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STORIA: Quando a Belgrado si scendeva in piazza contro la guerra

Il 23 settembre 1991, di ritorno dal campo di battaglia di Vukovar, il soldato jugoslavo Vladimir Živković parcheggiò il proprio carro armato di fronte al palazzo del Parlamento a Belgrado. Quello che divenne poi noto come il “monumento al disertore ignoto” fu uno dei simboli più intensi della resistenza civica alla mobilitazione bellica del regime di Slobodan Milošević. Una resistenza che si fece sentire in forze nella capitale federale, ancora non rassegnata alla fine nel sangue della Jugoslavia.

La battaglia di Vukovar, l’avvio degli assedi di Dubrovnik e di Sarajevo scatenarono la ribellione di giovani e meno, che chiedevano un referendum sulla guerra e lo stop alla coscrizione militare obbligatoria.

Tra il 1991 e il 1992,  si stima che oltre 50.000 persone parteciparono alle proteste, inclusa la “marcia del nastro nero” in solidarietà coi i cittadini di Sarajevo assediata. Tra i 50.000 e i 200.000 soldati disertarono l’Esercito popolare jugoslavo, mentre furono tra 100.000 e 150.000 coloro che cercarono rifugio all’estero per non partecipare alle guerre di Milošević.

Il movimento contro la guerra si strutturò in una serie di organizzazioni non governative e movimenti, tra cui il Center for Antiwar Action, le Donne in nero, lo Humanitarian Law Center e il Belgrade Circle. Secondo la politologa Orli Fridman, si trattò di un tentativo per combattere lo stato di negazione collettivo che paralizzava la società serba all’avvio del conflitto. “Era come combattere contro il proprio stesso popolo“, nelle parole di una attivista per la pace.

A livello politico, tra i sostenitori vi furono l’ex presidente della Serbia socialista jugoslava, Ivan Stambolić (poi fatto assassinare da Milošević nel 2000, poco prima della stessa fine del dittatore), oltre a vari partiti d’opposizione incluso il Partito democratico che parteciparono alla “marcia del nastro nero”.

Anche la scena culturale e artistica belgradese contribuì alla mobilitazione contro la guerra. Il famoso architetto e scultore Bogdan Bogdanović, autore di molteplici spomenik jugoslavi, fu uno dei più noti dissidenti. I cittadini di Belgrado che protestarono contro l’assedio di Dubrovnik furono raggiunti da artisti, compositori e attori di spicco come Mirjana Karanović e Rade Šerbedžija, che cantarono insieme “Neću protiv druga svog” (“Non posso andare contro il mio amico”). 

Alcuni dei più famosi gruppi rock jugoslavi come gli Ekatarina Velika, Električni Orgazam e Partibrejkers formarono il supergruppo Rimtutituki, che nel marzo 1992 organizzò un imponente concerto sulla Piazza della Repubblica di Belgrado, oltre a circolare per la città suonando canzoni contro la guerra da un camion aperto. Come notava Zoran Torbica, “se avessero dato retta a noi giovani, la guerra non ci sarebbe stata…”

Per contrastare la propaganda ufficiale del regime di Milošević, che puntava sull’etno-nazionalismo, il movimento contro la guerra si informava tramite i media indipendenti come le radio  B92 e Studio B. Secondo il professor Renaud De la Brosse, docente presso l’Università di Reims e testimone presso il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY), è sorprendente quanto sia stata grande la resistenza alla propaganda di Milošević tra i serbi, data anche la mancanza di accesso a notizie alternative. Un mese dopo la battaglia di Vukovar, come riporta Norman Cigar, i sondaggi d’opinione riportavano che il 64% della popolazione serba voleva porre immediatamente fine alla guerra, mentre solo il 27% era disposto a continuare.

Il 31 maggio 1992, mentre l’assedio di Sarajevo entrava nel suo secondo mese, 150.000 belgradesi scesero in piazza, portando per protesta un enorme nastro nero lungo il viale principale della città, da Terazije fino a Slavija. La “marcia del nastro nero” segnò l’apice del movimento jugoslavo contro la guerra.

Le proteste non riuscirono a porre fine al conflitto e al regime di Slobodan Milošević, ma la mobilitazione riprese negli anni successivi, con le proteste del 1996-97 e infine quelle del 2000, che portarono alla caduta del dittatore. Della memoria di quel movimento purtroppo resta ben poco anche oggi che l’allora ministro dell’informazione di Milošević, Aleksandar Vučić, è presidente della repubblica.

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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