Tajani proclama “Istria e Dalmazia italiane”, insorgono Slovenia e Croazia

Dentro alla cristalleria, c’è da starne certi, l’elefante non potrà che fare i disastri che deve. E’ una questione di stazza, in fondo, e a volere esser puntigliosi le responsabilità non sono nemmeno tutte sue ma, per buona parte, di chi, dentro la cristalleria, ce l’ha portato e un giorno ci dirà perché.

A fare un po’ la figura dell’elefante dentro la cristalleria ci ha pensato, a questo giro, Antonio Tajani, che ha chiuso il suo intervento nell’ambito delle celebrazioni del giorno della memoria delle Foibe a Basovizza, l’11 febbraio scorso, con un accorato “viva l’Istria Italiana, viva la Dalmazia Italiana, viva gli Esuli, evviva i valori della nostra Patria”. Per inquadrare bene la faccenda occorre ricordare che Tajani è l’attuale Presidente del parlamento europeo, non uno passato di lì per caso insomma. E che, ad oggi, i territori di cui si parla appartengono a Croazia e Slovenia, entrambi membri a pieno titolo dell’Unione Europea, ovvero proprio di quell’istituzione che, così autorevolmente, Tajani rappresenta. Forse un po’ di prudenza e un aplomb un filo più istituzionale ce lo si poteva aspettare, ma tant’è.

In Slovenia e in Croazia non l’hanno presa bene e questo rappresenta una di quei rari casi in cui due paesi appartenenti alla defunta Jugoslavia si trovano d’accordo su qualcosa, una specie di miracolo. Internamente ai singoli paesi, poi, si è assistito ad una levata di scudi trasversale, da destra a sinistra, altra cosa piuttosto rara. Insomma Tajani è riuscito a mettere d’accordo tutti, una roba da Nobel per la pace. Croazia e Slovenia si accodano, dunque, alla lunga lista dei paesi con cui l’Italia sta litigando e, facendo due conti, in Europa mancano solo l’Islanda e Isole Far Øer (ma c’è ancora tutto il girone di ritorno da giocare).

Ora, Tajani non è uno sprovveduto, ma un uomo di esperienza internazionale e c’è da giurare che quella sortita non sia casuale. Essa al contrario è la fedele rappresentazione dello specchio dei tempi e asseconda perfettamente il vento nazionalistico che dalle piane ungheresi spira da est a ovest, da nord a sud, arrivando a lambire le coste del Mediterraneo, incluse le nostre. In un paese, l’Italia, che fino a poco tempo fa si ricordava d’essere nazione solo di fronte ai tocchi vellutati di Roberto Baggio o ai tuffi (non sempre puntualissimi) di Dino Zoff, questa è un po’ una novità, perlomeno nel secondo dopoguerra.

Al di là di tutto, resta l’amaro in bocca. Sentimento che parte dalla considerazione che, sull’altare del facile consenso, si è ormai disposti a sacrificare tutto: quella frase non è banalizzazione, ma calcolo. Non è ignoranza dei fatti, ma pura operazione di marketing politico. E non conta nulla il classico “sono stato frainteso” delle ore successive. Quello dell’esodo dei nostri connazionali dall’Istria e dalla Dalmazia fu dramma vero che coinvolse migliaia di persone e che ha avuto strascichi umani e familiari che si sono trascinati per decenni. Ma la decontestualizzazione di quella vicenda dall’ambito storico e politico in cui si è originata e sviluppata fino al suo epilogo è un’ingiustizia e, soprattutto, una mancanza di sensibilità verso chi l’ha subita.

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato a Parigi. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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