mutilazione genitale femminile

RUSSIA: La mutilazione genitale femminile approda in tribunale

Per la prima volta, in Russia, una vicenda di mutilazione genitale femminile è diventata motivo di procedimento penale: una bambina di nove anni nel giugno 2019 è stata illegalmente sottoposta a escissione clitoridea a Magas, capitale dell’Inguscezia, repubblica autonoma situata nel Caucaso settentrionale.

Storia di un’escissione illegale

La bambina, originaria della Cecenia, era stata invitata insieme al fratello dal padre, che vive in Inguscezia con la seconda moglie, per trascorrere insieme il fine settimana. Durante la permanenza è stata forzatamente portata in una clinica dove le è stata praticata una forma di mutilazione genitale femminile, l’escissione. Ad accompagnare la piccola nella clinica Ajbolit di Magas è stata la moglie del padre, con il pretesto di un vaccino. Una volta arrivate, la bambina è stata fatta sedere e minacciata di morte qualora si fosse ribellata. Mentre la donna e il personale della clinica le tenevano ferme braccia e gambe, la ginecologa Izanja Nal’gieva ha eseguito l’escissione.

Al momento dell’intervento non c’era nessun rappresentante legale della piccola e gli adulti presenti le hanno detto che era una procedura comune per tutte le bambine. Quando la bambina è tornata a casa piangendo e con evidenti tracce di sangue, il fratello ha dato l’allarme alla madre in Cecenia. A quel punto, i piccoli sono stati rimandati a casa dal padre che ha dato loro una somma di 500 rubli (circa 7 euro) per il viaggio di ritorno. Al telefono con la madre della bambina, il padre ha giustificato l’intervento con le parole “non volevo che mia figlia si eccitasse”.

Venuta a conoscenza dei fatti, la donna ha presentato ricorso all’ufficio del procuratore della repubblica di Inguscezia e al comitato investigativo per la Cecenia e il 27 giugno 2019 è stata avviata un’indagine penale contro la ginecologa della clinica. Una settimana dopo l’accaduto, la dottoressa Nal’gieva ha ammesso di aver praticato “un’incisione cutanea a livello del clitoride” d’accordo con i genitori. Più tardi, durante l’interrogatorio, ha cambiato la sua versione dei fatti dicendo di aver fornito solo assistenza medica e non aver eseguito alcun intervento chirurgico: “Ho letto distrattamente il protocollo e ho affermato di aver praticato la circoncisione. Non avevo con me la cartella clinica della paziente e non avevo memorizzato tutte le informazioni”, ha poi ritrattato la ginecologa.

Il caso ha interessato gli attivisti per i diritti umani e alcune Ong che hanno presentato una petizione al fine di incriminare la direzione della clinica per abusi sessuali e danni alla salute di un minore. Il rappresentante della clinica Ajbolit, Beslan Matiev, ha asserito che l’intera vicenda è un tentativo di speculazione ai danni della clinica da parte della famiglia della bambina, aggiungendo che la ricevuta attestante la procedura effettuata era falsa. La Ong Pravovaja Initsiativa (Iniziativa legale) ha dimostrato che la clinica continua a fornire servizi di mutilazione genitale femminile. Nell’account Instagram della struttura, infatti, è riportato che la ginecologa pediatrica Izanja Nal’gieva esegue queste procedure al prezzo di duemila rubli (circa 25 euro). A conferma di ciò, il quotidiano online Meduza ha pubblicato la prima versione del listino prezzi di Ajbolit del luglio 2016 dove il servizio compare al costo di 2.000 rubli. Nel novembre 2018 lo stesso quotidiano ha portato alla luce il caso di una clinica a Mosca che lo offriva per motivi religiosi.

Le mutilazioni in Russia

La pratica della mutilazione, a volte anche chiamata circoncisione femminile, consiste nella rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili. Oltre a essere terribilmente pericolosa, rappresenta una estrema forma di violazione dei diritti di donne e bambine, una vera e propria forma di violenza di genere. La pratica riflette convinzioni ataviche, spesso religiose, ed ha come fine il controllo della vita sessuale di una donna prima e dopo il matrimonio: mantenere la verginità e successivamente garantire la fedeltà al marito.

