EUROPA: Il problema è il nazionalismo tedesco (anche se nessuno lo dice)

Da molti tempo i tedeschi non si permettevano un livello di nazionalismo come quello che siamo stati costretti a osservare, con crescente preoccupazione, nell’ultimo decennio. E non s’intende solo il nazionalismo espresso dai partiti dell’estrema destra tedesca, sempre più protagonisti della politica locale, ma di un nazionalismo istituzionale, diffuso tra le élites politiche, economiche e finanziarie del paese. Un tipo di nazionalismo che non indossa camicie brune, che non è revisionista o nostalgico, che non coltiva ambizioni pangermaniste. Un nazionalismo che però, alla revanche populistica, patriottarda, euroscettica dell’estrema destra ha spianato la strada, inoculando all’interno dell’animo tedesco i germi del male antico.

L’agone dove tale nazionalismo ha dato miglior mostra di sé è l’Unione Europea, che Berlino afferma di sostenere ma che di fatto ha piegato ai propri interessi minando la “casa comune” alle fondamenta.

È stata ed è la politica tedesca ad aver proclamato il principio secondo cui i problemi dei singoli stati membri, si tratti di quello greco, portoghese, italiano, non sarebbero problemi europei. È stata ed è la politica tedesca ad aver fatto del Consiglio europeo un organo di tutela dei propri interessi nazionali, piuttosto che il luogo dove tali interessi vengono messi in secondo piano, abbassando sistematicamente l’asticella dell’integrazione europea e riducendo l’UE a un mero spazio di rivendicazione di interessi nazionali. L’UE, almeno in teoria, non dovrebbe essere questo: anzi, dovrebbe essere il luogo dove l’interesse nazionale viene tutelato in un’ottica di cooperazione post-nazionale. La tutela dei propri interessi a scapito di quelli altrui è invece stata la cifra della politica europea tedesca, alimentando frustrazioni e opposti nazionalismi negli altri paesi membri.

La Germania ne ha certo ricavato un vantaggio immediato, la sua industria è uscita quasi indenne dalla crisi iniziata nel 2009, aprendo anzi spazi di penetrazione negli stati limitrofi, specialmente quelli dell’est Europa. La Germania è oggi il primo partner economico della Polonia, dell’Ungheria, della Repubblica Ceca, della Croazia, dell’Ucraina, dei paesi baltici, e questo significa influenza politica su quella parte di continente che, salvo qualche rara sparata propagandistica, ha sempre appoggiato la linea di Berlino in Europa. Una linea che blocca regolarmente lo sviluppo di politiche condivise. Una linea di fatto contraria agli interessi “paneuropei”.

L’UE ha perso la sua missione unificatrice, è diventata luogo di confronto e competizione in cui gli stati più forti cercano di ottenere vantaggi a scapito di quelli più deboli. La reazione ‘controrivoluzionaria‘ di Orban e Kaczynski si nutre anche di questo. Il terreno fertile per il germogliare del populismo euroscettico l’hanno prodotto le élites politiche tedesche.

Il terreno fertile per il germogliare del populismo euroscettico l’hanno prodotto le élites politiche tedesche

Ma il fatto più scandaloso è stato il costruire, da parte di alcuni politici tedeschi e di un sistema mediatico non sempre responsabile, un capro espiatorio, un nemico immaginario di volta in volta incarnato nel “parassita straniero”, nel greco che non paga i debiti, nell’italiano spendaccione. E poco conta che i greci siano stati costretti da Berlino, in cambio degli aiuti economici, a comprare armamenti tedeschi: soldi che potevano servire agli ospedali e alle scuole, ma attraverso cui la Germania ha di fatto finanziato la propria industria bellica.

Ora che queste politiche miopi stanno portando la Germania alla recessione, ora che il seme dell’odio verso lo straniero è stato piantato, ora che l’UE è stata ridotta a un organismo incapace di agire sui problemi, non ci si sorprenda dell’ascesa dell’ultradestra nella stessa Germania come nel resto d’Europa. La miopia tedesca, la loro interpretazione egoistica dell’europeismo, il loro cinico sfruttare l’UE per ampliare la propria influenza sul continente e la propria competitività economica, sarà la causa del disfacimento dell’Unione.

Le recenti elezioni europee hanno portato un mediocre ministro della Difesa tedesco alla guida della Commissione. Una persona che a quella decostruzione d’Europa ha partecipato e che ebbe l’agio di dire che la Grecia, in cambio degli aiuti, doveva offrire come garanzia la propria riserva aurea, una persona che è stata coinvolta in uno scandalo legato agli approvvigionamenti militari, con sospetti di corruzione e nepotismo. Una persona inadatta a correggere la rotta del Titanic europeo.

Chi plaude all’uscita del Regno Unito dall’UE, chi schernisce le goffe e impacciate politiche di Londra in questa fase storica, sappia che non riderà per ultimo. La Germania è il malato d’Europa, e sta consumando il corpo stesso del vecchio continente. Solo un atteggiamento paneuropeo, rinnovato e consapevole, da parte dei principali paesi dell’Unione potrà forse salvare dal naufragio. Altrimenti, si spera, che da Londra ci lancino un salvagente.

O Freunde, nicht diese Töne!
Sondern laßt uns angenehmere anstimmen
und freudenvollere!

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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