STORIA: Quella volta che Dior sbarcò nella terra dei Soviet

È il 10 giugno 1959. In una Mosca dal clima poco più che primaverile, ma ben riscaldata dalle politiche di parziale apertura del “disgelo chruscioviano”, atterra una delegazione europea quanto meno singolare: si tratta di dodici modelle francesi, accompagnate da Yves Saint Laurent, all’epoca da poco giunto ai vertici della casa di moda Dior. È il primo stilista occidentale a metter piede nel mondo sovietico.

Le sfilate per i membri del partito (e non solo)

Il Cremlino aveva dato allora da poco il permesso per l’organizzazione di sfilate di moda in Unione Sovietica e Dior non si era lasciata sfuggire l’opportunità offerta dal nuovo clima politico oltrecortina. La direttrice Suzanne Lulling organizza così a Mosca, presso il complesso sportivo “Le ali dei Soviet” decorato per l’occasione con tricolori francesi (e singolari manifesti non privi di refusi di traslitterazione nel nome di Christian Dior, talvolta Кристиан, talvolta Христиан), un’imponente sfilata di moda suddivisa in 14 appuntamenti e cinque giorni; Dior per l’insieme di eventi impiega 10 milioni di franchi.

Gli invitati furono 11.000, selezionati tra membri del partito ed elite sovietica in generale. Tre delle dodici modelle furono inoltre invitate a sfilare per le vie del centro della capitale sovietica, piazza Rossa inclusa, offrendo così alla popolazione cittadina uno sguardo sulle nuove forme della moda europea, o meglio “borghese”, come la etichettò la stampa del tempo. Le foto delle giornate di Dior a Mosca raccontano l’interesse e lo stupore che provocò la comparsa per le vie moscovite di queste modelle francesi in abiti sgargianti e dai tagli insoliti che i giornali in quei giorni descrissero così:

Perché gli abiti di lana pesante sono così aperti? Sembrano dei sarafan. Per noi, gente del nord, non risultano molto pratici. E d’estate, anche la sera, si starebbe troppo caldi in abiti simili. E poi sono un po’ corti. Non gioverebbero alle donne robuste e di bassa statura. Il ricamo di tulle sulle maniche è indubbiamente elegante, ma chi può permettersi tanto lusso? […] La moda borghese è fatta  in modo tale da creare problemi alla donna nell’incedere e da costringerla ad avere accanto qualcuno che la aiuti (Ogonëk, 17 giugno 1959).

Perché Dior?

Le industrie tessili statali sovietiche avevano accolto in realtà la visita dei francesi con interesse: erano pronte a studiarne i dettagli e le forme per riproporli alle manifatture sovietiche rivitalizzate dal nuovo clima garantito dalla guida chruscioviana.

Allo stesso tempo, erano stati i cambiamenti interni alla casa di moda Dior ad aver in qualche modo agevolato l’organizzazione delle sfilate a Mosca: Yves Saint Laurent stava allora infatti rivoluzionando il “New Look” Dior, abbracciando uno stile più “funzionale”; l’estetica si avvicinava alla praticità e alla vita comune, il che ben si sposava con l’ideale utilitarista e proletario del mondo socialista. Altri stilisti “borghesi” sarebbero invece stati visti ancora con sospetto in Urss, in quanto potenziali diffusori di idee (non solo abiti) nocive alla società.

Pratico vademecum per la modella “modello”     

Negli archivi di Dior si conservano ad oggi alcune copie della guida pratica che ricevette la delegazione francese per prepararsi alla “missione” sovietica. Tra i consigli che le modelle erano caldamente invitate a seguire c’erano quello di portarsi da casa sigarette e cosmetici (non ne avrebbero trovati di simili in loco), di non fotografare nulla (in particolare bambini, edifici, ponti e strutture militari), di non rifiutare mai la prima sigaretta o sottrarsi a un brindisi (“si tratta di una prassi di cortesia e rifiutarsi è una delle offese peggiori”, si esplicita nel vademecum), di non stupirsi se per la strada fossero state loro rivolte domande sulla Francia e sulla loro idea di Mosca (“è un gesto di amicizia da parte della popolazione moscovita”), di non prendere o lasciare mance se non ai tassisti (rigorosamente del 10%), di portare con sé romanzi esclusivamente gialli da regalare ai dipendenti dell’ambasciata, di non portare mai i pantaloni che “negli ultimi tempi, in seguito ad alcuni film, sono visti negativamente dalla popolazione”.

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Foto: Howard Sochurek/The LIFE Picture Collection/Getty Images

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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