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BOSNIA: Superare il sistema Dayton, il programma del partito bosgnacco fa discutere

Il 7 ottobre prossimo sarà passato un anno dalle ultime elezioni politiche in Bosnia ed Erzegovina, un periodo durante il quale il paese non è riuscito a darsi un governo a livello statale, a causa delle divisioni e dei reciproci veti tra i leader serbi e quelli bosgnacchi. Questa paralisi ha raggiunto un nuovo livello di tensione dopo il congresso del Partito di Azione Democratica (SDA), la principale forza bosgnacca, che si è svolto il 14 settembre a Sarajevo.

La dichiarazione programmatica dell’SDA

I più di 1200 membri del partito, oltre a rieleggere Bakir Izetbegovic come capo politico per altri quattro anni, hanno votato una dichiarazione programmatica che ha fatto subito molto discutere. Nel testo l’SDA, tra le altre cose, propone di centralizzare il paese creando una “repubblica civica” di Bosnia ed Erzegovina, che abbia la lingua bosniaca come tratto identitario comune per tutti i cittadini.

La repubblica sarebbe quindi divisa in “regioni economiche” e non su base etnica. Inoltre, nella dichiarazione si auspica la creazione di una corte suprema e l’adempimento delle condizioni necessarie per entrare nell’Unione europea e nella NATO. In particolare il processo di adesione a quest’ultima, ancora osteggiato dai leader serbi di Bosnia, è uno dei maggiori nodi da sciogliere per la nascita di un esecutivo.

Un attacco al sistema di Dayton?

Croati e soprattutto serbi hanno interpretato questa dichiarazione come un attacco alla forma statale uscita dagli accordi di Dayton del 1995, che hanno posto fine alla guerra iniziata nel 1992, ridisegnando la struttura istituzionale della Bosnia. Il paese da allora è una federazione composta da due entità: la Republika Srpska (RS), abitata principalmente da serbi, e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (FBiH), in cui vivono prevalentemente croati e bosgnacchi. Entrambe hanno un proprio governo, con i rispettivi parlamenti, mentre a livello statale, durante una legislatura, si alternano tre presidenti, uno per gruppo etnico (serbo, croato, bosgnacco).

La complicata infrastruttura dello stato è stata pensata per favorire la condivisione, e il bilanciamento, del potere tra i tre maggiori gruppi etnici. La nuova repubblica per cui si è proposto di lavorare l’SDA si basa invece sull’azzeramento delle divisioni etniche, in cui gli abitanti si sentano cittadini bosniaci e non appartenenti a questo o a quel gruppo etnico. “Non accetteremo alcun tipo di divisione, etnica, territoriale o istituzionale”, si legge nella dichiarazione. La transizione comporterebbe importanti modifiche costituzionali e sul lungo periodo sarebbe una trasformazione di non poco conto.

I timori di serbi e croati

Questo intento è però visto con sospetto dai croati e fortemente osteggiato dai serbi di Bosnia. I primi, come i secondi, vogliono un mantenimento dello status quo, temendo di perdere la rilevanza che deriva loro dalla divisione etnica.

Secondo il discusso censimento del 2013, difatti, i bosgnacchi sono più del 50% della popolazione del paese e un nuovo impianto istituzionale non diviso etnicamente favorirebbe le loro istanze, a danno degli altri gruppi.

Le reazioni

Secondo Milorad Dodik, leader dell’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD) e membro serbo della presidenza tripartita bosniaca, quella dell’SDA “è una dichiarazione musulmana”, facendo intendere di considerarla come il proseguimento della famosa “Dichiarazione islamica” del 1970 di Alija Izetbegovic, primo presidente della Bosnia e fondatore dell’SDA. Dodik ha poi aggiunto che tutti quelli che sostengono la dichiarazione “vogliono che la Republika Srpska scompaia”, e che “è completamente logico che la RS debba costruirsi il proprio percorso”.

Anche Dragan Covic, leader dell’Unione Democratica Croata di Bosnia (HDZ BiH) e rappresentante del suo gruppo alla presidenza tripartita, si è detto contrario alla proposta dell’SDA. Il modello di stato che vorrebbe il partito bosgnacco “è assolutamente inaccettabile e rischioso”, ha fatto sapere Covic.

La dichiarazione dell’SDA è stata criticata anche dall’Ufficio dell’Alto Rappresentante, per conto della comunità internazionale, e dall’ambasciata degli Stati Uniti che ha parlato di “posizioni politiche inutili e divisive”.

Un obiettivo di lungo termine

Per Denis Zvidzic, primo ministro della Bosnia e membro dell’SDA, la dichiarazione rappresentata invece la visione che il partito ha dalla sua nascita e cioè quella di un paese “democratico, multietnico e moderno”. A gettare acqua sul fuoco ci ha provato anche Izetbegovic facendo sapere che il testo contiene solo gli obiettivi a lungo termine del partito.

Ciononostante, molti aspetti della dichiarazione, come il riferimento all’ingresso nell’UE e nella NATO, saranno temi fondamentali sui quali la politica bosniaca sarà chiamata a prendere posizione nel futuro più prossimo. Per non parlare del sistema di Dayton, vero nodo al centro della dichiarazione, che continua a mostrare i suoi limiti e sulla cui interpretazione e possibile superamento si gioca la sfida tra i principali attori politici del paese.

Chi è Tommaso Meo

Giornalista freelance, si occupa soprattutto di Balcani, migranti e ambiente. Ha scritto per il manifesto, The Submarine e La Via Libera, tra gli altri. Collabora con East Journal dal 2019.

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