I partigiani italiani in Jugoslavia

di Federico Tenca Montini

L’8 settembre 1943 i soldati italiani schierati in territorio jugoslavo, il principale scenario bellico della guerra fascista, erano circa 350.000, sparsi in 17 divisioni. Nella confusione determinata dall’armistizio il loro destino di sfilacciò in una miriade di percorsi diversi, un ampio spettro che andò dal semplice rientro in Italia alla traduzione in Germania in quanto prigionieri di guerra. In molti si unirono inoltre al movimento partigiano jugoslavo, una scelta che pur rientrando nella lettera delle clausole armistiziali – dal momento che i partigiani di Tito erano la forza militare riconosciuta come legittima dalla potenze antifasciste – causò non poca perplessità negli alti ufficiali, che proprio verso i partigiani avevano fino a quel momento rivolto, di preferenza, le armi.

Avvenne in Montenegro che il generale Giovanni Battista Oxilia, comandante della Divisione Venezia, pattuì a Berane un accordo di collaborazione organica con l’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia, imitato pochi giorni più tardi dall’omologo Giovanni Valda, comandante della Divisione Taurinese. Si trattava di unità che un mese di lotta contro i nazisti aveva stremato. La collaborazione organica con i partigiani, esperti conoscitori del territorio e delle tecniche della guerriglia, offrì loro nuovo impeto e migliori chance di salvezza. Queste due unità confluirono nella Divisione partigiana Garibaldi, nota in Italia grazie anche a recenti lavori come il documentario Partizani di Eric Gobetti. La Divisione perse oltre seimila uomini prima di imbarcarsi a Dubrovnik nel marzo del 1945 alla volta dell’Italia. Qui fu attivo, in veste di commissario politico, il cugino di Nilde Jotti e futuro parlamentare del Partito Comunista Italiano (PCI) Valdo Magnani, che nei primi anni Cinquanta, espulso dal partito con l’accusa di simpatie filojugoslave, avrebbe animato la formazione politica “titoista” Unione Socialista Indipendente.

Un percorso diverso fu quello della Divisione Italia, nata da piccole unità stanziate tra Bosnia e Dalmazia, perlopiù afferenti alla Divisione Bergamo. Questi militari si unirono direttamente alla formazione di punta dell’esercito partigiano jugoslavo, la Prima Divisione proletaria (proleterska, ma che la gente in Bosnia chiamava proleteća, cioè volante, il che la dice lunga sulla dimestichezza della gente col gergo rivoluzionario). Questi uomini seguirono i partigiani combattendo fianco a fianco con loro le principali e più epiche battaglie della Guerra di Liberazione, tra cui quella per la liberazione di Belgrado il 20 ottobre 1944, nella quale occasione issarono la bandiera dell’Italia democratica sul pennone dell’edificio che ospitava l’Ambasciata italiana. A Belgrado inoltre gli effettivi dell’unità crebbero con l’afflusso di numerosi prigionieri di guerra italiani, fino al numero complessivo di circa cinquemila, agli ordini di Giuseppe Maras, un semplice sottotenente distintosi per il valore sul campo. La Divisione Italia prese poi parte agli aspri combattimenti nello Srem, prima di partecipare alla liberazione di Zagabria nel maggio del 1945.

Le divisioni Garibaldi e Italia non esauriscono un fenomeno, quello della partecipazione dei militari italiani alla Resistenza jugoslava, che riguardò ancora migliaia di disertori, soldati che si unirono ai partigiani singolarmente o in piccoli gruppi e ex prigionieri dei tedeschi. Costoro formarono una miriade di nuclei italiani in tutta la zona di precedente occupazione italiana, quando non entrarono direttamente a far parte di unità prettamente jugoslave. Complessivamente, una stima di parte jugoslava calcola gli italiani che si unirono all’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia in oltre quarantamila, ovvero più di un decimo degli uomini che nel 1941 occuparono il paese.

Diversamente che nell’area di precedente occupazione italiana, nella zona di contatto al confine tra i due paesi la collaborazione tra partigiani italiani e jugoslavi era figlia di pressanti considerazioni di natura politica e militare, dal momento che l’ormai triennale esperienza nella guerriglia degli jugoslavi costituiva un autentico tesoro per le formazioni italiane che, all’indomani dell’8 settembre, stavano muovendo i primi passi. La Resistenza istriana, a dire il vero, aveva un carattere misto già prima dell’Armistizio, per poi assumere una dimensione di massa con l’insurrezione del settembre 1943 che determinò una breve parentesi di potere partigiano.

Fu però in Friuli che la collaborazione tra il Fronte di liberazione sloveno (Osvobodilna fronta, formata da una coalizione di partiti antifascisti a guida comunista) e partiti antifascisti italiani diede i frutti più maturi nell’estate del 1944, con la proposta di creazione di un coordinamento unitario. L’intesa, che naufragò presto per le riserve delle forze politiche centriste stanti le ricadute politiche che l’accordo avrebbe potuto determinare, rimase in vigore solo per le unità – maggioritarie – controllate dal PCI. Fu così che la Divisione Garibaldi–Natisone, stremata dalla guerra antipartigiana sferrata dai tedeschi e dai loro aiutanti nell’autunno del 1944, a dicembre abbandonò il Friuli orientale per avventurarsi in territorio sloveno, dove nel maggio dell’anno successivo partecipò alla liberazione di Lubiana. Il IX Korpus, la più occidentale delle due grandi unità in cui era strutturato l’esercito partigiano sloveno, giocò invece un ruolo importante nella liberazione di Trieste, Gorizia e Monfalcone, e partecipò anche a quella di Udine.

Bibliografia:

  • Eric Gobetti, Partizani. La Resistenza italiana in Montenegro (documentario), 2015
  • Giacomo Scotti e Riccado Giacuzzo, Ventimila caduti, con R. Giacuzzo, Milano, Mursia, 1967
  • Giacomo Scotti, I “disertori: le scelte dei militari italiani sul fronte jugoslavo prima dell’8 settembre”, Milano, Mursia, 1980
  • Giacomo Scotti, Juris, juris! All’attacco! La guerriglia partigiana ai confini orientali d’Italia 1943-1945, Milano, Mursia, 1984

Il presente contributo trae l’abbrivio dalla breve lezione sul tema dei rapporti tra la Resistenza italiana e quella jugoslava all’interno del ciclo di iniziative promosse dall’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione per celebrare il 25 aprile 2020 nonostante le misure di distanziamento sociale imposte dall’epidemia di SARS-CoV2.

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