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CULTURA: I “Coronatesti”, poesia russa nella pandemia

L’epidemia di Covid-19 che ha messo in quarantena la nostra quotidianità ha dato una spinta significativa al mondo della cultura: soffocato in maniera apparentemente letale dalla calamità virale e dalle misure per contenerla, in realtà questo settore si è mosso anche più agilmente di altri su canali virtuali, telematici. In rete diversi musei hanno aperto le loro porte ai visitatori, i principali teatri mondiali hanno proposto dirette streaming del loro palinsesto, le mediateche hanno offerto film agli utenti online, la corsa al podcast e all’ebook in aggiornamento costante (come quello del filosofo Slavoj Žižek per Ponte alle Grazie) si è fatta letteralmente virale. I social network, realtà in fondo “concretissima” del quotidiano contemporaneo, non hanno fatto che riflettere fin dall’inizio il (de)corso della diffusione del Coronavirus, in cui sono compresi anche i risvolti culturali, letterari, artistici della straordinarietà del momento.

In un contesto culturale letteraturocentrico come quello russo, la situazione ha ora dato origine ai “koronateksty” (Coronatesti), brevi frammenti verbali, nati in maniera spontanea e disomogenea, firmati dai membri della realtà letteraria contemporanea: si tratta di versi, prosa, aforismi, battute scherzose, giochi di parole, brevi riflessioni. I “Coronatesti” sono definiti nel corso delle ultime settimane da Igor’ Kotjuch, giovane poeta estone di lingua russa (classe 1978), tradotto recentemente anche in italiano da Paolo Galvagni (Scrivi!, Fermenti editore, 2018). Kotjuch da inizio marzo li colleziona in forma antologica sulla sua pagina Facebook Est Lit Locus.

Lo abbiamo intervistato, rigorosamente a distanza di sicurezza (in modalità telematica).

Come è nata l’idea di raccogliere giorno per giorno un’antologia di questi brevi testi apparsi sui social?

I post legati al Coronavirus si sono diffusi in maniera graduale su Facebook. Dapprima si trattava di notizie da Wuhan (dicembre-gennaio), quindi sono comparsi i primi giochi di parole e meme (febbraio), infine veri e propri versi. A inizio marzo era evidente che la situazione stava cambiando in maniera impetuosa: uno dopo l’altro i vari paesi stavano introducendo regimi di quarantena. Si stava generando davanti ai nostri occhi un nuovo grande Tema, un vero e proprio “soggetto”: gli artisti non potevano che reagire. La sera dell’otto marzo pensai che la Giornata internazionale della Donna quest’anno era stata particolare: un momento a suo modo luminoso in una serie di notizie allarmanti legate al Coronavirus. Fu questo a suggerirmi l’idea di raccogliere i testi legati al virus, i Coronatesti.

Che obiettivi persegue questa “antologia spontanea di Coronatesti” (cтихийная антология коронатекстов)?

Ci sono due idee alla base del progetto: evitare che questi testi vadano persi e permettere a poeti e scrittori di leggere cosa scrivono e su cosa si interrogano giorno per giorno i loro colleghi. L’esito è un corpus di testi che intrecciano più generi: è un diario collettivo dell’epidemia, dove trovano spazio note sia tragiche che solari, rabbia e allegria, sperimentazioni poetiche serie e parole gettate così di passaggio, found poetry; è letteratura ed è antropologia, è giornalismo ed è folklore. Pubblico tutti i testi che raccolgo rispettando l’ortografia e la grafica dell’originale, conservando date e hashtag. Oggi, a distanza di un mese, si parla di un migliaio di testi.

Il mio è il lavoro volontario di un entusiasta, è una classica “iniziativa orizzontale”, senza un fine ultimo. L’algoritmo di Facebook sceglie chiaramente quali post mostrarmi tra quelli dei miei duemila contatti, ma mi coadiuvano talvolta altri volontari, come i poeti e filologi Ljudmila Kazarjan, Pavel Bannikov, Ol’ga Markitantova e Il’ja Kukulin. Li ringrazio! Se in futuro qualcuno vorrà studiare ciò che è stato raccolto o sulla base di questa collezione redigere una qualche raccolta poetica, ne potrò essere soltanto che felice.

Si possono evidenziare dei punti comuni, dei fili rossi che legano tra loro questi Coronatesti?

L’uomo percepisce una notizia tragica passando attraverso alcuni stadi. La psicologa Elisabeth Kübler-Ross ha descritto un modello a cinque fasi: il diniego, la rabbia, la negoziazione, la depressione, l’accettazione. Queste fasi si possono osservare anche tra i Coronatesti. Siamo di fronte a una sofferenza comune, a una tragedia comune, e questa è una reazione collettiva a una catastrofe globale, pur con le sue caratteristiche locali.

Guardando a questa antologia, si può parlare di una sorta di “resistenza culturale” alla situazione attuale?

Vivere una pandemia – un virus letale a noi invisibile, che chiude a chiave interi paesi e costringe l’intero mondo a restare a casa – è un’esperienza completamente nuova per i poeti e per gli scrittori dei nostri giorni. Improvvisamente è comparso il tempo ed è esplosa con ciò l’energia creativa, che si trova ora davanti a una nuova, vastissima tematica: una calamità mondiale. In più si prenda in considerazione la realtà della rete, che offre la possibilità di condividere all’istante la propria sofferenza e ricevere una reazione.

Il semiologo Jurij Lotman nel volume La cultura e l’esplosione scriveva che le innovazioni nella cultura possono sorgere non soltanto a partire dall’assimilazione delle esperienze dei predecessori, ma anche da un segmento vuoto, dalla demolizione della realtà abituale. La pandemia ha causato un’esplosione simile per la letteratura, a livello di linguaggio e di situazione creativa. Quella presente è una vera e propria “esplosione”, che porterà probabilmente a qualcosa di completamente nuovo. Quella che oggi è un’esperienza collettiva di sopravvivenza alla pandemia, domani si trasformerà in un passato comune, in una memoria comune. Chi sopravvivrà alla pandemia vedrà probabilmente gli innumerevoli cambiamenti che ciò comporterà nei più diversi ambiti della vita.

Visto che il tema “epidemie e creatività” è ben noto ed esplorato, quanto spesso si incontrano citazioni e allusioni letterarie in questi testi?

Piuttosto spesso, poiché chi scrive cerca in maniera intuitiva esperienze nel passato. Benché siano diverse dalla situazione presente, sono tutte in qualche modo simili. E ci sono quindi il Decamerone, Camus, Puškin; ci sono citazioni dai classici, come ad esempio le poesie di Iosif Brodskij, ma il tutto rivisto attraverso i realia del presente.

Non è infatti una novità che epidemie e ondate di creatività vadano a braccetto, e proprio per le sorti della letteratura russa l’autunno passato da Aleksandr Puškin in isolamento a Boldino nel 1830 (allora era il colera) ha avuto un significato inestimabile.

Durante l’assedio di Leningrado i poeti leggevano alla radio i loro versi, infondendo di resilienza la popolazione attraverso quella bellezza che qualcuno aveva detto a suo tempo che, in fondo, salverà il mondo. Oggi, ancora una volta.

 

La foto allegata all’articolo fa parte dell’antologia di Igor’ Kotjuch (33esima giornata, 12.04.2020): l’autore dello scatto, dedicato alla Pasqua secondo il calendario gregoriano, è il poeta e filologo lettone Valts Ernštreits.

Chi è Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica presso l'Università di Udine, è direttrice editoriale di East Journal e scrive principalmente di Russia.

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