro per ogni ricorrente.

Il blocco dei siti

Nonostante i quattro casi siano diversi, è particolarmente interessante citare il caso OOO Flavus and Others v. Russia per il blocco dei siti Grani.ru (per aver incitato le manifestazioni di piazza Bolotnaja) e www.kasparov.ru, un blog per pubblicazioni concernenti la società e la politica.

Il proprietario di quest’ultima piattaforma è Garri Kasparov, ex campione del mondo di scacchi e attivista politico. Secondo la versione russa, il Roskomnadzor – l’autorità russa competente nel controllo dei media, delle telecomunicazioni e della privacy – avrebbe bloccato il sito a seguito della pubblicazione di un pamphlet intitolato “In Crimea, le proprietà statali (ucraine) saranno nazionalizzate”. L’opuscolo conteneva l’immagine di un uomo armato in copertina e altri slogan che invocavano la popolazione crimeana a non arrendersi agli occupanti russi (“Wake up, Crimea!”, “Do not surrender!”).

Il Procuratore Generale russo giustificò il blocco del sito, avvenuto il 14 marzo 2014 (due giorni prima del noto referendum per l’annessione della Crimea alla Russia), affermando che si trattasse di incitamento ad azioni illegali. La Corte, però, ha evidenziato l’infondatezza dell’azione di blocco da parte del governo russo, affermando che il Procuratore Generale non avesse alcuna competenza nello stabilire l’illegalità di una condotta di cittadini stranieri in territorio straniero.

La sentenza

La Corte ha ritenuto che il blocco dei vari siti internet violasse il principio di libertà di espressione (art. 10 della Convenzione), secondo cui ogni individuo ha il diritto di diffondere e ricevere informazioni senza alcuna ingerenza statale. Restrizioni o addirittura la censura di contenuti online possono essere legittimamente applicate, purché rispettino i principi di proporzionalità e necessità. In nessuno dei quattro casi, la Russia avrebbe rispettato tali principi. Infatti, secondo la CEDU, il blocco di un intero sito violerebbe il principio di proporzionalità perché non distinguerebbe contenuti illegali, qualora ce ne fossero, da contenuti legali. Inoltre, l’assenza di disposizioni chiare che rendano prevedibile l’illegalità di un’azione non garantirebbe alcuna protezione da una censura arbitraria.

La Corte di Strasburgo ha infine riconosciuto la violazione dell’art. 13 della Convenzione, il quale prevede il diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale. La CEDU ha ritenuto che il ricorso non potesse essere considerato effettivo, poiché le corti avrebbero semplicemente valutato la dimensione procedurale e non gli aspetti sostanziali relativi ai quattro casi.

La reazione di Article19

Article19 – organizzazione il cui obiettivo è la difesa dell’informazione e dell’opinione – ha seguito da molto vicino i quattro casi di chiusura dei siti internet russi. Il giorno stesso delle sentenze, ha pubblicato un articolo in cui accoglieva con piacere le conclusioni della Corte di Strasburgo. Inoltre, ribadiva la necessità di regole chiare e prevedibili, di un ricorso effettivo alle istanze nazionali e, soprattutto, il fatto che il blocco di un sito dovesse essere prerogativa di una corte o di un tribunale, non di un ente statale quale il Roskomnadzor.

Pertanto, ricordare la censura arbitraria che sempre più spesso colpisce l’informazione russa deve essere un monito affinché corti, organismi internazionali, ONG, Stati e individui facciano pressione per il rispetto di un diritto umano fondamentale: la libera espressione. Infatti, quest’ultima sembra essere ancora più a rischio in seguito al referendum costituzionale, che ha visto la popolazione russa recarsi alle urne dal 25 giugno al primo luglio. La revisione costituzionale prevedeva inter alia la limitazione della preminenza del diritto internazionale su quello interno. In altre parole, il governo russo potrebbe appellarsi al diritto interno al fine di non applicare il diritto internazionale o le sentenze di corti internazionali, quali appunto la CEDU.

Foto: coe.int

Chi è Amedeo Amoretti

Studente di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali, curriculum Global Studies, alla LUISS Guido Carli. Si interessa principalmente di Russia, Bielorussia e Ucraina.

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