SERBIA: L’urbicidio progressista di Belgrado

Quando scriviamo di urbicidio nei Balcani sareste tenuti a pensare subito a Vukovar, Mostar o Sarajevo. E invece oggi vi parliamo di Belgrado e la guerra, questa volta, non c’entra niente.

“Non è vero che Belgrado fa schifo, ci siamo stati quest’estate, ci siamo divertiti moltissimo e ci è piaciuta un sacco”, direte. E ci mancherebbe altro. Belgrado ha un’anima e uno spirito indistruttibili. Ma oltre agli splav – i locali sulle chiatte attraccate sulla Sava – una capitale dovrebbe offrire anche un aspetto decente, e rispettoso degli spazi verdi, specie durante la stagione turistica.

Da mesi la nuova amministrazione cittadina, il cui sindaco è un medico che non viene mai nominato se non quando lo chiamano per andare a inaugurare le casette per gli uccellini (per la cronaca, e per quei belgradesi che ancora non lo sapessero: si chiama Zoran Radojicic), ha stravolto l’aspetto e l’assetto del centro di Belgrado.

Dopo aver eretto una fontana cantante con luci al neon fucsia e arancioni nel centro di Slavija – la rotonda gigante che smista (a fatica) il traffico delle principali arterie urbane della capitale – non hanno risparmiato nemmeno piazza della Repubblica. Quella col cavallo. Dove vi sarete trovati anche voi quest’estate e dove da secoli si incontrano i belgradesi. Da così tanto tempo, che quando hanno iniziato a scavare hanno scoperto dei vecchi resti archeologici. Si trattava della base di una porta barocca del diciottesimo secolo. Ma invece di farne tesoro, studiare un modo per renderla visibile ai turisti, porvi una teca e farne bene pubblico, è stata in qualche modo impacchettata e ricoperta di cemento. Pare, per il bene stesso dei resti.

Dopo più di un anno, i lavori sono finalmente finiti. Ma non i disagi derivanti dalle deviazioni del trasporto pubblico. Il traffico si congestiona proprio sulla piazza, in direzione Francuska, una delle vie principali del centro.
Oggi piazza della Repubblica è così:

Un trionfo di cemento. Anche attorno ai tronchi dei pochissimi alberi piantati, di cui uno – incredibilmente – è già morto. Qualcuno su Twitter scherza, ma neanche tanto: sembra Tirana all’epoca di Enver Hoxha. È l’estetica del partito di governo, dei progressisti del presidente Vucic. Di progressista ha l’alchimia del trasformare una bella piazza in un’accozzaglia di mattonelle pronte a distruggersi, fra qualche mese. E tutto questo cemento è costato ai contribuenti ben 10 milioni di euro.

Per chi non ci è stato se non questa estate, la piazza prima era così:

È successo anche a Slavija. Per far posto alla fontana più kitsch del sudest Europa, hanno rimosso il busto e i resti di Dimitrije Tucovic (teorico socialista morto nella Grande guerra) e sui marciapiedi adiacenti hanno impiegato mattonelle che sono durate un quarto del tempo rispetto a quanto sono durati i lavori su tutta la rotonda. Ma la Serbia progressista è così. Crea disagi là dove ci sarebbe anche bisogno di fare lavori, ricostruisce con una totale assenza di verde, e di gusto, una piazza, ma senza cambiarne la funzionalità urbana. E a Slavija ce n’era veramente bisogno. Quei getti d’acqua altissimi che ripetevano (il meccanismo in realtà ha smesso di funzionare) a disco rotto le stesse 3 canzoni sono costati quasi 2 milioni di euro. Con quei soldi avrebbero potuto migliorare la gestione del traffico che da decenni si congestiona a Slavija. E invece no. Cattivo gusto e cattivo cemento.

Le mattonelle hanno cominciato ad avere crepe e devastarsi  pochi mesi dopo la fine del “rinnovo”. Ma ci saranno dei lavori di manutenzione. E saranno pagati dai belgradesi, che avranno altri disagi, altro kitsch e altra devastazione di Belgrado.

E poi progredisce anche “Belgrado sull’acqua”. Faraonico progetto edilizio sponsorizzato dagli emiri che vogliono una Dubai nei Balcani e che è stato caratterizzato da numerosi scandali. Si tratta di un agglomerato di palazzoni “moderni” lungo la Sava, là dove correva la ferrovia (spostata ora in un posto che nessun belgradese conosce) e dove per anni non si è costruito niente di niente. Forse perché il terreno pregno d’acqua non garantirebbe la tenuta di un grattacielo? Ma Vucic l’ha definito “un progetto di interesse nazionale”. E ci mancherebbe. Tre miliardi e mezzo di euro, garantiti per lo più dal budget della Serbia, cioè dai contribuenti, mentre dagli Emirati è arrivata la società per realizzare un progetto che cambierà per sempre il magnifico skyline della capitale serba.

Una devastazione che va avanti imperterrita, e senza alcun rispetto degli spazi verdi, da quando l’amministrazione progressista è guidata – invece che dall’innominato a cui piacciono gli uccellini – dal vicesindaco Goran Vesic, piccolo quadro di partito. Di tutti i partiti. Democratico quando il Partito Democratico governava, e ora progressista fedelissimo di Vucic. Vesic, che di fatto agisce da primo cittadino, ha spesso dichiarato di voler lasciare una traccia indelebile sulla città. E ci sta ampiamente riuscendo. Ma la voglia di mostrar fedeltà alla causa progressista costa ai belgradesi questo urbicidio.

Potremmo parlarvi anche della costruzione della “gondola” (in realtà una cabina teleferica) che unirà la centralissima fortezza di Kalemegdan con la sponda di Nuova Belgrado e del come, per farle spazio, sono state abbattute decine e decine di alberi secolari senza interpellare la cittadinanza; o del come resiste parte della popolazione, organizzata o meno, contro questi continui scempi e collassi urbani.

Ma vi annoieremmo e voi forse volete comunque conservare un buon ricordo di Belgrado. Lo conserveranno anche i belgradesi, ricordando quanto fosse progressista la loro città prima che arrivassero i progressisti.

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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