RUSSIA: Riforma costituzionale e dimissioni del governo. Cosa c’è sotto?

Il 2020 inizia in modo imprevedibile in Russia. Nelle ultime ore non solo si è dato il via ad un’ampia riforma costituzionale che modificherà i rapporti tra le principali istituzioni dello stato, ma si è dimesso anche il governo del premier Dmitrij Medvedev. Il consueto, noioso e prevedibile discorso del presidente di fronte alle Camere del parlamento riunite, così, si è trasformato quest’anno in un vero e proprio terremoto politico le cui conseguenze avranno un impatto non solo sull’assetto istituzionale del paese, ma soprattutto sulla transizione di potere che coinvolge la principale ‘istituzione informale’, il ventennale presidente Vladimir Putin. A chiudere la convulsa giornata, è arrivato l’annuncio della nomina del nuovo premier, lo sconosciuto Michail Mišustin, dal 2010 a capo del servizio fiscale federale, una figura puramente tecnica (quindi non politica) che dovrà allentare la pressione sul governo – andata aumentando con la crescente impopolarità di Medvedev – e gestire i vari passaggi della farraginosa riforma costituzionale.

Un parlamento più forte e non solo

Se la prima parte del discorso di Vladimir Putin in parlamento ha seguito il solito copione e si è concentrato sulle cose fatte e le sfide future in campo sociale ed economico, è la seconda parte che ha sorpreso esperti e giornalisti. Il presidente russo, infatti, ha sottolineato la necessità e l’urgenza di una generale revisione degli equilibri istituzionali tramite una riforma costituzionale che, in ultima analisi, dovrà essere sottoposta a referendum. Sono almeno 10 i punti che Putin ha sciorinato di fronte ai deputati e giornalisti. A colpire di più è stato quello relativo alla modifica dei rapporti tra presidente e parlamento. Secondo le indicazioni di Putin, infatti, il diritto di nominare (e scegliere) il primo ministro e il governo dovrà passare dalle mani del presidente a quelle del parlamento. Il governo, così, si troverà ad essere molto più dipendente dal parlamento, creando, almeno in linea teorica, una maggiore diffusione del potere e spezzando almeno qualcuno dei numerosi fili che attualmente tiene il potere esecutivo e quello legislativo in un groviglio inseparabile. Altre proposte riguardano il rafforzamento di istituzioni come il Consiglio di Stato e il Consiglio di Sicurezza e l’introduzione di nuovi paletti per i futuri candidati alla presidenza.

Quello che colpisce è che in un batter d’occhio Putin sembra rinunciare a due dei capisaldi centrali del suo regime, stabilità data dalla continuità costituzionale e accentramento del potere. Quella proposta, infatti, è la più grande serie di modifiche dai tempi dell’approvazione della costituzione stessa, nel dicembre 1993.

Come rimanere al potere…

Anche se le modifiche, così come sono state proposte, rimangono vaghe e con svariati punti d’ombra, in molti vi hanno visto una mossa cosmetica per permettere a Vladimir Putin di preservare il potere dopo la naturale scadenza del suo mandato, prevista per il 2024. Il primo scenario è quello che vede Putin nella veste di primo ministro, ruolo che esce rafforzato dalla proposta riforma costituzionale. Una specie di riedizione dell’arrocco effettuato con Medvedev tra il 2008-2012. Uno scenario quindi possibile anche questa volta, ma con alcune difficoltà in più. Anche se le elezioni in Russia sono certamente un gioco diverso rispetto alle elezioni in contesti con consolidate istituzioni e tradizioni democratiche, esse nondimeno comportano l’utilizzo di un certo capitale politico e di un partito competitivo su tutto il territorio nazionale. È ovvio che Putin rimane la figura più popolare in Russia e che il partito di potere (Russia Unita) continua a dominare, ma è altrettanto vero che i recenti trend risultano negativi sia per il rating dell’attuale presidente, sia per Russia Unita. La Duma in futuro potrebbe essere un organo ben più difficile da controllare.

