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DAGHESTAN: La condizione della donna daghestana, il contesto sociale

DA MOSCA – La condizione della donna è uno dei punti dolenti di tutti i paesi musulmani. Non traggano in inganno i casi in cui una donna è stata capo dello stato o del governo, come quelli di Benazir Bhutto in Pakistan o di Sheikh Hasina Wazed in Bangladesh. In tutti gli stati musulmani, in misura maggiore o minore valgono le prescrizioni della shari’a che, nonostante tutti i tentativi di modernizzazione, condizionano ancora negativamente la situazione della donna. Dalle varie forme di velatura (hijab, niqab, parandža, chador, burqa ecc.) alla discriminazione nelle questioni di eredità o di divorzio, alla minore capacità giuridica ecc. la situazione della donna è comunque più sfavorevole di quella maschile, spesso anche semplicemente a livello, come dicono i russi, bytovoj, cioè di vita quotidiana e di costume. E fatti di discriminazione sono riscontrabili anche in paesi islamici che hanno una costituzione laica o un passato di ostilità ufficiale verso la religione, come nell’ex URSS.

Prendiamo ad esempio il Daghestan, repubblica del Nord-Caucaso considerata la più islamizzata della Russia, di cui fa parte. Le repubbliche nord-caucasiche infatti non hanno lasciato la Russia e non hanno proclamato l’indipendenza agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso, a differenza di quelle del Caucaso meridionale e dell’Asia Centrale. Negli ultimi anni in Daghestan si è creata una situazione economico-sociale estremamente sfavorevole che si riflette soprattutto nella condizione delle donne. La grande maggioranza della popolazione daghestana (si calcola, circa il 70%) vive al di sotto del livello di povertà. L’indice di disoccupazione fra la gioventù si aggira sull’85%. Il bilancio della repubblica è sovvenzionato al 90% dal centro federale, cioè da Mosca, e non vi sono, in prospettiva programmi per favorire l’occupazione.

E poi vi è un altro grave problema. I cambiamenti politici avvenuti nel periodo post-sovietico hanno trasformato il Daghestan in un’arena di guerriglia terroristica e in una piazzaforte per possibili interventi militari russi nel Nord Caucaso. Neppure la situazione sul fronte interetnico può essere considerata tranquilla. E inoltre la società daghestana continua a distinguersi per un alto livello di criminalizzazione. Questo grave stato di cose è reso ancora più preoccupante dalla complessità delle condizioni politiche nel resto del Nord-Caucaso. La lotta antiguerriglia delle truppe russe presenti in Daghestan ha provocato una completa o parziale distruzione delle infrastrutture sociali e del patrimonio immobiliare, soprattutto sul territorio dei distretti di Botlikh, Tsumada e Novolak. Per di più, le regioni montuose del Daghestan rappresentano più del 55% del suo territorio complessivo e costituiscono un terreno agricolo con scarso sviluppo delle comunicazioni. In queste condizioni geopolitiche ed economico-sociali estremamente complesse vengono sempre più spesso misconosciuti anche i diritti delle donne: il diritto al lavoro, l’accesso alla cultura e all’istruzione, il diritto all’assistenza sanitaria, il diritto ad una normale attività riproduttiva. Tutto ciò si riflette in modo estremamente negativo sulla condizione delle donna.

Oggi è ancora prematuro parlare di una qualsiasi strategia dei rapporti di “gender” in Daghestan. Data l’assenza di studi demografici sistematici che tengano conto del fattore “gender”, l’analisi dettagliata è resa difficile, ma alcune tendenze sono visibili ad occhio nudo. La situazione demografica dei tempi più recenti è caratterizzata da un costante decremento della popolazione, in primo luogo proprio di quella maschile (la mortalità degli uomini in età lavorativa è di 4,2 volte più alta della mortalità femminile). Inoltre gli uomini che si recano in altre regioni in cerca di lavoro, spesso abbandonano le loro famiglie. Ciò logicamente porta all’aumento del numero di donne sole e all’innalzamento dell’età in cui le ragazze contraggono matrimonio. Tuttavia a differenza di altre regioni della Russia, in Daghestan, perfino nelle città, il matrimonio civile è un fenomeno raro. Però la poligamia, ufficialmente vietata, in primo luogo la bigamia, diventa la forma di matrimonio sempre più frequente. La donna che contrae matrimonio secondo la shari’a (come seconda o terza moglie) non viene biasimata dalla società e ad essa vengono riconosciuti tutti i diritti di una moglie ufficiale.

