ECONOMIA: Quando Berlino guadagna dalla crisi

Due tendenze sembrano farsi strada in Europa, da un lato l’affermazione di una leadership tedesca che rischia di svuotare di senso l’Unione Europea, nata per sancire la solidarietà tra gli stati del vecchio continente; dall’altro la tendenza ad affermare un nazionalismo economico come reazione al mostro finanziario e alla tecnocrazia che tutto, secondo costoro, divora.

L’economia tedesca, come ben illustrato da Limes (4/2011), è naturalmente proiettata verso l’Europa centrale e orientale dove non trova il freno di altri grandi Paesi euroei. Così l’economia ungherese, ceca e slovacca, persino polacca e baltica, giù fino a quella croata, sono legate a quella tedesca al punto da non potersi permettere, sul piano politico, nulla che sia più di un sbuffo d’insofferenza nei confronti di chi detiene il loro debito e sostiene la loro economia. Eppure qualche motivo di doléance ce l’hanno pure.

Se la Germania guadagna sulla crisi

La Germania ora più che mai ragiona in termini nazionali, come ricordato da Lucio Caracciolo, mettendo in dubbio l’utilità e la necessità dell’Unione. Un dubbio dovuto alla volontà tedesca di non pagare la crisi degli altri, di non voler far diventare l’Unione una transferunion in cui i più ricchi pagano per i più poveri (o impoveriti). Eppure alla Germania piace che i più poveri arricchiscano lei. Sappiamo tutti che, prima della crisi, il debito greco era detenuto in buona parte da banche francesi e tedesche. Sappiamo anche che Berlino si è molto esposta nei confronti di Atene proprio perché il fallimento greco sarebbe ricaduto sul suo sistema bancario. Finora ha versato 15 mld di euro. Mica briciole. Soldi che non andranno ai greci, ma serviranno a consentire ad Atene di saldare i creditori, quindi (in buona misura) i tedeschi stessi. Ma i 15 mld sono un prestito e come tale va restituito. E con gli interessi. Così Berlino, da quel prestito, ha già ottenuto 380 milioni di euro a un tasso d’interesse tra il 3,5% e il 4,5%. Come sono solidali ‘sti tedeschi!

Obbligati a comprare armi tedesche

I governi sul lastrico di Grecia e Portogallo hanno firmato contratti per oltre un miliardo di euro per navi da guerra con la Germania, diventandone i primi fornitori mondiali in armamenti. E si sa che due potenze come Atene e Lisbona hanno sempre bisogno di armi. Ma anche la Francia di Nicolas Sarkozy non ha scherzato, rifilando, nel 2010, aerei, bombe e razzi al governo di George Papandreou, per 876 milioni di euro. Guarda caso, per Atene erano i mesi delle concitate trattative prima di raggiungere l’accordo con Fmi e Ue sul primo salvataggio.

La crisi è però colpa anche della Germania

La Germania è ora in preda alla febbre elettorale. Angela Merkel, cancelliera uscente, ha già usato la Grecia come capro espiatorio per una crisi che “i tedeschi non vogliono pagare” ma che tira e vira sta arrivando anche fin lì. Insomma, è sempre colpa dell’altro. Con che soave leggiadria frau Merkel ha dimenticato le responsabilità tedesche dell’attuale crisi greca. Già. responsabilità: “Per capire bene le cose bisogna andare indietro nel tempo” ha dichiarato recentemente Romano Prodi “quando, per non essere soggetti al controllo delle autorità continentali, Francia e Germania hanno respinto le proposte della Commissione europea, volte a sottoporre a continuo monitoraggio i conti dei Paesi dell’euro. Il governo greco ha approfittato di questa mancanza di sorveglianza per mettere in atto una politica incontrollata e incosciente di deficit di bilancio, persino falsificando i conti”.

Ma le responsabilità tedesche sono anche più recenti. A crisi già avviata, era la fine del 2009, si cercò un’intesa per ristrutturare il debito greco nei confronti di Berlino le cui banche, abbiamo detto, erano piene di titoli greci ad alto rendimento e dunque a guadagno facile. La ristrutturazione, proposta anche dal Fmi, che avrebbe portato a una perdita di capitale per le banche prestatrici nell’ordine del 15-20%, andò incontro al no tedesco. Pur di non rimetterci un euro si decise di sprofondare la Grecia nella crisi, in una smisurata e inutile austerità.

Tra nazionalismo economico e nazionalismo politico

“L’ostinazione tedesca è ammantata di rigore”, ha commentato Oscar Giannino, editorialista del Sole24ore. “Secondo Berlino ogni Paese deve imparare a proprie spese l’equilibrio dei conti. Ma di fatto nasce dall’avidità, mettendo a serio rischio l’euro e scatenando in mezza Europa una più che prevedibile ondata popolare di protesta contro Bruxelles e Francoforte, in nome dell’autarchia e del protezionismo”. Il risultato dell’ostinazione tedesca è stato spingere i Paesi d’Europa verso le chimere del nazionalismo economico che si somma facilemente, visto il contesto in cui sguazza il vecchio continente, al nazionalismo politico. Un mix capace di dare risultati esplosivi.

Quel che appare, dunque, è un’Europa sempre più frantumata. Dall’alto le istituzioni comunitarie sono il collante per un continente che però procede alla spicciolata. Da una parte i grandi Paesi, come Germania e Francia, fanno quanto necessario per tutelare i propri interessi finanziari a scapito di altri stati e, soprattutto, mettendo a repentaglio la solidarietà europea in nome del nazionalismo economico; dall’altro piccoli Paesi, a est come a ovest, rispondono al nazionalismo economico con l’unica arma che hanno: il nazionalismo politico.

La Germania è un Paese che tutti, dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi, abbiamo imparato a rispettare ed ammirare: per la serietà della politica, la maturità dell’opinione pubblica, l’alto livello di diritti, l’efficenza industriale, la capacità di affrontare a viso aperto il proprio tremendo passato. Ma la Germania non è un Paese come gli altri perché se lo fosse, a fronte della sua evidente rilevanza in ambito internazionale, avrebbe un seggio permanente al Consiglio di sicurezza dell’Onu. E invece non ce l’ha. Perché la storia tedesca richiede una lunga digestione, dentro e fuori i confini nazionali. Una via all’Europa solidale può ancora essere percorsa, e per il ruolo che ricopre la Germania dovrebbe compiere il primo deciso passo in questa direzione seguita da tutti i Paesi europei, consapevoli che nessuno in Europa uscirà più forte dalla crisi.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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3 commenti

  1. Bell’articolo!
    Però la Germania non ha un seggio permanente perchè non ha vinto la seconda guerra mondiale…(i membri permanenti sono invece i vincitori della II G.M.)…

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