Nelle ultime settimane, in Croazia è scoppiata un’aspra polemica in merito alla cerimonia di commemorazione delle vittime del campo di concentramento di Jasenovac. Il 22 aprile, ogni anno, le autorità croate, le associazioni delle vittime e le organizzazioni antifasciste si recano in uno dei luoghi simbolo della violenza del regime ustaša, che governò, sotto la tutela nazifascista, lo Stato Indipendente di Croazia tra il 1941 e il 1945. A Jasenovac, località vicina all’attuale confine con la Bosnia Erzegovina, gli ustaša croati costruirono un campo di concentramento, dove persero la vita decine di migliaia (o forse addirittura centinaia di migliaia) di serbi, ebrei, rom ed oppositori politici. Quella che dovrebbe essere una memoria condivisa su una tragedia del passato è invece divenuta terreno di scontro.
Pochi giorni fa, il Comitato di Coordinamento delle Comunità ebraiche in Croazia ha reso noto che non prenderà parte alla cerimonia ufficiale, organizzando un proprio ricordo che si è tenuto il 15 aprile. Poche ore dopo, gli ha fatto eco il Consiglio Nazionale Serbo, l’organo di rappresentanza della minoranza serba in Croazia, che ha dichiarato che presenzierà ad una cerimonia il 24 dello stesso mese. Hanno aderito alla cerimonia alternativa anche l’Unione degli antifascisti della Croazia e il Partito Socialdemocratico, guidato dall’ex premier Zoran Milanović. Le motivazioni di una scelta così radicale sono diverse, ma tutte connesse ad un clima nel Paese che, da quando si è insediato il governo di centrodestra, le minoranze nazionali, i partiti di opposizione e molte organizzazioni non governative giudicano segnato da crescente intolleranza.
L’elemento di rottura iniziale è stata certamente la nomina a ministro della Cultura di Zlatko Hasanbegović, storico con un passato di vicinanza all’estrema destra. A questo, nelle ultime settimane, sono seguiti diversi episodi inquietanti, quali l’aggressione al giornalista Ante Tomić, noto per la sua satira, le minacce al giornalista Ivica Đikić, dovute alla partecipazione alla presentazione di un libro sul campo di Jasenovac, i cori fascisti allo stadio durante la partita contro Israele, la commemorazione a Spalato di un’unità di difesa attiva nel conflitto degli anni’ 90 con tanto di bandiere e slogan ustaša, la proiezione di un film che, secondo l’opinione dell’Ambasciatore d’Israele a Zagabria, mira a sminuire la ferocia del campo di Jasenovac. Su tutti questi fatti il governo si è fatto notare per la reticenza nell’esprimere la propria condanna. Sotto accusa vi è anche l’allestimento del museo presente a Jasenovac, pensato, secondo le organizzazioni delle vittime, in modo tale da presentare la struttura più come un campo di lavoro che come un campo di sterminio, quale di fatto era. Infine, da mesi si attende una risposta del ministro in merito al Comitato consultivo del memoriale, che riunisce i gruppi delle vittime e gli ex prigionieri, bloccato da due anni e mezzo.
Di fronte a questo fuoco di fila, che consegna un’immagine esterna molto negativa del Paese, le istituzioni croate si sono mosse per ricucire il dialogo. Il boicottaggio della cerimonia ufficiale ha sicuramente colpito nel segno, poiché da giorni sia il primo ministro Tihomir Orešković che il leader del principale partito di governo (HDZ) Tomislav Karamarko vanno ripetendo il loro totale rigetto dell’ideologia ustaša. La Presidente della Repubblica Kolinda Grabar-Kitarović, oltre a ricordare che il Paese si fonda sull’antifascismo, ha convocato i rappresentanti delle comunità ebraica, serba, rom e degli antifascisti per un incontro comune. Nonostante il colloquio, tutti, con l’eccezione dell’Unione dei rom, hanno confermato di non voler partecipare alla giornata del 22. La spaccatura non sembra sanata: il governo deve fare molto di più per dare un segnale di rifiuto del passato ustaša e di impegno per avere nel Paese un clima di tolleranza e dialogo.