Sono oltre 4.000 le persone bloccate per l’inverno in Bosnia Erzegovina. Profughi dal Pakistan, Iran, Afghanistan, Iraq e Siria, che risalendo la rotta balcanica sono arrivati alle porte dell’Unione europea – e lì hanno dovuto fermarsi, almeno per ora.
La situazione dei profughi bloccati in Bosnia Erzegovina
Nel corso del 2018, circa 24.000 persone hanno attraversato i confini bosniaci, proveniendo da Serbia e Montenegro. Alcune sono in cammino già da anni, arrivate a piedi attraverso la Turchia e la Grecia o la Bulgaria. Altre sono arrivate nei Balcani direttamente, approfittando del breve periodo di assenza di visti tra Serbia e Iran. La maggior parte sono riuscite a proseguire, attraversando la frontiera nonostante il rischio di violenti e illegali respingimenti da parte dei gendarmi croati (come continuano a denunciare le ONG), per arrivare infine ai loro paesi di destinazione: Austria, Germania, paesi scandinavi, per alcuni anche l’Italia. Chi non ce l’ha fatta a superare il gioco, “the game“, ha dovuto fermarsi un giro.
Per mettere un tetto sulla testa a tutte queste persone, la Commissione europea ha investito 9,2 milioni di euro finora. Con questi soldi, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) e i suoi partner (UNHCR e UNICEF) hanno approntato tre centri d’accoglienza temporanea con tende riscaldate e container in due ex capannoni industriali nelle città di Bihać e Velika Kladuša, al confine nord-occidentale del paese, laddove i profughi si concentrano per provare poi a superare il confine croato.
La situazione, che in autunno appariva disperata, si è ora in qualche maniera stabilizzata. L’intervento politico e il sostegno finanziario dell’UE hanno permesso di scongiurare quella che si presentava come una catastrofe umanitaria annunciata.
Ultimo progresso in ordine di tempo è la riapertura a tempo di record, una volta ristrutturata, della “casa dello studente” di Bihać, un edificio già abbandonato ed occupato da un migliaio di profughi, ora destinato all’accoglienza delle famiglie di profughi, complementare agli spazi disponibili presso l’ex Hotel Sedra di Cazin. Segnale di normalità è che un centinaio di bambini di queste famiglie, alcuni dei quali da anni sul cammino verso l’Europa, potranno presto sedere di nuovo sui banchi di scuola, iscritti alle scuole elementari di Bihać e Cazin.
Le autorità locali tra accoglienza e pugno duro
Ma la situazione in queste città del cantone Una-Sana non è semplice: le autorità locali si sentono abbandonate dal governo di Sarajevo, che – nonostante asilo e migrazione siano tra le poche competenze esclusive del governo centrale bosniaco – non si è assunto alcuna responsabilità politica. Così, la polizia cantonale ha dichiarato raggiunto il limite massimo dell’accoglienza.
Ogni giorno l’autobus che da Sarajevo raggiunge Bihać attraversa il confine cantonale presso la cittadina di Ključ. Qui la polizia fa scendere i profughi, lasciandoli senza riparo con temperature che in questa stagione possono facilmente scendere sottozero. I migranti sono costretti ad aggirare l’improvvisato “checkpoint”, e a continuare a piedi, spesso nella neve, per gli ultimi venti chilometri fino a Bihać.
La denuncia del garante bosniaco
Una mancanza di responsabilità politica e di capacità amministrative che è stata denunciata dalle stesse istituzioni bosniache: l’ufficio del Difensore Civico (Ombudsman) ha pubblicato un rapporto speciale sulla situazione dei migranti nel paese. L’Ombudsman Jasminka Džumhur ha sottolineato come il 90% dei profughi in Bosnia si trovi in un limbo legale, avendo espresso l’intenzione di richiedere asilo ma non potendo di fatto deporre domanda, poiché per farlo dovrebbe presentarsi a Sarajevo in orario d’ufficio.
Nonostante gli impegni internazionali, infatti il settore per l’asilo del ministero della Sicurezza bosniaco dispone di due soli impiegati per trattare tutte le domande d’asilo – oltre mille nel solo 2018, ma con un potenziale di varie volte superiore. Non è un caso che l’ultima volta che la Bosnia Erzegovina ha riconosciuto lo status di rifugiato ad un richiedente asilo fosse il 2014.
“Il problema delle migrazioni è un problema europeo – ha ricordato Džumhur – e la soluzione deve venire dall’Europa”. Per il momento, l’unica cosa che le istituzioni bosniache sembrano fare è lasciare che l’Europa copra i costi per la permanenza temporanea di queste persone sul territorio bosniaco, nella speranza che con la primavera, così come sono arrivati, altrettanto spontaneamente svaniscano.
Foto: BBC