Si pone naturalmente la domanda se una simile prassi sia una violazione dei suoi diritti o dei diritti della prima moglie (ufficialmente registrata negli atti dello stato civile). È difficile dare una risposta univoca a questa domanda. Giuridicamente solo la prima moglie e i suoi figli sono titolari di determinati diritti familiari (per sempio in materia di successione). D’altra parte, la seconda moglie ottiene la possibilità di condurre una vita familiare completa, di generare figli senza subire condanne morali o discriminazioni da parte della società. Il secondo matrimonio non viene registrato ufficialmente e si perfeziona solo in base alla procedura religiosa.

In un prossimo articolo ci soffermeremo sul problema della donna in connessione con la famiglia e del ruolo della donna, ad esempio, nel mondo delle professioni.

Chi è Giovanni Bensi

Nato a Piacenza nel 1938, giornalista, ha studiato lingua e letteratura russa all'Università "Ca' Foscari" di Venezia e all'Università "Lomonosov" di Mosca. Dal 1964 è redattore del quotidiano "L'Italia" e collaboratore di diverse pubblicazioni. Dal 1972 è redattore e poi commentatore capo della redazione in lingua russa della radio americana "Radio Free Europe/Radio Liberty" prima a Monaco di Baviera e poi a Praga. Dal 1991 è corrispondente per la Russia e la CSI del quotidiano "Avvenire" di Milano. Collabora con il quotidiano russo "Nezavisimaja gazeta”. Autore di: "Le religioni dell’Azerbaigian”, "Allah contro Gorbaciov”, "L’Afghanistan in lotta”, "La Cecenia e la polveriera del Caucaso”. E' un esperto di questioni religiose, soprattutto dell'Islam nei territori dell'ex URSS.

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10 commenti

  1. Come scrivi, è difficile stabilire se il matrimonio poligamico sia una violazione dei diritti della donna. Allo stesso modo, il fatto in sè di portare il velo non è una condizione negativa per la donna, nè tantomeno segno di scarsa “modernità”. Probabilmente in Daghestan, come in molti altri paesi, ciò che inficia la condizione della donna sono la situazione socio-economica e la volontà politica, più che l’islam. Alcune pratiche detestabili sono presenti in molti Stati non musulmani: in Georgia, ad esempio, non è da molti anni che è stata dichiarato illegale il matrimonio di ragazze minorenni.

  2. Che i paesi dell’Islam siano al centro di “pratiche detestabili” nei confronti delle donne penso che sia cosa che non si possa mettere in discussione. Basti pensare al trattamento inflitto in Iran, paese di antichissima civiltà all’altra ‘metà del cielo’ . Che una donna europea, continente in cui le donne hanno conquistato i loro diritti con una lotta accanita, avanzi perplessità sulla poligamia é cosa che mi lascia profondamemte perplesso. Quanto al velo sembra evidente che, se per libera scelta ,”non é una condizione negativa”, se imposto dovrebbe scandalizzare tutti noi.

  3. Emilio mi potrebbe spiegare per cortesia quali sarebbero i trattamenti terribili riservati alle donne iraniane? Il fatto che rappresentino il 60% degli studenti universitari del loro paese? Il fatto che possano manifestare il proprio dissenso al governo in piazza (vedi proteste per le presidenziali del 2009)? Il fatto che l 18% del parlamento iraniano sia composto da donne?

    Le donne iraniane sono molto più libere di quello che lei crede e se vuole le posso consigliare dei film da vedere per farsi una vaga idea se l argomento le interessa. Certo migliorare si puó sempre ma non mi paragoni per favore le donne iraniane con quelle saudite, che quelle sí che vivono in una situazione veramente tragica.

  4. A mio avviso non è tanto questione di “Islam”, ma sono piuttosto le grandi religioni monoteiste a creare condizioni di vita sfavorevoli per le donne. Per citare solo l’esempio del cattolicesimo – quella che conosco meglio – la donna è tentatrice, peccatrice, madre ma sempre vergine, strega; il cattolicesimo moderno è contrario all’aborto e al divorzio.
    Anche in Europa, infatti, la parità di genere è più tutelata dalle società più laiche e più secolarizzate che nei paesi più religiosi.

    Alcune letture antropologiche vedono nell’ “invidia” dell’uomo per la capacità riproduttiva – esclusiva – della donna all’origine dell’idea del “Dio padre” (che è contro ogni logica, sarebbe molto più sensato una “Dea madre”!).
    E forse (ma di questo non sono sicura) le società con una religione politeista, in cui anche le dee hanno/avevano dei ruoli di rilievo (penso per esempio alla dea Kali, dea della distruzione, che per l’induismo significa anche una nuova vita) sono anche più egalitarie per quanto riguarda la condizione femminile rispetto a quella maschile?

