Questo articolo parla di Kiev ma soprattutto degli ippocastani

“Quando hai due ore libere scrivi un articolo, ma uno che porti contatti, quel tantino polemico che non guasta. Uno dei tuoi, insomma”. Quindi non questo, di sicuro non questo. Non leggetelo, non vi interessa. Parla di ippocastani. E di Kiev.

L’ippocastano è pianta che conosciamo tutti, e deve il suo nome al fatto di esser stata cibo per cavalli. I viali e i parchi delle nostre città sono disseminati di ippocastani. A differenza del castagno, non fa frutti. La castagna matta, che a Bergamo chiamano gengia, è infatti un seme. La si mette nelle tasche del cappotto d’inverno per prevenire il raffreddore. Non funziona, ma è bello farlo perché si è sempre fatto. Chissà se anche a Kiev lo fanno.

A Kiev l’ippocastano ci è arrivato all’inizio dell’Ottocento, non si sa bene a opera di chi. Sappiamo però chi lo introdusse a Vienna, tale Charles de l’Écluse, nel 1591, e a Parigi, dove fu Bachelier nel 1615. In Italia sembra sia stato portato da un botanico senese, Pier Andrea Mattioli, nel 1557, ma le fonti sono discordanti. Chi fu invece a portarlo in Ucraina resta un mistero, come molte cose da quelle parti.

La sua area d’origine sono i Balcani dove oggi – ironia delle latifoglie – è poco diffuso. La moda di piantare ippocastani a Kiev non è mai terminata, al punto che in epoca sovietica – nel 1973 mi pare – divenne uno dei simboli della città. Si racconta che vicino al monastero della Santa Trinità, presso il parco Kytayiv, si trovi un ippocastano di trecento anni, il più vecchio del mondo, precedente addirittura all’introduzione di questo tipo di albero nel paese. Come ciò sia possibile, è un altro mistero ucraino.

I fiori sono giallo-arancioni, ma quando un’ape ne sùgge il polline, trasferendo così i prodromi delle cellule maschili a un’altra pianta, ecco che il fiore cambia colore diventando rosso scuro. I botanici sanno descrivere perfettamente le cause del fenomeno ma preferisco pensare che sia un mistero, una meraviglia delle tante nascosta dall’evidenza che ci circonda.

Anche a Kiev, come ovunque, i ragazzini si sfideranno in elaborati giochi con le castagne matte oppure, i meno dotati, semplicemente a lanciarsele in testa. Qualcuno le calcerà per traiettorie impreviste tali da impedirne – buttati in terra gli zaini e le cartelle – l’uso per un’improvvisata sfida a calcio. L’ippocastano è una pianta che si lega inevitabilmente ai ricordi dell’infanzia.

Durante la Seconda guerra mondiale una bambina di Amsterdam guardava, dalla finestra della soffitta ove stava nascosta, i rami poderosi di un ippocastano che troneggiava, spoglio per l’inverno, nella via antistante. Sul suo diario annotava il ricordo dei suoi fiori, sperando in future rifioriture che mai poté vedere. La mattina del 4 agosto del 1944 la Gestapo fece irruzione nell’alloggio segreto strappando Anna Frank alla vita e agli ippocastani.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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