CINEMA: “Unsilenced Voices of Beslan”, la battaglia per la verità dei sopravvissuti

Sono passati quindici anni dai tragici avvenimenti del settembre 2004 a Beslan. Alcuni dei sopravvissuti raccontano gli eventi di quei giorni: le loro voci, i loro volti, l’uso di immagini dell’epoca e animazioni ridanno vita alle ore di terrore che hanno vissuto.

L’1 settembre, “il giorno della conoscenza”, la festa per l’apertura dell’anno scolastico, un gruppo di trenta terroristi ceceni, pesantemente armati, circondò la scuola Numero Uno nella città dell’Ossezia del Nord. I guerriglieri presero in ostaggio tutti i 1100 presenti –tra i quali 800 bambini– e li rinchiusero nella palestra dell’istituto che venne minata per prevenire un’irruzione della polizia. Le forze dell’ordine russe circondarono l’edificio e tentarono di negoziare con i terroristi, il cui obiettivo era l’indipendenza della Cecenia.

Dopo circa cinquanta ore, il 3 settembre, nella palestra si verificarono due forti esplosioni –la cui causa non è ancora stata chiarita– che aprirono un buco nelle mura dell’edificio dal quale alcuni degli ostaggi provarono a scappare. I terroristi iniziarono, allora, a sparare sui fuggitivi, e questo, a sua volta, causò la reazione delle forze di sicurezza contro gli attentatori. L’intervento dei militari e le sparatorie con i terroristi che ne seguirono, causarono la morte di 330 persone tra gli ostaggi e di tutti i terroristi, escluso uno, oltre che il ferimento di molti altri civili.

Da questo punto di partenza, il documentario Unsilenced Voices of Beslan (2019) del regista ceco Tomáš Polenský racconta della lotta per ottenere giustizia del comitato dei sopravvissuti “Voce di Beslan”. I membri dell’organizzazione sentono di essere vittima delle istituzioni russe quanto dei terroristi e si sono impegnati, nel corso degli anni, a dimostrare come l’attentato potesse essere evitato e la vita di molte persone risparmiata, se le forze di sicurezza avessero agito diversamente. Grazie al lavoro dell’associazione, sono emersi documenti a provare che i servizi segreti fossero a conoscenza di un potenziale attacco in Ossezia del Nord, ma non fecero abbastanza per prevenirlo. Con il sequestro in corso, poi, le autorità si rifiutarono ostinatemente di negoziare coi terroristi e organizzarono il blitz del 3 settembre per porre fine velocemente all’attentato –un colpo per la popolarità dell’allora neopresidente Putin– senza preoccuparsi della vita degli ostaggi.

“I responsabili devono essere puniti, a partire da Putin che, in quanto presidente, è il primo responsabile delle azioni delle istituzioni”. Dalle parole di Ella Kesaeva, co-presidente di “Voce di Beslan” e voce narrante del documentario, si comprende come la battaglia del comitato sia indigesta ai vertici del Cremlino.

Le vicende processuali in Russia si sono concluse senza condanne per tutti i membri dell’esercito e delle istituzioni che hanno avuto a che fare con gli avvenimenti di Beslan. Molti quadri, addirittura, hanno ottenuto una promozione per le loro azioni nel settembre del 2004.

In questo schema di autoassoluzione collettiva, il presidente Putin non ha mai visitato Beslan durante i tanti anniversari dell’attentato. L’azione del capo dello stato di fronte a un attacco di gravità senza precedenti nella storia russa, non ha fatto altro che acuire il senso di abbandono  delle vittime. “Da una parte i terroristi con il passamontagna e dall’altra quelli con le spalline, di chi dobbiamo fidarci?” si chiede amaramente la Kesaeva in uno dei passaggi del documentario.

L’opera di Polenský si conclude con una vittoria per il comitato dei sopravvissuti. Nel 2017, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto la Russia colpevole per le modalità con cui ha gestito l’attentato. Se la sentenza lascia trapelare un filo di ottimismo, la situazione generale resta desolante. Mosca non ha iniziato una nuova indagine sul caso come imposto dal pronunciamento del tribunale di Strasburgo. A quindici anni dagli eventi di Beslan un sistema di potere che, come viene mostrato nel documentario, ha poca cura della vita dei suoi cittadini, rimane saldamente alla guida del paese.

Immagine: unsilencedvoices.info

Chi è Aleksej Tilman

È nato nel 1991 a Milano dove ha studiato relazioni internazionali all'Università statale. Ha vissuto due anni a Tbilisi, lavorando e specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell'area caucasica all'Università Ivane Javakhishvili. Parla inglese, russo e conosce basi di georgiano e francese.

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Un commento

  1. Gabriella Orlandi

    Articolo ben documentato e scritto in modo molto chiaro.

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