Ormai da mesi si assiste a una mobilitazione globale in favore di politiche più attente ai temi ambientali, con migliaia di persone unite in protesta contro uno sfruttamento sconsiderato delle risorse del pianeta. Un tema trasversale, quello della difesa dell’ambiente, che riesce a raccogliere consensi in diversi strati della popolazione. È ciò che sta accadendo anche in Russia, dove, da alcuni mesi, un nuovo piano per la gestione dei rifiuti è riuscito a mobilitare migliaia di cittadini, anche su scala nazionale. I temi ambientali catalizzeranno il dissenso?
La riforma dei rifiuti
Le prime proteste sono scoppiate alla fine del 2018, quando è stato annunciato un nuovo piano nazionale per la gestione dei rifiuti, il cui nome, “Un paese pulito”, è già di per sé una contraddizione. Il piano, infatti, prevede il trasferimento di tonnellate di rifiuti dalla capitale Mosca verso zone più periferiche del paese, dove è prevista la costruzione di nuove discariche e inceneritori. I movimenti di protesta, che fin dall’inizio si erano diffusi a livello locale nelle regioni coinvolte, hanno in seguito preso piede su scala nazionale.
Domenica 3 febbraio, migliaia di persone sono scese in piazza in trenta regioni della federazione scandendo lo slogan “La Russia non è una discarica”. Al Cremlino si rimprovera di non adottare misure concrete per risolvere quella che sembra essere una vera e propria emergenza rifiuti. Lo spostamento di tonnellate di immondizia dal centro del paese alle regioni più remote sarebbe, secondo molti, come gettare la polvere sotto il tappeto. Così facendo, infatti, non cambierà la realtà delle cose per il paese, che, con il suo tasso di riciclaggio al 4%, si colloca di fatto tra i paesi che riciclano meno su scala globale.
La quasi totalità dei rifiuti, dunque, finisce in discariche e inceneritori. La decisione di trasferire i rifiuti dal centro alle periferie, inoltre, denota una certa noncuranza delle autorità centrali nei confronti dei cittadini delle regioni più decentrate, che tuttavia non si danno per vinti e da mesi continuano la loro battaglia contro il nuovo piano. Tra loro, primi tra tutti, i cittadini della regione settentrionale di Archangel’sk. Proprio qui, nella regione che dà sul Mar Bianco, da mesi è in atto la costruzione di una nuova discarica.
La nuova discarica di Urdoma
A sud-est della regione di Archangel’sk si trova la cittadina di Urdoma e, cinquanta chilometri più a est, quasi al confine con la repubblica del Komi, si trova la stazione ferroviaria di Šies. Qui, nell’estate 2018, sono iniziati i lavori per la costruzione di una nuova discarica, della cui realizzazione, tuttavia, sembravano essere ignari in molti, comprese le autorità locali. All’epoca, infatti, quasi nessuno sapeva quale fosse il destino di quelle costruzioni, benché le voci avessero iniziato a circolare. Alla legittima richiesta di spiegazioni da parte dei cittadini, alcune autorità locali avrebbero risposto con rassicurazioni: il nuovo impianto avrebbe creato nuovi posti di lavoro.
È stata proprio la segretezza del progetto, secondo alcuni attivisti locali, a indignare i cittadini: il sentore di essere stati traditi, insieme all’essere trattati da cittadini di seconda classe a cui mandare i propri rifiuti, ha acceso la miccia delle proteste. Le proteste si protraggono da ormai cinque mesi, dall’approvazione del suddetto piano per la gestione dei rifiuti, ma non accennano ad arrestarsi. Il 7 aprile, ad esempio, circa cinquemila persone hanno manifestato nella città di Archangel’sk in un raduno non autorizzato, che ha avuto come conseguenza sei arresti tra i membri del gruppo “Protesta perenne” (Bessročnyj protest), uno dei numerosi gruppi attivi al momento. Stando alle dichiarazioni di alcuni attivisti locali, la regione di Archangel’sk è tradizionalmente passiva a livello di mobilitazione politica e la partecipazione di un numero così alto di persone è da considerarsi sorprendente, se si considerano i potenziali rischi a cui vanno incontro i manifestanti. Altri arresti hanno avuto luogo nella giornata del 22 aprile, mentre un gruppo di attivisti manifestava presso il cantiere di Šies.
Anche le autorità locali, ultimamente, hanno contribuito a riscaldare l’ambiente. Stando a quanto scrive Radio Svoboda, il governatore della regione di Archangel’sk, Igor’ Orlov, avrebbe chiamato i dimostranti con l’appellativo di “gentaglia”. Questo non avrebbe fatto che aumentare il potenziale delle proteste nella regione. Nonostante gli arresti e le multe, infatti, le proteste continuano e – anzi – si sono trasformate in un presidio semi-permanente, con un capannello di persone presente dalle 7 alle 22 sulla piazza Lenin, nel centro di Archangel’sk.
La giusta via per l’opposizione?
Il caso di Archangel’sk è solo l’ultimo di una serie di proteste, le cui istanze hanno avuto al centro temi ambientali. L’anno scorso, a Volokolamsk, nella regione di Mosca, migliaia di persone avevano protestato contro una discarica locale, in seguito al ricovero di decine di bambini per sospetto avvelenamento da gas tossici. Altri movimenti di protesta sono nati a Kolomna, città della regione di Mosca che giace a pochi chilometri da un vero e proprio triangolo dell’immondizia: nelle vicinanze si trova infatti la discarica di Voloviči, mentre nei villaggi di Mjačkovo e Stepanščino sono previsti rispettivamente una nuova discarica e un inceneritore. Allo stesso modo, a pochi chilometri da Kazan’, nella repubblica del Tatarstan, si protesta contro la costruzione di un nuovo inceneritore.
Il tema dell’ambiente, dunque, non lascia i russi indifferenti e sono in molti a chiedersi se questa possa essere la via giusta per una vera opposizione al sistema attuale. Possono i temi ambientali unire la frammentata opposizione russa? Al netto del fatto che una vera e propria risposta non esiste, è interessante notare le diverse interpretazioni di studiosi, politici e attivisti stessi. In un articolo del 2018, l’analista e esperta di società civile russa Barbara von Ow-Freytag affermava ottimisticamente che l’attivismo ecologista fosse la giusta via per il cambiamento, per la sua abilità di creare ponti tra diversi gruppi della società, solitamente isolati o addirittura opposti. Von Ow-Freytag citava inoltre le parole del famoso attivista Dmitrij Ševčenko, suggerendo che questo tipo di attivismo dal basso avrebbe aiutato a democratizzare la Russia.
Al contrario, c’è chi pensa che questo tipo di sforzo si esaurisca dopo l’eventuale risoluzione del problema. In un’intervista a Radio Svoboda, Vladimir Ryžkov, del partito Jabloko, ha parlato di “coalizioni di persone unite nella sfortuna”. Si tratta di movimenti civici variegati, ma uniti per uno scopo preciso, i quali, tuttavia, si scioglierebbero subito dopo il raggiungimento dello scopo stesso.
Un passo successivo per la crescita del movimento potrebbe essere la nascita di un partito ecologista, ancora assente in Russia. Benché al momento non se ne preveda la fondazione, i diversi movimenti ecologisti continueranno sicuramente a far sentire la propria voce nelle strade e nelle piazze della federazione.
Ci hanno già provato in Libano ,dalle rivoluzioni “frutteto” a quelle della monnezza.