    Infine, secondo me la “condizione socio” e la “volontà politica” sono fortemente influenzate dalla cultura di un paese, e quindi dalla religione quando questa è un aspetto importante della cultura.

    baci

    • Per Daniela.
      Un paragone tra la religione cristiana e quella islamica a mio giudizio non é assolutamente proponibile. Penso che anche in Italia paese formalmente cattolico le donne hanno diritti, migliorati nel tempo, che non si possono rapportare ai più avanzati paesi islamici.
      Per Pietro.
      Che le donne iraniane stiano meglio di quelle arabe saudite é sicuramente vero, così come le donne saudite vivono meglio di quelle afgane,ma tutte vivono peggio di quelle turche, unico paese islamico democratico nel senso pieno della parola. Quanto alle donne iraniane mi permetto brevi considerazioni: Con la rivoluzione del 1979, fortemente voluta dal retrivo clero musulmano, il Family Protection Act promulgato nel 1967 dallo Scià che tutelava i diritti delle donne é stato abolito, nello stesso anno il 3 marzo fu vietato alle donne di coprire la carica di giudice, tre giorni dopo dovettero indossare l’hejar sul posto di lavoro, il 29 marzo furono segregate sulle spiagge e nelle competizioni sportive. Nell’aprile 1963 si stabilisce il velo e la “tenuta islamica completa” fissandone “lunghezza, colore e foggia”, con norme affisse in luoghi pubblici e trascinando davanti ai tribunali donne “mal velate” ad opera della “polizia dei costumi”. Nel febbraio 2006 un decreto vietò la musica occidentale nei programmi radiotelevisivi con invito “a dare risalto alle melodie della rivoluzione”. Facendo seguito alla fatwa pronunciata da Khomeini nei confronti del blasfemo Rushdie: “Tutti i buoni musulmani del mondo devono ucciderlo” , il 17 settembre 2012 un ayatollah, del quale non vale la pena di riportare il nome, offrì 500.000 dollari per il blasfemo che nelle sue memorie si dichiara “un uomo morto”. Non mi permetto di mettere in dubbio i dati sullo stato felice in cui vivono le giovani iraniane, ma di certo in un simile contesto Daniela e le donne italiane scenderebbero in piazza. Quanto al cinema iraniano non ho nessuna competenza, ma mi sembra ricordare la consegna di premi internazionali a a cineasti dissidenti iraniani.

      • Caro Emilio, vorrei rispondere ad alcune tue affermazione.

        Tu dici che “il 29 marzo furono segregate sulle spiagge e nelle competizioni sportive.” Non so bene allora, ma ora le donne possono partecipare a tutte le competizioni sportive che vogliono senza alcun problema (a parte l obbligo di portare la Hijab). Un esempio è la mitica Sara Khoshjamal Fekri che ha partecipato alle Olimpiadi di Pechino del 2008. Oltre a lei in quelle Olimpiadi hanno partecipato altre 2 donne su un totale di 55 atleti. Alle olimpiadi del 2012 hanno partecipato 8 donne su un totale di 53 atleti. Sono numeri bassi ma che lentamente aumentano e che le donne durante il regime dello Shah potevano solamente sognare.

        Poi dici che “Nell’aprile 1963 si stabilisce il velo e la “tenuta islamica completa” fissandone “lunghezza, colore e foggia”, con norme affisse in luoghi pubblici e trascinando davanti ai tribunali donne “mal velate” ad opera della “polizia dei costumi”. Ma caro Emilio nel 1963 regnava lo Shah e nel 1979 la costituzione iraniana è stata completamente cambiata e con esso tutte le leggi o quasi promulgate antecedentemente la rivoluzione. Tu hai mai visto una donna iraniana in Iran? Io l ho vista solo nei film visto che in Iran non ci sono mai stato ma il velo iraniano è il velo più libero che esiste in tutti i paesi musulmani!
        Il velo iraniano non ti costringe ha coprire i capelli, anzi i capelli sono liberissimi. L unica cosa che coprono vermente è la nuca. Poi se si vuole entrare in una moschea allora sei costreta come donna ad indossare il chador(abbigliamento tipico iraniano), ma questo non vale nei luoghi pubblici non religiosi come per esempio l universitá. Poi l obbligo del velo comunque persiste.

