di Matteo Zola
E’ lo “zar” del whiskey, della vodka, della rakya. Boss incontrastato dell’alcol contraffatto, è Kiril Rashkov, leader dell’omonimo clan che comanda a Katunitsa, in Bulgaria, non lontano da Plovdiv. Katunitsa è un sobborgo di Sadovo, cittadina di 15mila abitanti appena, le cui periferie sono abitate in prevalenza da persone di etnia rom. Katunitsa è una di queste, e qui zar Kiro – rom pure lui – regna incontrastato. Almeno fino al 23 settembre scorso quando un uomo del suo clan, ubriaco, alla guida di un furgone, ha investito e ucciso Angel Petrov, diciannove anni, bulgaro. La rivolta della cittadina è stata generale e violenta, la villa del boss è stata data alle fiamme e un odio etnico si è presto diffuso per le strade. La tragedia della morte del giovane è diventato pretesto per un’escalation di rabbia dovuta alle mai sopite tensioni tra bulgari e rom. Tensioni che si registrano in tutto il Paese da decenni. Ufficialmente i rom sono il 5% in Bulgaria ma si stima che siano almeno il doppio a causa delle difficoltà nel censirli e delle politiche di bulgarizzazione forzata che mai hanno prodotto una vera coesione sociale.
L’incidente di Katunitsa ha così offerto una scintilla al fuoco dell’intolleranza che è presto divampato in scena di guerriglia urbana: dalla vicina Plovdiv, il giorno dopo la morte di Angel Petrov, sono giunti autobus di hooligans pronti a “fare giustizia” per “rimediare all’incapacità della polizia” e hanno dato fuoco alla cosiddetta residenza estiva di Kiril Rashkov e alla casa di suo figlio in paese. La famiglia del boss rom è stata prelevata in segreto dalla polizia.
Proprio la polizia è stata accusata di non fare abbastanza: su facebook e sui social forum sono in molti a dire che “la polizia non basta”. Meglio farsi giustizia da soli. Anche il premier Boyko Borissov ha scaricato sulla polizia le responsabilità degli incidenti: il prossimo 23 ottobre ci saranno le elezioni presidenziali e amministrative, e Borissov non ha nessuna intenzione di farsi incastrare sul tema della sicurezza. Il partito ultranazionalista Ataka! però lo incalza. Il suo leader Volen Siderov, candidato alla presidenza, sta cavalcando l’onda dell’odio etnico affermando che i boss zingari sono da sempre al servizio della politica. Il caso dello zar Kiro sembra uno di questi.
“Zar Kiro” durante il periodo comunista è stato più volte in carcere per furto. Nel 1984 fu stato arrestato per possesso di oro e valuta e dalla sua casa furono sequestrati oltre 2 milioni di leva. Venne mandato in isolamento sull’isola di Belene. Nel 1989 Kiril Rashkov registrava la sua prima azienda di produzione di alcol, “Zar Gogo”, edificando una fabbica vicino Katunitsa. Nel 1993 fu nuovamente arrestato per la produzione di alcol contraffatto e gli furono sequestrate 126 tonnellate di alcol e 140 cartoni di grappa contraffatta, 200 mila bottiglie e 14 macchinari illegali per l’imbottigliamento di bevande alcoliche. Viene poi amnistiato dall’allora presidente Zhelyu Zhelev in circostanze dubbie.
Da allora il boss di Katunitsa diventa il re dell’alcol illegale ampliando i propri business allo spaccio di droga e agli attentati, facendo del piccolo sobborgo il suo feudo personale. La sua ascesa è stata resa possibile da una rete di protezione locale e non solo: con l’avvento della “democrazia” i boss rom sono diventati importantissimi in periodo di elezioni: “Sicuramente vi è stata su di lui una certa protezione da parte delle istituzioni. Aveva conoscenze con i rappresentanti della giustizia e con i politici” ha dichiarato il ministro degli Interni. In cambio di denaro e altri favori, essi garantiscono i voti delle loro comunità al politico che li paga meglio. La condanna dell’incidente e della protesta di Katunitsa da parte dei partiti politici ha dunque il sapore dell’ipocrisia più spicciola. I boss rom hanno sempre goduto dell’impunità. Essi sono “intoccabili” poiché utili al potere. Quello stesso potere che ora, sull’onda delle proteste, ha arrestato Kiril Rashkov. Le elezioni sono alle porte e bisogna “fare giustizia”.
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