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UCRAINA: Il coronavirus non ferma la guerra nel Donbass

In Ucraina si registrano ufficialmente più di duemila casi positivi al COVID-19. Nel frattempo, il conflitto armato nel Donbass, la regione orientale del paese, non accenna a fermarsi. Al momento, sono 18 in totale i casi di coronavirus confermati nelle regioni controllate dalle forze di occupazione separatiste. Si teme che le cifre reali possano essere molto più alte e che la popolazione locale non riceva protezione adeguata. Così, sullo sfondo di un conflitto armato che continua da sei anni e che è costato la vita ad oltre tredicimila persone, si combatte contro il virus.

La crisi umanitaria nelle regioni occupate

La comunità internazionale e le ONG ucraine sono preoccupate per le condizioni della popolazione all’interno delle autoproclamate Repubbliche Popolari di Donetsk e Luhansk. In seguito alla chiusura dei punti di accesso tra le zone controllate dal governo ucraino e quelle controllate dai separatisti, è necessario che la popolazione locale possa ricevere gli aiuti umanitari messi a disposizione dalle organizzazioni internazionali e dal governo ucraino.

Oltre ai rischi che i civili corrono quotidianamente per via del conflitto tra le milizie ucraine e quelle separatiste, l’emergenza epidemiologica mette alla prova le limitate risorse per la diagnosi e il trattamento del COVID-19. Secondo quanto riportato nei report delle ultime settimane, la missione civile condotta dall’OSCE nei territori occupati è stata ostacolata più volte, citando le misure di quarantena come pretesto per impedire l’attuazione del mandato di monitoraggio e assistenza. Per quanto riguarda la Croce Rossa internazionale, dichiarazioni ufficiali riportano l’avvenuto invio di medicine, kit per l’igiene e strumentazione per la terapia intensiva nelle zone occupate.

Evitare contagi all’interno delle carceri nei territori non controllati dal governo ucraino è un altro problema critico. Diverse testimonianze di detenuti raccolte dall’agenzia delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) hanno confermato la diffusa pratica di detenzione arbitraria con accuse sommarie, il tutto accompagnato da interrogatori che degenerano in tortura. Nella città di Donetsk esiste un carcere detto “Izoliatsiia” (isolamento) in cui i detenuti sono costretti a sopravvivere in condizioni degradanti. In un appello rivolto alle organizzazioni internazionali, le 155 ONG signatarie ricordano che le carceri devono essere in grado di far fronte alla pandemia adottando gli strumenti di prevenzione necessari e, infine, che la pandemia in corso non deve essere strumentalizzata per bloccare le attività volte alla difesa dei diritti umani fondamentali.

I negoziati ai tempi del coronavirus

Questo momento storico sembra aver dato nuovo stimolo ai negoziati per una risoluzione pacifica del conflitto nel Donbass. Lo scorso 11 marzo si è riunito a Minsk il gruppo di contatto trilaterale, in cui hanno partecipato per la prima volta il recentemente sostituito capo di Gabinetto Andriy Yermark per l’Ucraina e il nuovo responsabile russo per la questione ucraina Dmitrij Kozak. In questa occasione è stata proposta la creazione di un consiglio consultivo, ovvero una piattaforma in cui sarebbero coinvolti membri della società civile sia da parte ucraina che delle autoproclamate repubbliche separatiste. Yermark ha specificato che tale provvedimento non porterebbe al riconoscimento delle autorità separatiste. Ad ogni modo, questo nuovo organo non è ancora stato confermato in quanto le recenti negoziazioni in videoconferenza non hanno consentito la sottoscrizione dell’accordo.

In piena emergenza COVID-19, la notizia è stata accolta da proteste nella capitale ucraina: la paramedica volontaria Yaryna Čornohuz è scesa in piazza per prima con la sua protesta ribattezzata “La primavera sul granito”. Dura l’opposizione nei confronti del consiglio consultivo anche tra i membri della maggioranza parlamentare: Yelyzaveta Yasko, deputato della Verchovna Rada e capo della rappresentanza ucraina all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, si è opposta alla formazione del consiglio consultivo, sottolineando il rischio che la Russia possa venire considerata semplice osservatore e non più aggressore nei negoziati.  Per anni, “nessun accordo con le autorità di occupazione russe!” è stato il mantra ripetuto prima dall’ex presidente ucraino Petro Porošenko, ora venuto meno con l’insediamento di Volodymyr Zelensky.

Test finale per Zelensky?

L’Ucraina si trova ad affrontare un momento critico sia sul fronte orientale, in cui le violazioni del cessate il fuoco continuano a mietere vittime, sia su tutto il territorio nazionale, dove l’emergenza COVID-19 cresce. In questo panorama così tragico verranno con molta probabilità determinate le sorti dell’attuale governo, e il presidente Zelensky sarà il primo ad accusarne i colpi. Nonostante le misure introdotte per contrastare la diffusione dei contagi, Zelensky dovrà rispondere delle conseguenze economiche derivanti dalla crisi. A un anno di distanza dalle elezioni presidenziali che lo hanno portato alla guida del paese, Zelensky sembra essersi accorto del calo di popolarità e del progressivo sgretolarsi dell’unità interna al suo partito. O forse piuttosto, il suo ruolo potrebbe essere compromesso a causa di una promessa non mantenuta: riuscirà Zelensky a risolvere il conflitto nel Donbass?

foto: AFP PHOTO /UKRAINIAN DEFENCE MINISTRY PRESS-SERVICE

Chi è Martina Urbinati

Mi occupo di processi di democratizzazione e rafforzamento dello stato di diritto in Russia e Ucraina. Inoltre, tra i miei interessi di ricerca figurano sfide geopolitiche e interpretazioni conflittuali della memoria storica nell'area post-sovietica (paesi baltici, Bielorussia, Russia e Ucraina). Laureata presso l'università di Bologna in scienze politiche e sociali.

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