Le elezioni europee si avvicinano, e nonostante i recenti scontri tra il primo ministro ungherese Viktor Orbán e i vertici del Partito Popolare Europeo (PPE), i protagonisti della vicenda si sono riservati di decidere se continuare la collaborazione solo all’indomani dello spoglio elettorale. Questo è un accordo di convenienza subordinato ai rapporti di forza che si creeranno nei prossimi mesi all’interno del Parlamento europeo.
Il peso dell’Ungheria in Europa
Con 10 milioni di cittadini, l’Ungheria ha diritto all’acquisizione di 21 seggi all’interno del Parlamento europeo. Nel 2014, su 21 seggi, il partito di governo Fidesz aveva ottenuto il 51,48% delle preferenze degli elettori, tradotti poi in 12 seggi parlamentari. I seggi rimanenti erano stati distribuiti tra l’estrema destra di Jobbik (“meglio” o “più a destra”, versione abbreviata di “movimento per un’Ungheria migliore”) con 3 seggi, il Partito Socialista Ungherese (MSZP) e la Coalizione Democratica (DK) con 2 seggi ciascuno, Együtt (“insieme”) e LMP (abbreviazione per “la politica può essere diversa”) con un seggio a testa. Secondo le proiezioni di Politico.eu, quest’anno Fidesz otterrà 14 seggi, il Partito Socialista Ungherese 3, mentre Coalizione Democratica e Jobbik otterrebbero 2 seggi a testa.
Elezioni europee 2019 in UngheriaFonte: Politico.eu
Sebbene le elezioni europee vengano sfruttate dalla retorica politica nazionale per testare il consenso interno dei partiti, è noto che il vero significato di questo appuntamento elettorale si riflette nei rapporti di forza a livello europeo. Nel 2014, il raggruppamento politico maggiormente rappresentato nel Parlamento è stato il PPE. Da anni Fidesz fa parte di questo gruppo, ma le scelte del governo ungherese negli ultimi anni hanno contribuito ad un progressivo allontanamento del partito di Viktor Orbán dalla linea programmatica del PPE.
Fidesz e il PPE
In marzo, Fidesz è stato sospeso dal PPE con il voto favorevole di 13 partiti nazionali parte del gruppo a livello europeo. La causa scatenante è stata la campagna elettorale del governo che ha preso di mira il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, espressione diretta del PPE.
In queste settimane, le tensioni tra PPE e Fidesz si sono ulteriormente acuite. Lunedì 5 maggio, il presidente del gruppo Manfred Weber, naturale candidato alla presidenza della Commissione nel caso di maggioranza del PPE, ha dichiarato a ZDF di non voler diventare presidente con i voti dell’estrema destra rappresentata da Fidesz. Orbán ha replicato a stretto giro che avrebbe: “Voluto Mr. Weber come presidente della Commissione. Eppure, Weber non ha solo annunciato di non aver bisogno dei voti degli ungheresi per diventare presidente, ma di non volerli. Il primo ministro di una nazione che è stata insultata in questa maniera non può certo supportare la candidatura di una persona del genere.”
Da settimane, Orbán sta flirtando con quella che ha definito “destra patriottica”, sostenendo che il PPE dovrebbe orientare la sua prospettiva di alleanza verso destra piuttosto che avvicinarsi alle posizioni ideologiche della sinistra multiculturale e favorevole all’immigrazione. Ospite di Orbán, il vicecancelliere austriaco e leader del partito Partito per la Libertà dell’Austria (FPÖ), Heinz-Christian Strache, ha indicato nel modello di collaborazione tra FPÖ e il Partito Popolare Austriaco la migliore pratica di governo per l’Europa.
La posizione di Orbán rimane tuttavia ambigua dopo aver ospitato nelle settimane scorse il leader della Lega Matteo Salvini e averlo indicato come “campione d’Europa”. Infatti, Salvini è alleato del Raggruppamento Nazionale di Marine Le Pen, ma secondo Orbán, Le Pen si trova al di là di una linea rossa che i conservatori non dovrebbero superare.
Pomodori in insalata
La scelta delle parole nella retorica politica è importante. Da politico navigato, Orbán lo capisce bene e si rende conto che essere dichiaratamente fascisti non paga a livello elettorale quanto essere “patriottici”. Anche se il contenuto delle politiche è lo stesso, l’etichetta permette un diverso posizionamento nello spettro politico, e di conseguenza, garantisce l’accesso ad un bacino di voti diverso. Eppure, gli elettori dovrebbero rendersi conto che la presenza dei pomodori* in insalata non li rende un ortaggio.
*Il pomodoro è un frutto.
Foto: Financial Times