L’antifascismo è anche di destra

L’antifascismo non è un’ideologia politica, non risiede in questa o quella parte e non ha depositari privilegiati. Fin dalle origini l’antifascismo e lotta di Resistenza hanno rappresentato una pluralità di posizioni che andava dai liberali ai socialisti, dagli azionisti ai cattolici, dai conservatori ai comunisti. Persino i monarchici, fin quando sono esistiti, vi facevano parte.

La Resistenza di destra

Il contributo della destra alla lotta di liberazione è stato rilevante. Alcune delle pagine più epiche della Resistenza italiana, fissate sulla carta dalla nostra letteratura – che conserva fresca e intatta la memoria di quell’esperienza – si devono a gruppi armati orientati a destra. La celebre presa delle città di Alba – raccontata da Beppe Fenoglio in un altrettanto celebre racconto – fu guidata da Enrico Martini e dalle sue divisioni ‘azzurre‘, ovvero badogliani, monarchici, cattolici, ex-ufficiali del Regio esercito e giovani, come Beppe Fenoglio appunto.

La meno celebre, ma altrettanto grandiosa, liberazione di Domodossola e successiva costituzione della Repubblica partigiana dell’Ossola, avvenne ad opera dei ‘verdi‘, partigiani cattolici, guidati da Alfredo Di Dio, militare palermitano. In generale, l’apporto dei liberali, dei cattolici conservatori, dei monarchici, dei militari è stato, in alcune aree dell’Italia settentrionale, prevalente rispetto a quello comunista.

Se è vero che il liberalismo giolittiamo ebbe gravi responsabilità nell’ascesa del fascismo, è anche vero che intellettuali come Giovanni Amendola, Calamadrei, Albertini, Einaudi, si raccolsero attorno al liberale Benedetto Croce firmando, già nel 1925, il noto Manifesto degli intellettuali antifascisti. Una figura come Piero Gobetti, teorico della Rivoluzione liberale, testimonia anche la presenza di una cultura liberale, marcatamente antifascista, capace di avvicinarsi alle istanze del socialismo e del mondo operaio.

Infine, se guardiamo all’Europa – essendo la Resistenza un fenomeno europeo – ci accorgiamo quanto importante sia stato l’antifascismo di destra in Francia e in Germania, e quanto sia coinciso con ideali nazionalisti nell’Europa orientale, arrivando a scontrarsi con i comunisti sovietici, presto passati da liberatori a occupanti.

La Resistenza da destra

E allora perché si continua a trattare la Resistenza, e i valori dell’antifascismo ad essa collegati, come una prerogativa della sinistra? Questo si deve, da un lato, al fatto che il partito comunista ha portato avanti, nel corso del secondo Novecento, una malsana identificazione con l’antifascismo (successivamente ereditata dai post-comunisti) mentre dall’altro i partiti che contribuirono da destra alla Liberazione si sono dissolti, polverizzati dai (e nei) grandi partiti di massa, disperdendo quel retaggio al punto che da almeno trent’anni la Resistenza è vista dai principali partiti di destra come qualcosa di estraneo.

Nel nostro paese l’antifascismo non rappresenta dunque un elemento unificante tra destra e sinistra ma costituisce invece un tratto divisivo tra le due. Ciò non si deve tanto alla presunta freddezza dei cittadini ed elettori di destra verso l’antifascismo, ma a come s’intende l’antifascismo da destra: rifiuto del totalitarismo, difesa delle libertà civili e dei diritti individuali, adesione ai valori democratici in opposizione non tanto all’antifascismo operaio, quanto a quello di matrice comunista le cui credenziali democratiche, già ai tempi della lotta di Liberazione e soprattutto dopo, sono apparse da destra piuttosto deboli a causa del vincolo sovietico.

Il “non-antifascismo”

Con ciò non si intende sostenere che il 25 aprile possa essere la “festa di tutti”, non lo può essere ovviamente per coloro che, da destra come da sinistra, cercano una riabilitazione del regime mussoliniano anche attraverso distorsioni e revisioni della lotta partigiana. Né si può stemperare la specificità di questa ricorrenza in un’ipotetica e paritetica condanna a tutti i totalitarismi. La pacificazione nazionale non può avvenire sul terreno della falsificazione storica, del compromesso al ribasso, di un volemose bene che serva solo a legittimare quella parte che non intende, in nessun modo, riconoscersi nei valori – come si è detto sopra, assai più vasti del solo spazio delle sinistre – dell’antifascismo.

D’altro canto, non si può negare che esista una destra che, quando non è apertamente ed esplicitamente fascista, è ‘non antifascista’. Una destra che esiste, ed è sempre esistita, e che in certi momenti appare maggioritaria anche per la mancanza di una alternativa moderata e di una classe dirigente che, da destra, la sappia costruire. La rivoluzione liberale, più volte evocata negli ultimi trent’anni di vita politica italiana, è sempre mancata all’appello.

Il muro ideologico

A quarant’anni dalla caduta del Muro si fatica ancora a superare il muro ideologico che contrappone destra e sinistra in merito ai valori dell’antifascismo e che rende il 25 aprile una festa in cui difficilmente cittadini liberal-conservatori possano riconoscersi. Forse a causa dell’anzianità anagrafica di una popolazione ancora tutta rivolta al Novecento, forse per le retoriche e le bandiere che, stancamente, continuano a riproporre i vecchi schemi, le vecchie divisioni. Quelle per cui non sei abbastanza antifascista se sei di destra. Quelle per cui, viceversa, sono tutti comunisti. Negando così, da un lato, la cittadinanza antifascista a chi è di destra e, dall’altro, appiattendo la sinistra a una sola delle sue molte anime. Certo è che il tripudio monocromatico delle bandiere rosse (oggi che di rosso non resta nulla) serve solo a reiterare un immaginario stantio, a far sentire partigiani per un giorno qualche giovane in cerca della propria identità politica.

Un’identità che non si può che fondare nel passato, data la pochezza del presente. Ma il passato ha tante sfumature, molte tinte, e sgargianti colori diversi dal rosso che pure rosso versarono il sangue come gli altri. Il passato è la radice del presente, si dice. Ma se tagliamo qualche radice per impossessarci della pianta, cresceranno rami monchi e senza frutto.

 

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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