In un intervento del 6 febbraio 2015, l’allora segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon ha invocato la fine di una pratica tanto barbara. La Ong Stichting Justice Initiative (SRJI) che si occupa di violazioni dei diritti umani, sparizioni, torture e processi iniqui nei territori di Cecenia, Inguscezia e Daghestan, nel 2017 ha portato alla luce diversi casi (almeno 1240) di mutilazione genitale femminile in Daghestan, dove la popolazione è prevalentemente musulmana. Lo studio, condotto dalle ricercatrici Antonova e Siradzhudinova, ha dimostrato che la pratica, nonostante l’assenza di attenzione o di dibattito pubblico, è ancora molto diffusa nel territorio.

A detenere il primato per numero di donne che hanno subìto la pratica sono i distretti di Tsuntinskij e Bezhtinskij, dove tutte le donne intervistate hanno dichiarato di essere state sottoposte a mutilazione; nel distretto di Botlichskij il fenomeno ha riguardato l’80% delle intervistate, mentre nei distretti di Tsumadinskij e Tljaratinskij a subire la pratica è stata la metà delle ragazze. Tutte le donne interpellate hanno dichiarato di aver avuto problemi di natura sessuale e metà di loro di aver subìto un forte trauma psicologico dovuto all’operazione. A decidere di eseguire l’intervento è spesso la madre o altri parenti di linea materna spinti da senso di appartenenza alla comunità o per iniziazione religiosa.

Dalle interviste a personalità religiose, poi, sono emersi pareri discordanti sulla necessità di praticare tali mutilazioni. Le esperte hanno intervistato imam appartenenti alla ‘casta sacerdotale’  e non. I primi sostenevano a gran forza la pratica definendola parte delle prescrizioni dello Sciafeismo, una delle scuole giuridico-religiose del sunnismo islamico; gli imam ‘non ufficiali’ d’altra parte, pur considerandola una pratica religiosa, l’hanno definita inutile e dannosa. Dal momento che più del 90% della popolazione in Daghestan segue lo Sciafeismo, è ragionevole ritenere che gran parte della popolazione locale consideri la mutilazione genitale femminile una procedura obbligatoria. Secondo gli esperti religiosi “[la circoncisione] è un’imposizione sunnita e chiunque lo ignori può cadere nel peccato” e la pratica è condotta per “calmare la follia delle donne”.

La pubblicazione dello studio ha suscitato diverse polemiche in Daghestan. Ismail Berdiev, il muftì della repubblica Karačaj-Circassia, situata nel Caucaso settentrionale, ha dichiarato che tutte le donne devono essere circoncise così da prevenire la depravazione sulla Terra e ridurre la sessualità. Berdiev ha poi ritrattato dicendo che si trattava di uno scherzo. Il muftì ha ricevuto il supporto dell’arciprete ortodosso Vsevolod Čaplin che ha postato sulla sua pagina Facebook il seguente messaggio: “[esprimo] la mia vicinanza al muftì. Spero che non ritratti quanto detto a causa delle crisi isteriche che nasceranno”.

Nel 2016 è stato presentato alla Duma di Stato un disegno di legge sulla responsabilità penale per mutilazione genitale femminile, ma non è ancora stato adottato. La causa intentata nei confronti della ginecologa Nal’gieva e della clinica Ajbolit, se portata a termine, costituirebbe il primo processo che affronta il tema delle mutilazioni genitali femminili in Russia. La madre della bambina ha dichiarato che il giudice ha più volte proposto la riconciliazione fra le parti. Il processo, che è iniziato a dicembre, procede a rilento a causa delle misure restrittive in atto per la pandemia.

Foto: glavcom.ua

Chi è Lilly Marciante

Nata nella costa sud-occidentale siciliana. Dopo gli studi linguistici mi sono concentrata sull' area post-Sovietica. Attualmente frequento il secondo anno di magistrale MIREES presso l'Università di Bologna. Collaboro con East Journal da inizio 2020 occupandomi di Europa Orientale.

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