L’altra opzione che, a detta di alcuni, Putin starebbe valutando è quella di rimanere al potere guidando un potenziato Consiglio di Stato. Composto dal presidente, dai leader delle camere del parlamento e dai governatori delle regioni, è rimasto sempre un organo consultivo con pochi poteri reali. La proposta di rendere il Consiglio di Stato un organo costituzionale con potenziati poteri potrebbe essere letta come la vera mossa strategica di Putin. I poteri che il Consiglio di Stato potrà avere, però, rimangono ad oggi poco chiari e sembra difficile prevedere se e come esso possa garantire una vera base di potere.

…o garantirsi la pensione?            

E se Putin abbandonasse definitivamente ruoli di comando cercando di godersi la pensione? Anche se per molti questa rimane l’opzione meno probabile, alcune delle proposte di modifica della costituzione potrebbero virare in questa direzione. D’altra parte non sarebbe nemmeno la prima volta. Già il primo presidente russo, Boris Eltsin, dopo essersi cucito la costituzione super-presidenziale su misura, aveva speso gli ultimi anni della sua carriera a cercare un sostituto affidabile che non utilizzasse quest’ultima contro di lui dopo la sua uscita di scena. Dopo aver consolidato il potere centrale, Putin oggi potrebbe anche trovarsi in una situazione opposta, il voler limitare il potere di ogni possibile successore, di cui non si fida, per far sì che quest’ultimo non possa utilizzarlo contro di lui. In questa direzione potrebbe andare la proposta d’introdurre la superiorità del diritto costituzionale su quello internazionale. Oppure quella di innalzare da 10 a 25 gli anni che il futuro presidente dovrà aver vissuto in Russia per poter essere eleggibile, insieme all’introduzione di un limite più rigido dei due mandati. Una salvaguardia qualora la scelta del successore dovesse risultare più complicata del previsto, nonché un chiaro segnale ai vari oligarchi in esilio, come Chodorkovskij.

Tutte le porte aperte

A parte tutte le speculazioni, però, quello che emerge è un quadro ben più complesso che, se da una parte sottolinea l’inizio formale delle manovre per la transizione di potere, dall’altra lascia tutte le porte aperte e prefigura un confronto informale tra le varie fazioni che vivono in un rapporto di doppia dipendenza con l’attuale presidente. Da una parte i vari gruppi influenti all’interno del Cremlino sono la vera base di potere di Putin, dall’altra, però, essi stessi devono il loro status solo a Putin, rendendolo così la più forte istituzione del paese.

L’effetto più importante dell’inaspettata mossa, infatti, sembra quello di spostare la discussione sulla successione dal campo personale a quello istituzionale, permettendo al regime di dare segnali precisi pur mantenendo la sua ambiguità. L’ambiguità, tra l’altro, sulla quale si basa la forza e la longevità del regime di Vladimir Putin, capace di bilanciare gli interessi delle varie fazioni e correnti.

In quest’ottica, con tutte le opzioni ancora sul tavolo, la possibile introduzione di maggiori ‘check and balances’ – per quanto limitati – va letta non come risultato di una mossa concreta e decisione definitiva sul futuro ruolo dell’attuale presidente, né tantomeno come un’apertura democratica, ma piuttosto come un chiaro segnale all’elite volto a limitare il conflitto tra le varie fazioni. Con il formale inizio del processo di transizione i gruppi più influenti potranno avere ampio spazio di manovra nel tentare d’influenzare il futuro assetto istituzionale, ma l’ultima parola sarà sempre del presidente. Proprio il conflitto tra le varie fazioni durante la delicata fase di transizione è, infatti, una delle principali cause della caduta di regimi personalistici e della ‘democratizzazione accidentale’. Ci rimangono solo 4 anni (forse anche meno), per capire se questo sarà il destino anche della Russia di Putin.

Foto: AFP

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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