foibe

Sette libri per il giorno del ricordo

La legge del 2004 che istituisce il Giorno del Ricordo lo giustifica con la necessità di tramandare la “memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.” Proprio quest’ultimo termine però si perde sempre più spesso in quella che diventa una commemorazione autoassolutoria e vittimistica. Oltre a tutti gli articoli che East Journal ha dedicato all’argomento negli scorsi anni, e che trovate linkati in calce, quest’anno vogliamo consigliare qualche lettura sul tema, senza un ordine particolare. Saggi, ma anche narrativa. Per provare davvero ad approfondire un po’, senza polemiche, quelle più complesse vicende del confine orientale…

  1. Fulvio Tomizza, Materada (1960)
    Lo scrittore istriano dipinge in Materada la trasformazione portata al mondo contadino del suo villaggio natale dal passaggio della Zona B ad amministrazione jugoslava. La riforma agraria e il timore delle rappresaglie politiche spingono i personaggi della famiglia verso Trieste e verso l’esodo.
  2. Fulvio Tomizza, La miglior vita (1977) 
    In La miglior vita (premio Strega 1977) Bettiza racconta la storia di vita di un sagrestano di un piccolo paese dell’Istria interna, Radovani, le sue relazioni con i vari parroci (dagli sloveni agli italiani) e la decisione che l’ormai anziano Martin Crusich si trova a dover prendere nel 1947 al tempo della definizione dei nuovi confini.
  3. Corrado Belci, Quel confine mancato: La linea Wilson, 1919-1945 – ed. Marcelliana 1996
    Giornalista e politico DC, Belci in questo veloce saggio racconta la storia paradossale della “linea Wilson”, quel confine che secondo il principio wilsoniano di nazionalità avrebbe dovuto dividere l’Istria a metà tra italiani e slavi: rifiutato da Roma nel 1918, tornerà nelle ipotesi dei diplomatici italiani nel dopoguerra per limitare i danni della sconfitta, ma sarà altrettanto reso obsoleto dall’avanzata dell’armata popolare jugoslava. Per ricordare come i confini siano sempre solo linee su carta – alcune si realizzano, altre restano solo tali.
  4. Enzo Bettiza, Esilio, Mondadori 1996
    «Segnato da iniziali influssi serbi nell’infanzia, poi italiani nella pubertà, quindi croati nell’adolescenza, ai quali dovevano aggiungersi più tardi innesti germanici e russi, ho lasciato concrescere poco per volta in me multiformi radici culturali europee; non ho mai dato molto spazio alla crescita di una specifica radice nazionale». Un’autobiografia familiare, Esilio del giornalista e sovietologo di Repubblica Enzo Bettiza racconta la sua storia personale, dalla nascita a Spalato al liceo a Zara fino alla partenza nel 1947, incrociata con la storia di più ampio respiro della sua famiglia, arrivata in Dalmazia in età napoleonica e lì rimasta come parte dell’alta borghesia. Un libro che è un tripudio di odori e sapori, di descrizioni dell’elaborata cucina dalmata, e di piccole storie di paese e di vita vissuta di Bettiza e dei suoi familiari, in un contesto che è quello della mescolanza culturale tra italiani e slavi (Bettiza stesso cresce bilingue grazie alla sua balia morlacca) ma anche della crescente tensione sociale, che si delinea presto su faglie nazionali, reali o presunte.
  5. Anna Maria Mori, Nata in Istria– ed. Rizzoli 
    La giornalista e saggista Mori torna nella sua Istria, lasciata da bambina, in questo racconto-collage in prima persona in cui si mette a confronto con gli italiani rimasti e alla ricerca e descrizione della cultura e della cucina di una terra di confine, al contempo italiana, veneta, asburgica e slava. Ne esce un mosaico di riflessioni su una terra di contadini, pescatori e marinai, piena di leggende, tradizioni e riti, di sapori ed odori al contempo mediterranei e mitteleuropei.
  6. Marisa Madieri, Verde Acqua (Einaudi 1987)
    Nata a Fiume, sposata con Claudio Magris, in Verde Acqua Marisa Madieri ricorda la città della sua infanzia così come il tempo dello sfollamento al campo profughi della stazione di Trieste, con una voce narrante piena di nostalgia e allo stesso tempo di distacco, particolarmente attenta ai colori e alle loro sfumature. Madieri è considerata una delle voci più limpide delle vicende dell’esodo istriano. «Ê così che ricordo la mia Fiume − le sue rive ampie, il Santuario di Tersatto in collina, il teatro Verdi, il centro dagli edifici cupi, Cantrida − una città di familiarità e distacco, che dovevo perdere appena conosciuta. Tuttavia quei timidi e brevi approcci, pervasi di intensità e lontananza, hanno lasciato in me un segno indelebile. Io sono ancora quel vento delle rive, quei chiaroscuri delle vie, quegli odori un po’ putridi del mare e quei grigi edifici».
  7. Guido Crainz, Il dolore e l’esilio: l’Istria e le memorie divise d’Europa (Donzelli 2005)
    Crainz, storico di Udine, condensa in questo “piccolo quaderno di suggerimenti” un quadro dei drammi della Venezia Giulia affrontando le questioni dell’alterità e della Mitteleuropa, attingendo al lavoro degli storici così come alla voce narrante degli scrittori. La Venezia Giulia di Crainz è uno scacchiere in cui si affrontano opposti nazionalismi sullo sfondo dell’impero asburgico in declino, e in cui l’occupazione italiana sconvolge gli equilibri e conduce infine sloveni e croati a riconoscersi nel progetto ideologico del comunismo titino. La sconfitta bellica conduce quindi al nuovo rovesciamento dei rapporti di forza, con l’esproprio delle terre, le uccisioni e l’esodo, e la nuova ricomposizione dei rapporti sociali nei territori giuliani rimasti al di qua del confine.

 

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Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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Un commento

  1. Scusa, Denti, autoassolutorio per chi? Roatta era di Modena, Mussolini e grandi capi di varie parti d’Italia, ma la vendetta ritorsione degli jugoslavi è stata solo contro noi istriani, che abbiamo avuto, al contrario degli italiani di Frosinone, Nocera inferiore o Cuneo la sfortuna di avere vicini i partigiani di Tito. Abbiamo pagato per tutti da parte poi non solo dei nazifascisti ma anche da coloro che dovevano essere portatori non di vili vendette generiche agli italiani ma di una civiltà superiore come quella dell’umanesimo socialista. C’è ancora, nell’assolvere i partigiani di Tito, chi confonde la Battaglia della Neretva con azioni come quelle di Piskulic, Motica o Giacca, non persone qualunqui. Avrei voluto vedere quanta autoassoluzione delle malefatte fasciste e militari italiane ci sarebbe stata se questi personaggi, invece di agire in Istria e a Fiume, si fossero trovati in Ciociaria o nelle Langhe. Sono invece accadute lontano, al confine, è si possono tranquillamente dare le colpe agli istriani e fiumani di quello deciso e fatto altrove. Complimenti.

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