        Successivamente dici che “Nel febbraio 2006 un decreto vietò la musica occidentale nei programmi radiotelevisivi con invito “a dare risalto alle melodie della rivoluzione”. Verissimo ma è un idiozia come legge! In Iran i giovani ascoltano Hip Hop e musica Rock e ci sono vari artisti di questi generi in Iran. Ho visto tra l altro un documentario su questo argomento in cui un ragazzo dice che nonostante questa legge continuava ad ascoltare musica Rock e suonava pure in un gruppo musicale (magari c è in rete e se lo trovo te lo mostro).

        Sulla fatwa di Khomeini non mi esprimo, negli ultimi anni secondo me ha cominciato a esagerare enormemente. Dopo la guerra contro l Irak nel 1988 ha giustiziato migliaia di persone (innocenti o no non lo sapremo mai) praticamente senza processo accusate di essere “sabotatori dello stato”

        Riguardo al cinema iraniano un film di Asghar Farhadi chiamato “Una separazione” ha vinto quest anno il premio Oscar come miglior film straniero. Asghar Farhadi non è un oppositore della Repubblica Islamica. Oltre a lui Majid Majidi è un altro favoloso regista che non è bandito dalla Repubblica Islamica e che ha avuto un enorme successo all estero.

        Mi sembra alquanto stupido fare il paragone tra la donna medioorientale e quella europea. Le donne europee hanno lottato duramente per avere più diritti, i loro diritti non sono mica piovuti dal cielo. In medio oriente questo non c è ancora stato. Laciamo che si “liberino” da sole le donne in quella regione che ce la fanno benissimo e forse anche meglio di noi. In Iran i progressi sono visibilissimi a differenza dell Arabia Saudita ed è per questo che mi sembrava offensivo il suo commento iniziale a riguardo.

      • E la Turchia sarebbe l’unico paese islamico democratico nel senso pieno della parola?

  5. Anche io penso che la donna subisca (o abbia subito) maggiori discriminazioni, financo alla diversità di fronte alla legge rispetto all’uomo, dove le regole sociali d’ispirazione religiosa siano più forti. E non credo che un paragone tra islam e cristianesimo (nel suo compesso) sia azzardato. Lo è forse paragonando l’oggi “cristiano” e quello “islamico” ma non lo è se togliamo al cristianesimo quei settecento anni di vita in più che ha rispetto alla civiltà islamica. Credo sia impossibile non attribuire alle religioni monoteiste una grande accelerazione nella discriminazione sessuale. Senza avventurarci in questioni più grandi di questo limitato spazio, sappiamo che la donna nell’Atene di Pericle godeva di ampie libertà civili, come pure nelle popolazioni slave e balte prima della cristianizzazione. Diverso era, se non erro, nella società romana, profondamente maschile e fondata sul mitologico “ratto” delle donne. Ma qui ci perdiamo nella notte dei tempi. Direi che i testi sacri delle religioni unite alla tradizione clericale abbiano di gran lunga prodotto una discriminazione fondata sul “divino” che in antichità non c’era e che solo “la morte di Dio” sancita dalla filosofia moderna, poi calatasi nelle società in via di secolarizzazione, ha permesso di combattere attraverso quelle lotte che il sig. Bonaiti ricorda. E spezzo una lancia in favore proprio di quanto scrive Bonaiti: anche io sono convinto che per quanto tutelate le donne, in grande parte dell’islam, non siano libere. La tutela, nelle società patriarcali (anche più evolute) resta subalternità.
    Matteo

  6. Chiedo scusa per la cattiva indicazione delle date relative all’abolizione dei diritti sanciti dal Family Protection Act , errore imperdonabile, ma sembra ovvio che lo Scià non avrebbe abolito una legge promulgata dal suo governo a favore delle donne. Quanto alle “esagerazioni” di Khomeini il macello degli oppositori é iniziato subito dopo la presa del potere. Trovare straordinario che una o più donne partecipino alle olimpiade mi sembra un classico esempio di un modo di pensare fuori dai tempi. Per il velo il problema non é la sua foggia,il suo colore, il modo di portarlo in modo più o meno ‘sbarazzino’ ma l’imposizione, l’obbligo stabilito da uomini ottusi. Scrivere che le donne iraniane devono “liberarsi da sole” non mi convince, le donne islamiche tutte devono sentire che per le loro lotte, molto spesso sanguinose, hanno vicino uomini e donne di un altro mondo.

    • Le consiglio di vedersi il film “About Elly” di Asghar Farhadi del 2009 se non sbaglio. È un film drammatico molto carino in cui si puo vedere bene il ruolo che le donne hanno nella società iraniana. Lo puó trovare sul sito http://www.cineblo01.org in italiano. Appena l ha visto mi dica cosa ne pensa.

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